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SCENA III.

VERMONDO che precede ERMENGARDA,

e detti. donzelle che l’accompagnano.


                       vermondo.
                    O regi, ecco Ermengarda.

                       desiderio.
Vieni, o figlia; fa cor.
     (vermondo parte: le donzelle si scostano.)

                       adelchi.
                             Sei nelle braccia
Del fratel tuo, dinanzi al padre, in mezzo
Ai fidi antichi tuoi; sei nel palagio
De’ re, nel tuo, più riverita e cara
D’allor che ne partisti.

                      ermengarda.
                              Oh benedetta
Voce de’ miei! Padre, fratello, il cielo
Queste parole vi ricambi; il cielo
Sia sempre a voi, quali voi siete ad una
Vostra infelice. Oh! se per me potesse
Sorgere un lieto dì, questo sarebbe,
Questo, in cui vi riveggo — Oh dolce madre!
Qui ti lasciai: le tue parole estreme
Io non udii; tu qui morivi — ed io...
Ah! di lassù certo or ci guardi: oh! vedi;
Quella Ermengarda tua, che di tua mano
Adornavi quel dì, con tanta gioia,
Con tanta piéta, a cui tu stessa il crine
Recidesti quel dì, vedi qual torna!
E benedici i cari tuoi, che accolta
Hanno così questa reietta.

                       adelchi.
                                    Ah! nostro
È il tuo dolor, nostro l’oltraggio.

                       desiderio.
                                          E nostro
Sarà il pensier della vendetta.

                      ermengarda.
                                  O padre,
Tanto non chiede il mio dolor; l’obblio
Sol bramo; e il mondo volentier l’accorda
Agl’infelici; oh! basta; in me finisca
La mia sventura. D’amistà, di pace
Io la candida insegna esser dovea:
Il ciel non volle: ah! non si dica almeno
Ch’io recai meco la discordia e il pianto
Dovunque apparvi, a tutti a cui di gioia
Esser pegno dovea.

                       desiderio.
                            Di quell’iniquo
Forse il supplizio ti dorria? quel vile,
Tu l’ameresti ancor?

                      ermengarda.
                             Padre, nel fondo
Di questo cor che vai cercando? Ah! nulla
Uscir ne può che ti rallegri: io stessa
Temo d’interrogarlo: ogni passata
Cosa è nulla per me — Padre, un estremo
Favor ti chieggio: in questa corte, ov’io
Crebbi adornata di speranze, in grembo
Di quella madre, or che farei? ghirlanda
Vagheggiata un momento, in su la fronte
Posta per gioco un dì festivo, e tosto
Gittata a’ piè del passeggiero. Al santo
Di pace asilo e di pietà, che un tempo
La veneranda tua consorte ergea,
— Quasi presaga — ove la mia diletta
Suora, oh felice! la sua fede strinse
A quello Sposo che non mai rifiuta,
Lascia ch’io mi ricovri. A quelle pure
Nozze aspirar più non poss’io, legata
D’un altro nodo; ma non vista, in pace
Ivi potrò chiudere i giorni.

                       adelchi.
                                Al vento
Questo presagio: tu vivrai: non diede
Così la vita de’ migliori il cielo

All’arbitrio de’ rei: non è in lor mano
Ogni speranza inaridir, dal mondo
Tôrre ogni gioia.

                      ermengarda.
                          Oh! non avesse mai
Viste le rive del Ticin Bertrada!
Non avesse la pia, del longobardo
Sangue una nuora desiata mai,
Nè gli occhi volti sopra me!

                       desiderio.
                                             Vendetta,
Quanto lenta verrai!

                      ermengarda.
                               Trova il mio prego
Grazia appo te?

                       desiderio.
                        Sollecito fu sempre
Consigliero il dolor più che fedele,
E di vicende e di pensieri il tempo
Impreveduto apportator. Se nulla
Al tuo proposto ei muta, alla mia figlia
Nulla disdir vogl’io.


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