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CAPITOLO XI.
Due personaggi di tutti i tempi.
Quella mattina, il funzionario Torresani, Capo di Sorveglianza della Famiglia Olona, fu svegliato innanzi tempo da dodici squilli della campana elettrica.
— Caspita! — esclamò il vecchio balzando dal letto — il Gran Proposto mi chiama di buon’ora... Qualche cosa di serio!...
E il Capo di Sorveglianza si gettò sulle spalle un mantello grigio, si pose in testa un alto cilindro, poi, discese con passo celere la Cava1, e fece levare un espresso per recarsi al Piccolo Campidoglio.
Il Torresani era un uomo di circa sessantacinque anni, un po’ ricurvo, ma ancora vigoroso. La sua faccia ossea, bernoccoluta, dura, affettava una giovialità poco rassicurante. I suoi occhi grigi vibravano dai solchi profondi delle guance una luce sinistra — due occhi, che tratto tratto si eclissavano, rintanandosi nelle palpebre come due teste da serpente.
Cento anni addietro, quel pubblico funzionario si sarebbe chiamato Commissario superiore di polizia, ovvero Questore.
Nel 1982, il titolo era mutato, ma le funzioni erano identiche. La Polizia, la Questura, l’Uffizio di sorveglianza furono e saranno una necessità di tutti i tempi.
Quando l’espresso venne a fermarsi presso la porta intima del Piccolo Campidoglio, il Gran Proposto Berretta stava sulla soglia ad attenderlo. I due funzionari si salutarono con un cenno democratico della mano, cui il Torresani aggiunse un leggiero inchino della schiena.
I due pubblici funzionari entrarono in un gabinetto terreno. E siccome un vecchio commissario di Sorveglianza (di polizia, se meglio vi piace) non ha bisogno della vista magnetica per leggere in quel viscere opaco che si chiama il cuore umano, al Torresani bastò una rapida occhiata, un’occhiata da basilisco, per indovinare il turbamento del suo superiore.
Il Gran Proposto si era tuffato con tutta la persona in una sedia liquida2 i cui cilindri congelatori girarono con moto rapidissimi. Egli stringeva nella mano una ampolletta di argento, la quale a giudicarne dal timbro, doveva contenere il famoso elisire di ambra distillata, il più potente moderatore degli sdegni umani.
Quelle due circostanze non isfuggirono allo sguardo maligno del Capo di Sorveglianza, il quale non era mai tanto felice come quando poteva accertarsi che alcuno de’ suoi superiori versasse in gravi imbarazzi. Il Torresani era stoffa da impiegato. Per dissimulare le proprie impressioni, egli si studiava di prendere un’aria di bonomia che faceva a pugni col suo grugno sinistro. Teneva gli occhi bassi — il labbro semiaperto — e preparava in sua mente dei concettini, delle arguzie, delle banalità umoristiche, tanto da prolungare un colloquio, dal quale prevedeva ottimi risultati. Il Torresani voleva divertirsi a spese del Gran Proposto, e cavare da’ suoi imbarazzi il maggior profitto che per lui si potesse.
— Mio caro Torresani... noi viviamo in tempi difficili! — cominciò il Gran Proposto, dopo aver sorbito due o tre gocciole dell’elisire moderatore.
— In verità — rispose l’altro — i tempi non sono facili...
I due interlocutori si sbirciarono di traverso — e ciascuno aspettava che l’altro riprendesse il dialogo.
Il Gran Proposto, dopo breve pausa, dovette intuonare una seconda volta:
— Viviamo in tempi... nefasti!...
— Voi parlate come un giornale dell’opposizione, eccellentissimo signor Proposto. — Moderate le vostre parole, ovvero sarò costretto a registrare il vostro nome fra quelli dei malcontenti, dei pregiudicati politici, dei settari, dei nemici dell’ordine, di quei sciagurati che cospirano contro il migliore dei Governi... contro il Governo attuale...
— Voi non mi avete compreso, ottimo collega — ed io mi affretterò a chiarirvi il mio concetto; altrimenti, da quel fiero e zelante impiegato ch’io vi conosco, voi sareste capace di farmi arrestare al primo tumulto di popolo. I tempi sono difficili — intendiamoci bene — difficili per noi, alti dignitari dello Stato, rappresentanti della legge, e moderatori dell’ordine pubblico!...
