< Alcyone
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Il fanciullo
La tregua Lungo l'Affrico (Nella sera di giugno dopo la pioggia)



IL FANCIULLO.

I.

F
IGLIO della Cicala e dell’Olivo,

nell’orto di qual Fauno
tu cogliesti la canna pel tuo flauto,
pel tuo sufolo doppio a sette fóri?

5In quel che ha il nume agresto entro un’antica
villa di Camerata
deserta per la morte di Pampínea?
O forse lungo l’Affrico che riga
la pallida contrada
10ove i campi il cipresso han per confine?
Più presso, nella Mensola che ride
sotto il ponte selvaggia?
Più lungi, ove l’Ombron segue la traccia
d’Ambra e Lorenzo canta i vani ardori?

15Ma il mio pensier mi finge che tu colta
l’abbia tra quelle mura
che Arno parte, negli Orti Oricellari,
ove dalla barbarie fu sepolta,
ahi sì trista, la Musa
20Fiorenza che cantò ne’ dì lontani
ai lauri insigni, ai chiari

fonti, all’eco dell’inclite caverne,
quando di Grecia le Sirene eterne
venner con Plato alla Città dei Fiori.

25Te certo vide Luca della Robbia,
ti mirò Donatello,
operando le belle cantorìe.
Tutte le frutta della Cornucopia
per forza di scalpello
30fecero onuste le ghirlande pie.
E tu danzavi le tue melodìe,
nudo fanciul pagano,
àlacre nel divin marmo apuano
come nell’aria, conducendo i cori.

35Figlio della Cicala e dell’Olivo,
or col tuo sufoletto
incanti la lucertola verdognola
a cui sopra la selce il fianco vivo
palpita pel diletto
40in misura seguendo il dolce suono.
Non tu conosci il sogno
forse della silente creatura?
Ver lei ti pieghi: in lei non è paura:
tu moduli secondo i suoi colori.


45Tu moduli secondo l’aura e l’ombra
e l’acqua e il ramoscello
e la spica e la man dell’uom che falcia,
secondo il bianco vol della colomba,
la grazia del torello
50che di repente pavido s’inarca,
la nuvola che varca
il colle qual pensier che seren volto
muti, l’amore della vite all’olmo,
l’arte dell’ape, il flutto degli odori.

55Ogni voce in tuo suono si ritrova
e in ogni voce sei
sparso, quando apri e chiudi i fóri alterni.
Par quasi che tu sol le cose muova
mentre solo ti bei
60nell’obbedire ai movimenti eterni.
Tutto ignori, e discerni
tutte le verità che l’ombra asconde.
Se interroghi la terra, il ciel risponde;
se favelli con l’acque, odono i fiori.

65O fiore innumerevole di tutta
la vita bella, umano
fiore della divina arte innocente,
preghiamo che la nostra anima nuda

si miri in te, preghiamo
70che assempri te maravigliosamente!
L’immensa plenitudine vivente
trema nel lieve suono
creato dal virgineo tuo soffio,
e l’uom co’ suoi fervori e i suoi dolori.

II.

75
O
R la tua melodia

tutta la valle come un bel pensiere
di pace crea, le due canne leggiere
versando una la luce ed una l’ombra.

La spiga che s’inclina
80per offerirsi all’uomo
e il monte che gli dà pietre del grembo,
se ben l’una vicina
e l’altro sia rimoto
e l’una esigua e l’altro ingente, sembra
85si giungano per l’aere sereno
come i tuoi labbri e le tue dolci canne,
come su letto d’erbe amato e amante,
come i tuoi diti snelli e i sette fóri,

come il mare e le foci,
90come nell’ala chiare e negre penne

come il fior del leandro e le tue tempie,
come il pampino e l’uva,
come la fonte e l’urna,
come la gronda e il nido della rondine,
95come l’argilla e il pollice,
come ne’ fiori tuoi la cera e il miele,
come il fuoco e la stipula stridente.
come il sentiere e l’orma,
come la luce ovunque tocca l’ombra.

III.

100
S
opor mi colse presso la fontana.

Lo sciame era discorde:
avea due re; pendea come due poppe
fulve. E il rame s’udìa come campana.

Ti vidi nel mio sogno, o lene aulete.
105Lottato avevi ignudo
contro il torrente folle di rapina.
Raccolto avevi piuma di sparviere
che a sommo del ciel muto
in sue rote ferìa l’aer di strida.
110Ahi, lungi dalle tue musiche dita
gittato avevi i calami forati.
Chino con sopraccigli corrugati
eri, fanciul pugnace,

intento a farti archi da saettare
115col legno della flèssile avellana.

IV.

E
LEGGERE sapesti il re splendente

nello sciame diviso,
ridere d’un tuo bel selvaggio riso
spegnendo il fuco sterile e sonoro.

120Con la man tinta in mele di sosillo
traesti fuor la troppa
signoria. Cauto e fermo la calcavi.
Sporgeva a modo d’uvero di poppa
il buon sire tranquillo
125che fu re delle artefici soavi.
Poi franco te n’andavi
sonando per le prata di trifoglio,
incoronato d’ellera e d’orgoglio,
entro la nube delle pecchie d’oro.

V.

130
L
’ACQUA sorgiva fra i tuoi neri cigli

fecesi occhio che vede e che sorride;
fecesi chioma su la tua cervice
il crespo capelvenere.


Fatto sei di segreto e di freschezza.
135Fatte sono di làtice
fluido e d’umide fibre le tue membra.
Il tuo spirto, dal fonte come il salice
ma senza l’amarezza
nato, le amiche naiadi rimembra;
140tutte le polle sembra
trarre per le invisibili sue stirpi.
E se gli occhi tuoi cesii han neri cigli,
ha neri gambi il verde capelvenere.

