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aiace
Strofe I
Cari nocchieri, fra quanti m’amarono
soli rimasti fedeli nei termini
di lealtà, non vedete che turbine,
che sanguinëo flutto
ora m’avvolge tutto?
coro
Ahi, che purtroppo il vero dice; e chiaro
mostrano i fatti che non v’ha riparo.
aiace
Antistrofe I
Stirpi dell’arte navale sollecite,
che vanamente sedeste al remeggio,
voi sole vedo fra tutte, partecipi
ancor della mia sorte.
Or datemi aiuto alla morte.
coro
Augura il ben, ché per erronea cura
non sia la doglia piú che la sciagura.
aiace
Strofe II
Vedi l’ardito, l’impavido cuore
che nelle pugne mai seppe il terrore,
l’invitto contro ogni fiera selvaggia?
Chi mi schernisce adesso, ahi, chi m’oltraggia!
tecmessa
Non dir cosí, ti prego, Aiace re!
aiace
Lunge non vai? Non volgi altrove il pie’?
Ahimè!
tecmessa
Cedi, in nome dei Numi, e torna in te.
aiace
Ahi, me tapino, lasciai che di man mi sfuggissero gli empi,
e sui cornigeri bovi piombando, e su l’agili greggi,
il negro lor sangue versai.
coro
Per quanto fu, ché gemi? Alcuna via
non c’è, che quanto fu, stato non sia.
aiace
Antistrofe II
O di Laerte figliuolo dai cento
volti, o di mali perpetuo strumento,
dell’esercito sozzo volutabro,
come godi! Che scherno è sul tuo labro!
coro
Riso e pianto a ciascun partisce un Dio.
aiace
Lo intendo, pure a tal distretta, anch’io.
Ahi, ahi!
coro
Vedi a che sei? Non favellare altero.
aiace
Giove, antichissimo padre degli avoli miei1, deh, concesso
mi sia quel sozzo furbo trafiggere, e insieme i due re,
e dopo soccombere io stesso.
tecmessa
Se questo invochi, invoca anche per me
la morte: a che vivrei, priva di te?
aiace
Strofe III
O tu mia luce, o tenebra,
Èrebo che per me sei fulgidissimo,
ospite ricevetemi,
ricevetemi, ch’io fissar non merito
sovra i Celesti il ciglio, e non sugli uomini:
tanto sono io disutile.
Ché la figlia pugnace
di Giove, a vituperio
vuole or distrutto Aiace.
Di fuga quale via
mi s’apre, o qual ricovero,
se qui mi trovo in mezzo a tanto scempio,
se preda son di selvaggia follia.
se tutto il campo e l’uno e l’altro re
s’avventerà su me?
tecmessa
Misera me, quando parlare s’ode
come pria d’or mai non parlava, un prode!
aiace
Antistrofe III
O rumorosi tramiti
del mar, caverne e selve della spiaggia,
lungo, ben lungo indugio
io feci, ad Ilio. Or trattenermi, e ch’alito
mi resti, piú non vi sarà possibile:
ben può, chi vuole, intendermi.
Dello Scamandro o rivi
prossimi, che benevoli
foste sempre agli Argivi,
piú non vedrete — lode
sarà la mia non piccola —
un uomo tale, quale mai non videro
d’Ilio le genti giunger dalle prode
d’Ellade, al campo achivo. Or giaccio, spoglio
d’onore, in tal cordoglio.
coro
Un freno importi — in tanto duol piombasti —
non posso; e pur convien ch’io ti contrasti.
- ↑ [p. 244 modifica]Giove è detto da Aiace antichissimo padre, perché Aiace era figlio di Telamone, Telamone di Eaco, Eaco di Giove e di Egina.