— Senza far torto alle sapientissime e ossequiatissime istituzioni della serenissima Confederazione Europea, mi sia permesso di soggiungere che, in ogni tempo, sotto qualsivoglia Governo, gl’impiegati pubblici furono retribuiti meschinamente... Eppure... come si fa?... Bisogna stare col Governo!... sostenere il Governo!... E guai se avessimo ad allentare le redini... alla canaglia!... Nelle rivoluzioni, i primi martiri siamo noi... Meglio la mezza pensione del Governo, che non il congedo assoluto dei popoli!... Basta!... Lasciamo andare questo lugubre argomento... e tiriamo innanzi alle mercé di Dio... e dei nostri superiori!
Nel proferire quest’ultima parola, la voce del Torresani era divenuta fioca e rantolosa, come quella di un infermo accattone.
— Vero... verissimo... quanto voi asserite — riprese il Gran Proposto — i nemici naturali dei governanti sono i popoli governati. Le leggi, per quanto eque e liberali esse sieno — non cesseranno mai di rappresentare, nel giudizio del popolo, altrettanti vincoli di schiavitù. Noi, che ne siamo gli interpreti e gli esecutori, dobbiamo necessariamente subire l’odio delle moltitudini ignoranti e depravate... I popoli troveranno sempre dei pretesti per cospirare contro il principio di autorità che si incarna nei pubblici funzionari...
— Negli uomini più eminenti della Nazione...
— Dunque... come voi dicevate poco dianzi... noi dobbiamo fare a gara nel sostenerci... nel prestarci mano... nel renderci scambievoli servigi... dobbiam stringere una alleanza compatta...
— E solida...
— Usare di tutti i mezzi...
— Solidi...
— Che sono in nostro potere, onde far fronte a questa incessante reazione di popolo, che minaccia la nostra sicurezza personale, i nostri averi, i nostri titoli, e perfino la nostra tranquillità... la nostra pace domestica...
— Gran Proposto — interruppe il Torresani con una animazione artificiale che somigliava ad un impeto di zelo — se dal mio infimo gradino io posso qualche cosa per voi che sedete al più alto vertice della Gerarchia Governativa, non avete che a proferire una parola, ad emettere un ordine, perché anima e corpo, io mi adoperi a vostro vantaggio... Non dico per vantarmi, ma credo, nel disimpegno delle mie attribuzioni, di avervi sempre dato prova di intelligenza, di abilità e sopratutto di molto zelo.
— Voi portate gloriosamente il nome del Torresani — rispose il Gran Proposto con accento solenne — epperò nelle emergenze difficili, io ebbi sempre ricorso a voi, ed oggi più che mai faccio assegnamento sul vostro ingegno, sulla vostra esattezza...
Il Torresani si levò in piedi e portò la mano al cuore esprimendo la più rispettosa divozione. Poi, ricomponendosi nel pieritto, fissò in volto il Proposto con tutta la malizia dei suoi due occhi da serpente.
Il Gran Proposto portò alle labbra l’ampolla dell’elisire, la sorbì fino all’ultima stilla — indi riprese con calma:
— Voi siete padre di famiglia, mio caro Torresani...
— Colle istituzioni attuali, ciò non porta imbarazzi... I miei dodici figli sono mantenuti a spese del Comune...
— Fino a quando la prole fu a carico dei genitori, gli affetti erano meno vivi, meno intensi...
— E i figli più scarsi di numero...
— La vostra osservazione è profonda, ma non serve al caso mio — rispose il Gran Proposto alquanto turbato. — Iddio non ha voluto gratificarmi di una prole numerosa quanto la vostra. Ebbi una sola figlia, e tutti i miei affetti, tutte le mie speranze si concentrarono in essa. Voi la conoscete — mia figlia, che all’ultimo Concorso di Napoli3 ha ottenuto il secondo premio di bellezza — una figlia amorosa, buona, che tutti i padri m’invidiano. — Voi sapete ancora che da molti anni ho perduto la moglie; che io non ho sulla terra altro bene, altro conforto ai vecchi giorni fuori della mia Fidelia...
