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XXX. Deladromo
Il dramma storico - XXIX

CAPITOLO XXX.

Deladromo.

In quel giorno all’Assemblea della Unione si discutevano dei nuovi articoli di legge.

Una sensibile trasformazione di partiti si era prodotta nella Camera elettiva, in seguito ai moti anarchici avvenuti recentemente. Gli equilibristi transigevano, e una notevole maggioranza si dichiarava favorevole ad ogni proposta del partito naturalista.

I seguenti ordini del giorno erano stati approvati per acclamazione:

I. Considerando che le esagerazioni della viabilità hanno negli Stati d’Europa usurpato all’agricoltura tanta superficie di terreno quanta basterebbe ad alimentare annualmente due milioni di famiglie; visto che al trasporto delle derrate e delle merci possono oggidì largamente provvedere le navi aereostatiche e le volanti di cielo; il Governo decreta la immediata soppressione di un milione e ottocentomila chilometri di ferrovia, di strade rotabili e sphortene; ordinando al medesimo tempo una leva straordinaria di trecentomila coscritti agricoli, acciò le dette aree improduttive vengano, nel termine di un anno, ridotte a coltivazione;

II. Considerando che al cane ed all’uomo occorrono per sostentarsi degli identici alimenti; visto che ad alimentare ogni individuo canino si richiede la spesa di mezzo lusso al giorno; visto che negli Stati d’Europa esistono attualmente sessanta milioni di cani, il cui mantenimento esige una spesa quotidiana di trenta milioni all’incirca e un relativo consumo di commestibili, evidentemente detratti alla nutrizione della famiglia umana; il Governo decreta l’immediata e totale distruzione della razza canina, da effettuarsi e compirsi spontaneamente dai singoli cittadini, o altrimenti, con ogni mezzo coercitivo, dagli agenti di ordine pubblico.

Perché un Governo ricorra a tali misure è d’uopo che il malessere generale sia giunto al colmo. E già il rappresentante Cavalloni sorgeva a protestare contro il secondo articolo di legge, dichiarandolo pericoloso alla sicurezza dei cantanti, quando dalla valvula di salute pubblica venne ad irrompere sulla testa del presidente una pioggia di foglietti.

— Dio ci scampi! — esclamò il Presidente; — abbiamo duemila telegrammi. Leggiamo il primo che ci viene tra le mani; degli altri si incaricheranno i posteri:

«Assembramento minaccioso sulle alture del Gottardo, grande avvenimento politico—scientifico, imminente guerra civile».

— È tempo di finirla! — grida il Casanova levandosi in piedi; — il Governo, colla sua longanimità, non ha fatto che incoraggiare l’anarchia. Io propongo di nominare una Commissione di inchiesta.

— Una Commissione! Una Commissione! — risposero mille voci. — L’onorevole Casanova, si incarichi di comporla e si rechi immediatamente con quella sul campo del disordine.

In meno ch’io ve lo dica, la Commissione era costituita, e gli onorevoli potevano, di là a pochi istanti, contemplare da una volante di prima classe, uno spettacolo non più veduto; il più vasto ondulamento di massi nevosi che immaginare si possa, popolato e stipato di gente come nol fu mai un teatro di capitale in una serata di prima rappresentazione.

Perché si era adunata quella gente?

Di qua si gridava: morte a Cardano! morte al rapitore di faciulli!

Di là si muggiva: viva Cardano! viva la libera scienza!

Chi sviscera i gruppi, chi riproduce gli episodi di quella scena tumultuosa e fantastica?

Ciò che a noi preme, è di raggiungere i principali personaggi del nostro dramma e di assistere alle estreme peripezie (ohimè! estreme per essi e per tutti) della loro travagliata esistenza.

Eccoli! L’Albani giungendo sul luogo, è riuscito, seguendo le indicazioni di Rondine e Lucarino, a calare sulla tettoia del palazzo di cristallo. Altri padri, esasperati dalla disparizione de’ figli, erano accorsi ad abbattere con martelli e picconi l’infame edilizio.

Una breccia era aperta...

Cardano, vedendosi perduto, si disponeva a fuggire traendo seco l’immolata. Quell’uomo amava Glicinia disperatamente, come il mostro soltanto può amare ciò che è bello e perfetto. Mentre egli stava per sciogliere la slitta, dove aveva collocata la sua donna, l’Albani gli fu sopra, gli spaccò il cranio con un colpo di mazza, e stesa la mano a Glicinia, se la attirò al petto per abbracciarla e coprirla di baci.

Sul corpo quasi esanime di Cardano si curvò un uomo esclamando: sventura! sventura! il martello della vendetta ha spezzato un cranio che racchiudeva i più importanti segreti della scienza. Io spenderò un milione di lussi per possedere questa meravigliosa scatola di intelligenza e di sapere.

Quegli che così parlava era il Virey.

Frattanto, l’Albani colla sua donna al braccio tentava allontanarsi da quel luogo facendosi largo colla voce e col manico della mazza.

Il palazzo di cristallo era quasi demolito. Un migliaio di essere umani si agitavano ignudi fra le rovine di quel piccolo mondo sotterraneo, spauriti dalla folla, rifuggenti da ogni carezza, emettendo grida selvaggie. Taluni, i più adulti, mordevano i pietosi che a loro si accostavano. Si vedevano delle ignude fanciulle ancora impuberi avvinghiarsi ai garzonetti parimenti nudi, invocando protezione con gemiti strazianti, con gesticolazioni che parevano licenziose ed erano ingenue. Il monte era letteralmente coperto di persone. I curiosi serrati in battaglione urtavano la massa degli inerti. Tutti miravano ad un punto, anelavano di vedere l’ignoto. Le grida di viva e di morte formavano un tal frastuono che le creste del monte ne oscillavano. Le nevi smosse precipitavano dai culmini più elevati, formando delle valanghe. Nessuno parea preoccuparsi di un singolare fenomeno atmosferico che si andava sviluppando; nessuno pareva accorgersi che il cielo si copriva di nuvole sinistre, che l’aria tratto tratto era scossa da nn cupo rombo di tuono.

