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SCENA IV.
carlo.
Così, Carlo reddiva. Il riso amaro
Del suo nemico e dell’età ventura
Gli stava innanzi; ma l’avea giurato,
Egli in Francia reddia. - Qual de’ miei prodi,
Qual de’ miei fidi, per consiglio o prego,
Smosso m’avría dal mio proposto? E un solo,
Un uom di pace, uno stranier, m’apporta
Novi pensier! No: quei che in petto a Carlo
Rimette il cor, non è costui. La stella
Che scintillava al mio partir, che ascosa
Stette alcun tempo, io la riveggo. Egli era
Un fantasma d’error quel che parea
Dall’Italia respingermi; bugiarda
Era la voce che diceami in core:
No, mai, no, rege esser non puoi nel suolo
Ove nacque Ermengarda. - Oh! del tuo sangue
Mondo son io; tu vivi: e perché dunque
Ostinata così mi stavi innanzi,
Tacita, in atto di rampogna, afflitta,
Pallida, e come dal sepolcro uscita?
Dio riprovata ha la tua casa; ed io
Starle unito dovea? Se agli occhi miei
Piacque Ildegarde, al letto mio compagna
Non la chiamava alta ragion di regno?
Se minor degli eventi è il femminile
Tuo cor, che far poss’io? Che mai faria
Colui che tutti, pria d’oprar, volesse
Prevedere i dolori? Un re non puote
Correr l’alta sua via, senza che alcuno
Cada sotto il suo piè. Larva cresciuta
Nel silenzio e nell’ombra, il sol si leva,
Squillan le trombe; ti dilegua.