— Se non m’inganno, la vostra Fidelia deve aver compiuto i diciannove anni... Ella è nata nel 1963, all’epoca in cui ebbi anch’io una figlia... una figlia che si chiamava Stella... no... mi inganno... Giacinta... o piuttosto Camelia... Questi tre nomi c’erano nella famiglia... e so di averli iscritti ne’ miei registri... Ah! voi siete un padre fortunato, signor Proposto... Avete potuto tenere presso di voi una figlia per diciannove anni, mentre a me, de’ miei dodici, non ne rimane più uno. Le mie ragazze, quale a sedici anni, quale a dodici, quale a dieci, se ne andarono al quinto cielo coi palloni a vapore; e quando una ragazza abbia fatto la sua prima corsa in pallone, domando io chi può fermarla!
Il Gran Proposto si fece pallido in viso.
L’altro, che già cominciava a comprendere il segreto del suo turbamento, riprese, nel sembiante e nelle parole, il suo fare più ingenuo.
— Il vostro esordio, onorevolissimo Gran Proposto, mi darebbe a credere che voi pure abbiate dei gravi dispiaceri nella vostra famiglia privata.
— Tanto gravi, che quelli della famiglia pubblica, e sono pure ingentissimi, al paragone mi sembrano inezie.
— Se ciò è, mi spiace, onorevolissimo Gran Proposto, che io non sarò in grado di giovarvi come avrei desiderato.
— Al contrario... Non solamente voi siete in grado di prestarmi aiuto, ma fuori di voi, non avvi persona al mondo sulla quale io possa contare nel terribile frangente in cui mi trovo.
Il furbo Torresani sapeva già tutto, ma proseguiva a fare l’attonito.
— Voi... senza dubbio... avrete letto i giornali di ieri sera — disse il Gran Proposto con un largo sospiro — voi saprete la notizia pubblicata dal Figaro, organo uffiziale dei matrimoni, la notizia... che oggi corre sulle labbra di tutti...
— Ah!... To!... Veh!... La gran testa d’oca ch’io sono...! E dire che io mi era già scordato... Vedete se la politica ci rende imbecilli...! Perdonate se io non mi sono affrettato a rivolgervi le mie congratulazioni.
— Grazie, onorevole collega!... Grazie! Non è il caso di farmi delle congratulazioni, ma piuttosto di condolervi...
— Che?... vediamo un poco se ci intendiamo! — proseguì il Torresani abbandonandosi ad una loquacità che escludeva ogni interruzione. — Io voleva alludere alla petizione di matrimonio inoltrata dal cittadino Redento Albani, dal celebre inventore della pioggia artifiziale, in favore di vostra figlia... Figuratevi, Gran Proposto, qual fu la mia sorpresa ieri sera... sì... ieri sera... al teatro degli Automi... voi sapete... a quel vecchio teatro che un tempo si chiamava della Scala, e che oggi serve agli spettacoli automeccanici delle grandi marionette. Io vado ogni sera a quel teatro, vi ero abbonato da ragazzo, fino dai tempi in cui vi si rappresentava l’opera in musica... Che volete...? Siamo milanesi... e quindi... per indole... per educazione... fors’anche per influenza di clima... un po’ abitudinari. Una sera, invece dei soliti cantanti, delle solite ballerine, ci hanno dato le marionette... Io, e i miei coetanei, piuttosto che abbandonare la nostra sedia fissa, il nostro palco di quarta fila... piuttosto che allontanarci dal nostro vecchio centro, ci siamo accontentati di quel nuovo spettacolo... e vi assicuro... Gran Proposto... che ci si diverte di cuore, e che la vecchia Scala è tuttora il primo teatro del mondo.
Il Gran Proposto sbuffava, ma non ardiva interrompere quella foga di parole. Il vecchio Torresani tirava innanzi con una facondia inesorabile.
— Or bene — voi conoscete il nuovo sistema dei sipari adottati recentemente nei grandi teatri — voglio parlare del sipario—giornale, che suol calarsi dopo il secondo atto della rappresentazione. Su quella vasta tela sono stampati, a grandi caratteri, i dispacci più importanti della giornata e buona parte delle notizie cittadine. Figuratevi dunque la mia sorpresa... la mia commozione... la mia gioia... quando, ieri sera, volgendo il mio binoccolo al sipario—giornale, potei leggere la petizione del cittadino Albani, riprodotta testualmente dal foglio uffiziale dei matrimoni. Oh! vi assicuro io, onorandissimo Gran Proposto, che quelle poche linee produssero una viva sensazione in tutta la sala... Tutti si compiacevano della vostra buona fortuna... Tutti dicevano che un partito migliore non poteva presentarsi a quella cara, a quella buona, a quella adorabile figliuola...
