< Adelchi < Atto quarto
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Atto quarto - Scena IV Atto quinto

SCENA V.


GUNTIGI, SVARTO.


                       svarto.
Guntigi, io vengo, e il capo mio commetto
Alla tua fede.

                       guntigi.
                    E tu n’hai pegno; entrambi
Un periglio corriamo.

                       svarto.
                          E un premio immenso
Trarne, sta in te. Vuoi tu fermar la sorte
D’un popolo e la tua?

                      guntigi.
                          Quando quel Franco
Prigion condotto entro Pavia, mi chiese
Di segreto parlar, messo di Carlo
Mi si scoverse, e in nome suo mi disse
Che l’ira di nemico a volger pronto

In real grazia egli era, e in me speranza
Molta ponea; che ogni mio danno avria
Riparato da re; che tu verresti
A trattar meco; io condiscesi: un pegno
Chiese da me; tosto de’ Franchi al campo
Nascosamente il mio figliuol mandai
Messo insieme ed ostaggio: e certo ancora
Del mio voler non sei? Fermo è del pari
Carlo nel suo?

                       svarto.
                     Dubbiar ne puoi?

                       guntigi.
                                          Ch’io sappia
Ciò ch’ei desia, ciò ch’ei promette. Ei prese
La mia cittade, e ne fe’ dono altrui;
Nè resta a me che un titol vano.

                       svarto.
                                            E giova
Che dispogliato altri ti creda, e quindi
Implacabile a Carlo. Or sappi; il grado
Che già tenesti, tu non l’hai lasciato
Che per salir. Carlo a’ tuoi pari dona
E non promette: Ivrea perdesti; il Conte,
Prendi,
                   (gli porge un diploma)
       sei di Pavia.

                       guntigi.
                           Da questo istante
Io l’ufizio ne assumo; e fiane accorto
Dall’opre il signor mio. Gli ordini suoi
Nunziami, o Svarto.

                       svarto.
                          Ei vuol Pavia; captivo
Vuole in sua mano il re: l’impresa allora
Precipita al suo fin. Verona a stento
Chiusa ancor tiensi; tranne pochi, ognuno
Brama d’uscirne, e dirsi vinto: Adelchi
Sol li ritien; ma quando Carlo arrivi,
Vincitor di Pavia, di resistenza
Chi parlerà? L’altre città che sparse
Tengonsi, e speran nell’indugio ancora,
Cadon tutte in un dì, membra disciolte
D’avulso capo: i re caduti, è tolto
Ogni pretesto di vergogna: al duro

Ostinato ubbidir manca il comando:
Ei regna, e guerra più non v’è.

                       guntigi.
                                       Sì, certo
Pavia gli è d’uopo; ed ei l’avrà: domani,
Non più tardi, l’avrà. Verso la porta
Occidental con qualche schiera ei venga:
Finga quivi un assalto; io questa opposta
Terrò sguernita, e vi porrò sol pochi
Miei fidi: accesa ivi la mischia, a questa
Ei corra; aperta gli sarà. - Ch’io, preso
Il re consegni al suo nemico, questo
Carlo da me non chieda; io fui vassallo
Di Desiderio, in dì felici, e il mio
Nome d’inutil macchia io coprirei.
Cinto di qua, di là, lo sventurato
Sfuggir non può.

                       svarto.
                      Felice me, che a Carlo
Tal nunzio apporterò! Te più felice,
Che puoi tanto per lui! - Ma dimmi ancora:
Che si pensa in Pavia? Quei che il crollante
Soglio reggere han fermo, o insieme seco
Precipitar, son molti ancora? o all’astro
Trionfator di Carlo i guardi alfine
Volgonsi e i voti? e agevol fia, siccome
L’altra già fu, questa vittoria estrema?

                       guntigi.
Stanchi e sfidati i più, sotto il vessillo
Stanno sol per costume: a lor consiglia
Ogni pensier di abbandonar cui Dio
Già da gran tempo abbandonò; ma in capo
D’ogni pensier s’affaccia una parola
Che gli spaventa: tradimento. Un’altra
Più saggia a questi udir farò: salvezza
Del regno; e nostri diverran: già il sono.
Altri, inconcussi in loro amor, da Carlo
Ormai nulla sperando....

                       svarto.
                                 Ebben, prometti:
Tutti guadagna.

                       guntigi.
                     Inutil rischio ei fia.
Lascia perir chi vuol perir: senz’essi
Tutto compir si può.

                       svarto.
                         Guntigi, ascolta.
Fedel del Re de’ Franchi io qui favello
A un suo Fedel; ma Longobardo pure
A un Longobardo. I patti suoi, lo credo,
Carlo terrà; ma non è forse il meglio
Esser cinti d’amici? in una folla
Di salvati da noi?

                       guntigi.
                         Fiducia, o Svarto,
Per fiducia ti rendo. Il dì che Carlo
Senza sospetto regnerà, che un brando
Non resterà che non gli sia devoto....
Guardiamci da quel dì! Ma se gli sfugge
Un nemico, e respira, e questo novo
Regno minaccia, non temer che sia
Posto in non cal chi glielo diede in mano.

                       svarto.
Saggio tu parli e schietto. - Odi: per noi
Sola via di salute era pur quella
Su cui corriamo; ma d’inciampi è sparsa
E d’insidie: il vedrai. Tristo a chi solo
Farla vorrà. - Poi che la sorte in questa
Ora solenne qui ci unì, ci elesse
All’opera compagni ed al periglio
Di questa notte, che obbliata mai
Da noi non fia, stringiamo un patto, ad ambo
Patto di vita: Sulla tua fortuna
Io di vegliar prometto; i tuoi nemici
Saranno i miei.

                       guntigi.
                      La tua parola, o Svarto,
Prendo, e la mia ti fermo.

                       svarto.
                                In vita e in morte.

                       guntigi.
Pegno la destra.
      (gli porge la destra: Svarto la stringe)
                      Al re de’ Franchi, amico,
Reca l’omaggio mio.

                       svarto.
                         Doman!

                       guntigi.
                                     Domani.
Amri!
                       (entra AMRI.)
       È sgombro lo spalto?

                        amri.
                                     È sgombro; e tutto
Tace d’intorno.

                       guntigi.
            (ad AMRI, accennando SVARTO)
                      Il riconduci.

                       svarto.
                                      Addio.



fine dell’atto quarto.

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