Eppure lo scioglimento era prossimo, e quale!... Una voce che parlava da un immane tubo saxopelitto echeggiò improvvisamente di vetta in vetta.

— Deladromo! Deladromo! — gridò la folla convergendosi ad una delle creste più elevate del monte, dov’era apparso un personaggio a tutti noto.

A quel grido di moltitudine succedette un silenzio da deserto.

Deladromo (poiché era ben desso, il celebre primate di astronomia, l’uomo acclamato dalla moltitudine) tuffò la bocca nello stromento fonico che centuplicava la sonorità della sua voce, e parlò di tal guisa:

— Mentecatti, buffoni e bricconi della razza superiore, alla quale non mi son mai gloriato di appartenere, ascoltate bene ciò che sta per dirvi chi non vi ha mai ingannati. Questa mattina, alle ore sette antimeridiane precise, il pianeta Osiride ha cominciato la sua corsa di precipitazione verso il nostro globo. Questa corsa periodica, che suole effettuarsi ad ogni scadenza di diecimila anni, si compie inevitabilmente nello spazio di quindici giorni. La qual cosa significa, badate bene, o mamalucchi, che allo spirare di quindici giorni, tutta la superficie del nostro globo sarà sconvolta e rinnovata dalle acque. Io vi annunzio il fenomeno; voi, se le forze vi bastano, provvedete! Ohimè! le vostre forze non basteranno. La superficie terrestre esige di rinnovarsi ad epoche fisse; ciò è nell’ordine indeclinabile della natura. Quali trasformazioni subirà la razza umana nella nuova genesi che sta per iniziarsi? Mistero. Questo solo apparisce evidente, che l’umanità vissuta sin qui, perisce nella completa ignoranza della sua missione fisica ed intellettuale, perisce attestando la sua incapacità a migliorarsi. Tutti i nostri sforzi per giungere al meglio hanno sempre abortito; qualche cosa di abberrato era in noi per condurci costantemente sul cammino dell’errore e della infelicità. Consoliamoci! Fra quindici giorni la nostra generazione sarà spenta, e i nostri successori dovranno ignorare che noi abbiamo esistito, come noi ignorammo la vita delle epoche a noi precedenti. E sarà pel loro meglio; poiché almeno i venturi non erediteranno i nostri errori, le nostre follie, e forse...

Ma una scossa di terremoto che fece traballare il gran monte, impose un termine alle parole dell’astronomo.

Degli enormi crepacci si apersero come voragini sotto i piedi degli uditori. Alcune vette crollarono.

Dio! quante grida di dolore e di imprecazione! E quanti vuoti in quella folla poco dianzi sì compatta! I superstiti non osavano più muoversi, e l’uno all’altro si addossavano per sorreggersi.

L’Albani, uscito incolume da quella scossa, nella slitta del Cardano scivolava dal monte, abbracciato a Glicinia tramortita di spavento.

Fratello Consolatore predicava da un masso: «Cristiani! maceratevi le membra! cingetevi i lombi di cilizii! invocate l’Altissimo! Egli solo è grande... egli è buono».

— Tante grazie della bontà sua! — bestemmiavano i naturalisti.

Antonio Casanova, nella sua gondola aerea vertiginosamente sbattuta dal vento, esilarava, ebbro di sciampagna, i membri infrolliti della Commissione di inchiesta, esponendo la sincera diagnosi della sua vita. «Dal canto mio ho sempre pigliato il mondo come vuol essere preso da ogni persona che abbia senno: ho sempre mangiato e bevuto lautamente; ho goduto quanto si può godere, ho gabbato il prossimo quanto il prossìmo avrebbe voluto gabbarmi; ho vissuto da gran signore rasentando la galera; e i miei concittadini mandandomi alla camera elettiva, hanno dichiarato che ero degno di rappresentarli. Viva dunque il pianeta Osiride! Era ben tempo di farla finita con questa generazione di imbecilli!»

Di là a quindici giorni, giusta la profezia del Deladromo, la superficie del globo terrestre era sparita sotto uno strato di acque.

E al sedicesimo giorno, il pianeta Osiride ricominciò il suo moto ascendente, e le piogge cessarono, e uno splendido sole sfolgorò sulla muta solitudine.

E in appresso spuntarono dalle acque le cime dei nuovi monti; e due esseri umani, forniti di ali, uscendo dall’ultimo battello di scampo, dove l’Albani, fratello Consolatore e Glicinia erano periti, drizzarono il volo ad uno scoglio...

E su quello scoglio, i due alati, che si chiamavano Rondine e Lucarino, con assicelle e fogliami depositati dalle acque edificarono la loro capanna e vissero parecchi mesi di pescagione. E Rondine, di là a un anno, concepì...

E Lucarino si rallegrava pensando: nostro figlio avrà le ali come noi, e così sarà dei nostri discendenti, E il figlio di Rondine nacque senza ali, perché l’uomo alato sarebbe un mostro; e Lucarino, turbato da gravi sospetti, pianse amaramente.

E in seguito, Rondine e Lucarino ebbero degli altri figliuoli d’ambo i sessi, i quali crebbero e si moltiplicarono sulla faccia della terra, per rinnovare le stravaganze e le follie delle generazioni ignorate che li avevano preceduti.

fine.

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