— Basta così! basta, Torresani! — proruppe il Berretta balzando dalla sedia liquida — ciò che voi narrate è troppo inverosimile...! Io non posso credere che voi, che un uomo qualunque dotato di sana ragione possa congratularsi meco di un tale avvenimento con sincerità di cuore.
Il Torresani portò le mani al petto e stravolse gli occhi, come uomo che chiegga perdono di un fallo involontario. Nel fondo dell’anima egli tripudiava di aver prodotta nel suo superiore quella impetuosa irritazione.
— Torresani... mio vecchio collega! — riprese il Gran Proposto con accento più moderato — mettete una mano sul vostro cuore di padre... e poi rispondetemi ciò che esso vi detta. Dareste voi in moglie la figlia vostra, l’unica vostra figlia, ad uomo come... lui?...
— In verità.., giudicando dietro i calcoli dell’interesse... un primate dell’intelligenza... un uomo che può guadagnarsi dieci o quindici milioni di lussi colla sua invenzione...
— Torresani...
— Sentiamo... dunque...
— Parliamoci da buoni colleghi...
— Da fratelli... se vi piace...
— Come si poteva parlare... ai nostri buoni tempi... ai tempi dell’Unione latina...
Il Gran Proposto parlava con voce commossa, con accento supplichevole:
— Conoscete voi tutta intera la biografia di questo uomo... che osa chiedere in moglie la mia Fidelia...?
— Nella mia qualità di Capo di Sorveglianza, io dovrei conoscere tutti i cittadini che entrano nel circuito del mio Dipartimento; ma pure, dopo l’attivazione di quella malaugurata locomotiva dell’aria, vi confesso, onorevole Proposto, che mi riesce oltremodo difficile assumere su tutti delle informazioni complete...
— Non vi ricorda come or fanno cinque anni e pochi mesi, un giovane, che a quell’epoca si chiamava Secondo Albani, fosse implicato in un processo... in un processo... che fece inorridire la città tutta intera...? io spero che voi m’intendiate... che non vorrete obbligarmi ad esporre certi fatti...
— Fatti... orribili... atroci...
— Voi dunque... vi sovvenite...?
— In verità... nella mia qualità di cittadino... io dovrei...
— Comprendo i vostri scrupoli, mio eccellentissimo...
— Un capo di Sorveglianza...
— Deve necessariamente tener nota di certe precedenze...
— Le quali, in caso di recidiva, o di sospetto...
— Potrebbero fornire... argomenti...
— E servire come prove o titoli aggravanti...
— A meraviglia...! Io vedo che non occorrono altri discorsi... Voi siete una perla d’impiegato.!...
— Gran Proposto, voi mi onorate di troppo!
I due funzionari si alzarono come due automi, si ricambiarono un profondo inchino, poi ripresero il loro posto.
Dopo breve silenzio, il Berretta uscì fuori con una domanda risoluta, colla quale egli sperava abbreviare quel disgustoso colloquio.
— Torresani!... Io farei torto al vostro acume, alla vostra perspicacia, e, aggiungiamolo pure, alla vostra provata amicizia, se mostrassi dubitare che voi non abbiate ancora indovinato ciò che io bramo da voi. Siete voi disposto ad assecondarmi?...
— Quanto all’assecondarvi — rispose il Capo di Sorveglianza con un accento di sommissione che fece rabbrividire il Gran Proposto — voi sapete che un misero impiegato di seconda classe, quale io mi sono, deve necessariamente subordinare la sua volontà a quella degli alti dignitari dello Stato... Vi ho già detto che, su questo punto, fra noi non può esistere difficoltà di sorta... Tutto sta che io abbia realmente compresa la situazione vostra, e in conseguenza le vostre intenzioni... Io non vorrei offendere la vostra delicatezza di cittadino... parlandovi con soverchia libertà...
