< Abrakadabra < Il dramma storico
Questo testo è completo.
IV. Il despotismo della legge naturale
Il dramma storico - III Il dramma storico - V

CAPITOLO IV.

Il despotismo della legge naturale.

— Che ho mai fatto! — esclamò la giovinetta riscuotendosi, e volgendo intorno lo sguardo smarrito. — Mio padre! Che dirà egli, mio padre, nel vedermi rientrare sì tardi?

— Tu sarai nella tua cameretta all’ora legale — disse una voce ben nota alla fanciulla.

— Oh! voi... mie buone sorelle!

— Presto! a venti passi dall’Arco c’è una stazione di gondole volanti — disse Viola, dando il braccio alla giovane amica... — In meno di tre minuti, prima che la campana abbia cessato di suonare, noi scenderemo alla porta del tuo palazzo.

L’agitazione di Fidelia, sopratutto l’accento di terrore ond’ella proferì il nome del padre, agghiacciarono il cuore del giovane innamorato. Non osò muover passo, non proferire una parola. Ma prima di allontanarsi, Fidelia volse a lui uno sguardo ed un addio, che equivalevano ad una promessa. — E mentre le tre donne si dileguavano per l’ampio viale, l’Albani sentiva nell’anima una voce soave ripetergli in mille toni melodiosi: io ti amo!

Presso l’Arco della Pace, le tre donne salirono in una gondola volante, che elevandosi rapidamente all’altezza di cento metri, si diresse verso la città con moto velocissimo. Luce, Fidelia e Viola, adagiate nella aerea navicella, sorvolavano alle piante ed alle abitazioni, come tre cherubini portati da una nuvoletta.

La campana del richiamo vibrava gli ultimi squilli, allorquando Fidelia, salutate le amiche, entrava negli atrii del palazzo paterno. Corse alla sedia ascendente, toccò il bottone dorato, e tosto, pel rapido agitarsi delle carrucole, tra il fremito armonioso delle corde vellutate, ella trovossi negli appartamenti superiori.

Le prime sensazioni dell’amore, i moti involontari dell’anima che sente la seconda vita, riflettonsi nel volto di giovane donna. Le guance di Fidelia erano bianche siccome l’alabastro, l’occhio radiante di nuova luce, le labbra voluttuosamente socchiuse. Un insolito abbandono, una melanconica rilassatezza in tutta la persona. — L’amore, che più tardi rinvigorisce e rigenera la donna, in sulle prime si annunzia coi sintomi della febbre.

Al leggero cigolio delle carrucole, che annunziava l’ascensione di Fidelia negli appartamenti superiori, due gravi personaggi mossero ad incontrarla nella galleria. Non appena la sedia ristette, l’un d’essi stese la mano alla fanciulla per aiutarla a discendere — l’altro, il più vecchio, arrestandosi a pochi passi dalla porta d’onde era uscito — figliuola mia, disse con voce severa, tu sai che io non amo di saperti in volta... ad ora sì tarda della notte...

Fidelia non rispose.

— È l’ora legale — disse il più giovane dei personaggi... — Il richiamo dello vergini suona tuttavìa...

— Sempre da capo con queste vostre teorie della legalità! — proruppe il vecchio con accento di stizza... — Io rispetto le leggi, e mi adopero con tutto lo zelo per farle rispettare dalla famiglia; ma fra un padre ed una figlia i doveri ed i diritti non vanno misurati alle norme del codice. L’amore che io porto a Fidelia mi impone di ricordarle che l’aria della notte è nociva alla salute, e quand’anche non vi fossero per lei altri pericoli andando in volta ad ora sì tarda, questo solo basterebbe perché ella dovesse piegarsi a’ miei desiderii.

— Eravamo uscite un po’ tardi dal circolo... Luce e Viola mi hanno invitata ad accompagnarle fino al Larietto per vedere gli apparecchi della macchina...

Fidelia articolava a stento le parole. Ella appoggiò il suo braccio a quello del padre, e tutti insieme entrarono nella sala.

— Figliuola mia — disse il vecchio assestandosi in un pieritto 1, mentre Fidelia si coricava sovra un divano di velluto — non vorrei che queste scappatelle notturne si rinnovassero troppo spesso... So che tu mi vuoi bene... Spero che la voce dell’affetto figliale in avvenire preverrà di due o tre ore il richiamo delle campane... Vedete, Gran Prestinaio; non vi pare che mia figlia abbia un viso da febbre terzana?

— Più pallida, più estenuata... difatti...

— Immaginate, cittadino Rolland, che sono stata ritta più di un’ora al medesimo posto, per udire la spiegazione dei meravigliosi meccanismi che devono produrre la pioggia artiflziale...

— E chi ebbe la fortuna di svelare i misteri della scienza ad un’allieva sì docile e sì gentile? — chiese Rolland a Fidelia.

