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Atto terzo Atto terzo - Scena II

SCENA PRIMA


Campo de’ Longobardi. Piazza dinanzi alla tenda di Adelchi.


ADELCHI, ANFRIDO.


                       anfrido.
                  (che sopraggiunge)
Signor!

                       adelchi.
               Diletto Anfrido; ebben, che fanno
Codesti Franchi? non dan segno ancora
Le tende al tutto di levar?

                       anfrido.
                                    Nessuno
Finora: immoti tuttavia si stanno,
Quali sull’alba li vedesti, quali
Son da tre dì, poi che le prime schiere
Cominciar la ritratta. Una gran parte
Scorsi del vallo, esaminando; ascesi
Una torre, e guatai: stretti li vidi
In ordinanza, folti, all’erta, in atto
Di chi assalir non pensa, ed in sospetto
Sta d’un assalto; e più si guarda, quanto
Più scemato è di forze; e senza offesa
Ritrarsi agogna, ed il momento aspetta.

                       adelchi.
E lo potrà, pur troppo! Ei parte, il vile
Offensor d’Ermengarda, ei che giurava
Di spegner la mia casa; ed io non posso
Spingergli addosso il mio destrier, tenerlo,
Dibattermi con esso, e riposarmi
Sull’armi sue! Nol posso! In campo aperto
Stargli a fronte, non posso! in queste Chiuse,
La fè de’ pochi che a guardarle io scelsi,
Il cor di quelli ch’io prendea tra i pochi,
Compagni alle sortite, alla salvezza

Potè bastar d’un regno: i traditori
Stetter lontani dalla pugna, inerti,
Ma contenuti. In campo aperto, al Franco
Abbandonato da costor sarei,
Solo coi pochi. Oh vil trionfo! Il messo
Che mi dirà: Carlo è partito, un lieto
Annunzio mi darà: gioia mi fia
Che lunge ei sia dalla mia spada!

                       anfrido.
                                             O dolce
Signor, ti basti questa gloria. Come
Un vincitor sopra la preda, ei scese
Su questo regno, e vinto or torna: ei vinto
Si confessò quando implorò la pace,
Quando il prezzo ne offerse; e tu sei quello
Che l’hai rispinto. Il padre tuo n’esulta;
Tutto il campo il confessa; i fidi tuoi
Alteri van della tua gloria, alteri
Di dividerla teco: e quei codardi
Che a non amarti si dannar, temerti
Dovranno or più che mai.

                       adelchi.
                                    La gloria? il mio
Destino è d’agognarla, e di morire
Senza averla gustata. Ah no! codesta
Non è ancor gloria, Anfrido. Il mio nemico
Parte impunito; a nuove imprese ei corre;
Vinto in un lato, ei di vittoria altrove
Andar può in cerca; ei che su un popol regna
D’un sol voler, saldo, gittato in uno,
Siccome il ferro del suo brando; e in pugno
Come il brando lo tiensi. Ed io sull’empio
Che m’offese nel cor, che per ammenda
Il mio regno assalì, compier non posso
La mia vendetta! Un’altra impresa, Anfrido,
Che sempre increbbe al mio pensier, nè giusta
Nè gloriosa, si presenta; e questa
Certa ed agevol fia.

                       anfrido.
                          Torna agli antichi
Disegni il re?

                       adelchi.
                     Dubbiar ne puoi? Securo
Dalle minacce d’esti Franchi, incontro
L’apostolico sire il campo tosto
Ei moverà: noi guiderem sul Tebro

Tutta Longobardia, pronta, concorde
Contro gl’inermi, e fida allor che a certa
E facil preda la conduci. Anfrido,
Qual guerra! e qual nemico! Ancor ruine
Sopra ruine ammucchierem: l’antica
Nostr’arte è questa: ne’ palagi il foco
Porremo e ne’ tuguri: uccisi i primi,
I signori del suolo, e quanti a caso
Nell’asce nostre ad inciampar verranno,
Fia servo il resto, e tra di noi diviso;
E ai più sleali e più temuti, il meglio
Toccherà della preda. - Oh! mi parea,
Pur mi parea che ad altro io fossi nato,
Che ad esser capo di ladron; che il cielo
Su questa terra altro da far mi desse
Che, senza rischio e senza onor, guastarla.
- O mio diletto! O de’ miei giorni primi,
De’ giochi miei, dell’armi poi, de’ rischi
Solo compagno e de’ piacer; fratello
Della mia scelta, innanzi a te soltanto
Tutto vola sui labbri il mio pensiero.
Il mio cor m’ange, Anfrido: ei mi comanda
Alte e nobili cose; e la fortuna
Mi condanna ad inique; e strascinato
Vo per la via ch’io non mi scelsi, oscura,
Senza scopo; e il mio cor s’inaridisce,
Come il germe caduto in rio terreno,
E balzato dal vento.

                       anfrido.
                          Alto infelice!
Reale amico! Il tuo fedel t’ammira,
E ti compiange. Toglierti la tua
Splendida cura non poss’io, ma posso
Teco sentirla almeno. Al cor d’Adelchi
Dir che d’omaggi, di potenza e d’oro
Sia contento, il poss’io? dargli la pace
De’ vili, il posso? e lo vorrei, potendo?
- Soffri e sii grande: il tuo destino è questo,
Finor: soffri, ma spera: il tuo gran corso
Comincia appena; e chi sa dir, quai tempi,
Quali opre il cielo ti prepara? Il cielo
Che re ti fece, ed un tal cor ti diede.

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