Il Gran Proposto arrossì leggermente. L’altro proseguiva:
— Basta! Nel caso mi fossi ingannato... oso sperare che non vorrete prendere in mala parte le mie supposizioni., e vorrete perdonarle come effetto di zelo soverchio.
Il Torresani fissava le sue grigie pupille nel volto del Gran Proposto, e tirava innanzi con voce asmatica:
— Eccovi dunque come io la intendo, onorandissimo e colendissimo cittadino Proposto. Voi non bramate che vostra figlia, la vostra unica figlia, si unisca in matrimonio a quell’emerito cittadino, oggi Primate d’intelligenza, che porta il nome di Albani Redento, e ciò per la ragione, un po’ illegale, se vogliamo, ma pure assai potente sul cuore di un padre, che quel cittadino, quel Primate, l’Albani in una parola, in epoca non remota, pose... la famiglia tutta intera... e quindi anche voi... noi... tutti quanti... nella necessità di dover dimenticare certe sue azioni... Basta!... Tanto io che voi, onorandissimo e sempre colendissimo Proposto, siamo troppo fedeli osservatori della legge per insistere su quest’ombra di reminiscenza!
— Bravo!
— L’essenziale è di impedire il matrimonio, opponendo alla petizione del giovane, ed al probabile assenso di vostra figlia, il veto paterno, che le leggi rendono inesorabile ogni qualvolta sia appoggiato da gravi ragioni, e convalidato dal voto degli Anziani.
— Voi leggete nel mio cuore, o nobile amico.
— La lettura è un po’ difficile, ma le vostre lodi mi incoraggiano. Non potendo motivare il nostro veto su quelle tali precedenze che tanto io... come voi... abbiamo dimenticato...
— E dimentichiamo...
— Sta bene!... Convien frugare nella vita più recente del nostro uomo, vedere se dopo l’epoca di Redenzione egli non siasi per avventura macchiato...
— Torresani!... Voi siete un sublime Questore...!
— Capo di sorveglianza — se vi piace!...
— Perdonate! — la parola mi è sfuggita in un impeto di entusiasmo... È un lapsus linguæ che vi onora... Torniamo al nostro... uomo.
— Fra la petizione e il contratto finale di matrimonio, giusta le vigenti leggi (capitolo centosettanta, paragrafo novantotto) deve trascorrere un mese ed un giorno, nel qual tempo i due futuri devono vivere separati da una distanza di sessanta miglia, né avere fra loro comunicazione di sorta. — È una dilazione di prova che impone dei rigorosi doveri...
— Dei doveri che molto spesso vengono obliati dall’una parte o dall’altra, nella quasi certezza che nessuno ne tenga conto...
— Si esigerebbe dunque... per parte nostra... un po’ di sorveglianza...
— Molta sorveglianza...
— Una sorveglianza perenne, insistente, minuziosa...
— Importuna...
— Irritante...
— Accanita...
— Accanita!... Ecco la vera parola, onorandissimo signor prefetto...
— Gran Proposto... se vi piace!...
— I lapsus linguæ son contagiosi... Vi chieggo mille perdoni!...
— In un mese... anche l’uomo più onesto può commettere delle azioni...
— Nefande!... Il giusto pecca sette volte all’ora, dicono i preti riformati, i preti della vecchia portavano la cifra a settanta volte sette!...
— Voi dunque credete?...
— Io credo che in due linee di scritto si trovino sempre dieci capi di accusa per far condannare un imbecille, così l’uomo il più astuto, e diciamolo pure, il più onesto, dopo un mese di sorveglianza fatta a dovere...
— Fatta da voi, mio buon Torresani...
— O da’ miei incaricati...
— È un uomo posto fuori dalla legge...
— Un uomo... impossibile!
Il Gran Proposto e il Capo di Sorveglianza si levarono in piedi con moto simultaneo, e si strinsero la mano come due cospiratori.
— Io sono orgoglioso di avervi perfettamente indovinato — disse il Torresani con affettata compunzione. — Ormai ogni altra parola sarebbe superflua; convien mettersi in moto e agire prontamente... Il nostro uomo è partito per Costantinopoli; di là, fra una settimana, dovrà recarsi a Pietroburgo... Prima ch’egli ci sfugga, bisogna mettergli a fianco due dei nostri... due buoni bracchi dei meglio addestrati a simili imprese... Scriverò privatamente a tutti i Capi di Sorveglianza dei principali Dipartimenti della Confederazione... Insomma, non risparmieremo né cura... né danaro...