— Oh! la fortuna fu tutta mia — rispose la giovinetta arrossendo — io non sperava d’incontrare sulla riva del lago un maestro tanto istruito e sapiente. Figuratevi che la spiegazione della meravigliosa macchina io l’ebbi dall’inventore...

— Tu hai parlato con quell’uomo! — esclamò il padre di Fidelia, balzando dal pieritto. — Tu dici d’aver parlato coll’inventore della macchina...! — ripetè il vecchio con voce corrucciata.

— Gran Proposto: — disse Rolland levandosi in piedi — moderate quei vostri trasporti dinanzi ad una fanciulla... Non vedete? voi la fate tremare!

— Fidelia! mia buona Fidelia! — riprese il vecchio dopo breve silenzio, accostandosi alla figlia e stringendole la mano con tenerezza. — Rispondi sinceramente al tuo vecchio padre: conosci tu il nome del giovine artista, col quale ti sei intrattenuta a conversare? T’ha egli nulla rivelato delle sue vicende... delle sue... sventure?

— Io non conosco la menzogna — riprese Fidelia con voce commossa. — L’inventore della pioggia artifiziale mi ha rivelato il proprio nome coll’accento straziante di chi confessa una colpa. Questo nome, che domani non sarà più un segreto per alcuno, io non ho difficoltà di ripeterlo a voi... Il giovane artista si chiama Secondo Albani...

— Egli ti ha ingannata, figliuola mia! — proruppe il vecchio con ira. — Colui non ha più diritto di chiamarsi Secondo, dacché la legge lo ha condannato...

Ma il vecchio non potè compiere la frase... perocché il Rolland, balzando in piedi, e intromettendosi fra il padre e la figlia:

— Gran Proposto! — disse con voce autorevole; — in nome di quella legge che tu, primo magistrato della famiglia Olona, devi affermare coll’esempio, io ti ammonisco che tu mancheresti al più sacro dovere di fraternità, accusando ed infamando un cittadino, che oggi è puro ed onorabile come al giorno della sua nascita.

— Io sono in casa mia, mastro Rolland. Nella libera cerchia del santuario domestico, fra un padre ed una figlia, ve lo ripeto, non può esservi altro codice che quello dell’amore.

— Con autorità di fratello vi ho ricordato un dovere — proseguì Rolland — ed ora fate ciò che la coscienza v’ispira. Badate che questa legge che voi chiamate di amore, non sia piuttosto un avanzo di pregiudizi ereditati.

Queste parole turbarono la fronte al vecchio Proposto. Rolland gli strinse la mano, uscì dalla comune, e abbandonandosi al pendio della glissante2, scivolò sino agli atrii inferiori.

Il Gran Proposto fece uno sforzo violento sopra sé stesso. Per quella sera egli non proferse altre parole. Prese per mano la figlia, e, accompagnandola fin presso la stanza delle rose, prese commiato da lei col bacio del buon sogno.

Fidelia era vivamente commossa. Gli sdegni del padre, le parole concitate e interrotte, le strane proteste di Rolland, tutta la scena cui poco dianzi aveva assistito le riempirono il cuore di tristi presagi. Prima di coricarsi, ella si assise al cembalo magnetico e scorrendo colle dita sovra la tastiera di avorio, parlò alla sorella d’amore.

— Vegli, o Speranza?

— Veglio.

— Finalmente le rose diedero fragranza, ma le spine sono cresciute.

— Narrami la storia del tuo cuore — io chino l’orecchio sul cembalo per udire il melodioso canto della vergine innamorata.

La casa di Fidelia e la casa di Speranza erano disgiunte da tre lunghe contrade — ma le due donne conversarono fino all’alba colle oscillazioni del telegrafo. Per comunicare agli avorii le magnetiche parole, Fidelia raccoglieva tutte le forze dell’anima sospingendole colla volontà verso l’estremo delle dita. Gli occhi della giovinetta mandavano fiamme; le labbra oscillavano; i polsi tremavano convulsi per la pressione del fluido sospinto... E quando Fidelia, stanca da quegli sforzi violenti, reclinava la testa sul timpano sonoro, una musica soavissima le parlava allo spirito — una musica di consigli, di speranze e di benedizioni — la musica di un’anima sorella. — Il telegrafo magnetico di Terzo Bonelli riparava ai tanti peccati dei telegrafi antichi — traduttore fedele dell’anima, esso non poteva in verun modo trasmettere la menzogna.


  1. Pieritto è un mobile di casa, la cui invenzione data dall'anno 1924. In esso l'uomo può riposarsi, senza piegare il corpo, né costringere i visceri ed i vasi sanguigni a spostature o pressioni insalubri. L'uomo vi si mantiene costantemente nella sua posizione verticale, appoggiato alle grucce elastiche, su cui le ascelle ed altre prominenze inferiori vengono sostenute.
  2. Scala scivolante, senza gradini, adottata nelle grandi case per risparmio di tempo e di fatica. Per essa gli abitatori dei piani elevati scivolano ai piani inferiori, sboccando nell’atrio o nella via
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.