— A proposito... Io mi scordava dell’essenziale — disse il Gran Proposto, trattenendo Torresani che prendeva le mosse per andarsene. — Per compiere il vostro piano, vi abbisogneranno senza dubbio dei mezzi straordinari... Via! che serve?... Facciamo le cose a dovere... No! io non vi lascio partire... se prima... non dichiarate...
— Ma se vi dico che sono inezie! Trattandosi di voi... della vostra famiglia... a cui mi legano tante obbligazioni...
— No!... no!... I fondi segreti debbono servire a qualche cosa... Ed è appunto in tali emergenze straordinarie...
— Basta! poichè voi... lo esigete...
— Duecentomila lussi... Che vi pare, Torresani?.,. Tanto da cominciare le operazioni...
— Io direi, poichè vi sta tanto a cuore la buona riuscita dell’impresa, io direi che, seguendo l’antico proverbio: omne trinum!...
— Trecentomila lussi!... Ma voi siete troppo discreto, mio vecchio collega! Trattandosi, come dicevate poc’anzi, di rendere un immenso servigio...
— Al Governo...
Il Gran Proposto si sentì trafitto da quest’ultimo sarcasmo. Prese la penna con mano tremante, sottoscrisse un bono di trecentomila lussi, e lo porse al Torresani, senza aggiunger parola. Questi chiuse il viglietto nel portafoglio, e, fatto un inchino grottesco, uscì dal gabinetto.
Quella sera, nell’Unità mondiale, altro dei fogli dell’opposizione, leggevasi la seguente notizia cittadina:
«Stamane, fra il proconsole Terzo Berretta e il famigerato poliziotto Torresani ebbe luogo un lungo conciliabolo a porte chiuse, in seguito a importanti dispacci venuti da Berlino, e da altri capoluoghi della Unione. Noi sappiamo da fonte sicura che il partito governativo (il partito coda) sta tramando un orribile complotto contro la libertà dei popoli. Il colpo di Stato, già tante volte preconizzato da noi, è tanto imminente, che può dirsi un fatto compiuto. All’erta cittadini!... Popoli dell’Unione preparatevi ad agire!...»
- ↑ La Cava è la stazione delle ferrovie sotterranee che attraversano la città in vari sensi. Queste ferrovie sono destinate al trasporto gratuito dei passeggieri e delle merci. È inutile avvertire che oltre alle ferrovie vi hanno anche altre strade sotterranee, per comodo dei conduttori delle carriuole a mano e delle piccole vetture. Queste servono più che ad altri, agli industriali ambulanti, i quali portano in giro oggetti voluminosi che sarebbero d’ingombro nella città.
- ↑ La sedia liquida è formata di cuscini di guttaperca ripieni d’acqua. Due cilindri congelatori mantengono la freschezza al liquido racchiuso, mentre, d’altra parte, il calore della persona che vi sta seduta impedisce la completa congelazione che la renderebbe meno soffice. Il sistema dei congelatori è abbastanza noto a chi abbia veduto le macchine recentemente inventate per la formazione del ghiaccio artificiale.
- ↑ Il Concorso di bellezza è una istituzione del ventesimo secolo, la quale ha per iscopo il miglioramento della specie umana. Tutte le giovani donne appartenenti alla Unione Europea, dai diciotto ai venticinque anni possono presentarsi ai Concorsi annuali, che hanno luogo nelle città più importanti dei singoli Dipartimenti. Una Commissione composta di cento matrone scelte dalle più illustri e rispettabili famiglie del Dipartimento, esamina e giudica le prerogative delle singole concorrenti, decretando premi per maggioranza di voti. Le ragazze premiate al Concorso sono le più ricercate da chi aspira alla vita coniugale. Questa istituzione ha raddoppiata nelle giovani donne del ventesimo secolo la cura della propria bellezza, assai meno osservata nei secoli addietro pel sotterfugio troppo comodo delle lunghe gonnelle e del crinolino.