Converse le tue canne sono in chiari
145vetri, onde lenti i suoni
stillano come gocce da clessidre.
S’appressano i colùbri maculosi,
gli aspidi i cencri e gli angui
e le ceraste e le verdissime idre.
150Taciti, senza spire,
eretti i serpi bevono l’incanto.
Sol le bìfide lingue a quando a quando
tremano come trema il capelvenere.

Sino ai ginocchi immerso nella cupa
155linfa, alla venenata
greggia tu moduli il tuo lento carme.
Par che da’ piedi tuoi torta sia nata

radice e di natura
erbida par ti sien fatte le gambe.
160Ma il fior della tua carne
suso come il nenùfaro s’ingiglia.
E se gli occhi tuoi cesii han nere ciglia,
neri ha gli steli il verde capelvenere.

VI.

S
E t’è l’acqua visibile negli occhi

165e se il làtice nudre le tue carni,
viver puoi anco ne’ perfetti marmi
e la colonna dorica abitare.

Natura ed Arte sono un dio bifronte
che conduce il tuo passo armonioso
170per tutti i campi della Terra pura.
Tu non distingui l’un dall’altro volto
ma pulsare odi il cuor che si nasconde
unico nella duplice figura.
O ignuda creatura,
175teco salir la rupe veneranda
voglio, teco offerire una ghirlanda
del nostro ulivo a quell’eterno altare.

Torna con me nell’Ellade scolpita
ove la pietra è figlia della luce

180e sostanza dell’aere è il pensiere.
Navigando nell’alta notte illune,
noi vedremo rilucere la riva
del diurno fulgor ch’ella ritiene.
Stamperai nelle arene
185del Fàlero orme ardenti. Ospiti soli
presso Colono udremo gli usignuoli
di Sofocle ad Antigone cantare.

Vedremo nei Propìlei le porte
del Giorno aperte, nell’intercolunnio
190tutto il cielo dell’Attica gioire;
nel tempio d’Erettèo, coro notturno
dai negricanti pepli le sopposte
vergini stare come urne votive;
la potenza sublime
195della Città, transfusa in ogni vena
del vital marmo ov’è presente Atena,
regnar col ritmo il ciel la terra il mare.

Alcun arbore mai non t’avrà dato
gioia sì come la colonna intatta
200che serba i raggi ne’ suoi solchi eguali
All’ora quando l’ombra sua trapassa
i gradi, tu t’assiderai sul grado
più alto, co’ tuoi calami toscani.

La Vittoria senz’ali
205forse t’udrà, spoglia d’avorio e d’oro;
e quella alata che raffrena il toro;
e quella che dislaccia il suo calzare.

Taci! La cima della gioia è attinta.
Guarda il Parnete al ciel, come leggiero!
210Guarda l’Imetto roscido di miele!
Flessibile m’appar come l’efebo,
vestito della clamide succinta,
che cavalcò nelle Panatenee.
Sorse dall’acque egee
215il bel monte dell’api e fu vivente.
Or tuttavia nella sua forma ei sente
la vita delle belle acque ondeggiare.

Seno d’Egina! Oh isola nutrice
di colombe e d’eroi! Pallida via
220d’Eleusi coi vestigi di Demetra!
Splendore della duplice ferita
nel fianco del Pentelico! Armonie
del glauco olivo e della bianca pietra!
Ogni golfo è una cetra.
225Tu taci, aulete, e ascolti. Per l’Imetto
l’ombra si spande. Il monte violetto
mormora e odora come un alveare.


VII.

L
’ODO fuggir tra gli arcipressi foschi,

e l’ansia il cor mi punge.
230Ei mi chiama di lunge
solo negli alti boschi, e s’allontana.

Mutato è il suon delle sue dolci canne.
Trèmane il cor che l’ode,
balza se sotto il piè strida l’arbusto;
235pavido è fatto al rombo del suo sangue,
ed altro più non ode
il cor presàgo di remoto lutto.
Prego: “O fanciul venusto,
non esser sì veloce
240ch’io non ti giunga!„ È vana la mia voce.
Melodiosamente ei s’allontana.

Elci nereggian dopo gli arcipressi,
antiqui arbori cavi.
Pascono suso in ciel nuvole bianche.
245A quando a quando tra gli intrichi spessi
le nuvole soavi
son come prede tra selvagge branche.
E sempre odo le canne
gemere d’ombra in ombra
250roche quasi richiamo di colomba
che va di ramo in ramo e s’allontana.


“O fanciullo fuggevole, t’arresta!
Tu non sai com’io t’ami,
intimo fiore dell’anima mia.
255Una sol volta almen volgi la testa,
se te la inghirlandai,
bel figlio della mia melancolìa!
Con la tua melodia
fugge quel che divino
260era venuto in me, quasi improvviso
ritorno dell’infanzia più lontana.

Fa che l’ultima volta io t’incoroni,
pur di negro cipresso,
e teco io sia nella dolente sera!„
265Ei nell’onda volubile dei suoni
con un gentil suo gesto,
simile a un spirto della primavera,
volgesi; alla preghiera
sorride, e non l’esaude.
270L’ansia mia vana odo sol tra le pause,
mentre che d’ombra in ombra ei s’allontana.

Ad un fonte m’abbatto che s’accoglie
entro conca profonda
per aver pace, e un elce gli fa notte.
275“O figlio, sosta! Imiterai le foglie

e l’acque anche una volta
e i silenzii del dì con le tue note.
Sediamo in su le prode.
Fa ch’io veda l’imagine
280puerile di te presso l’imagine
di me nel cupo speglio!„ Ei s’allontana.

S’allontana melodiosamente
né più mi volge il viso,
emulo di Favonio ei nel suo volo.
285Sol calando, la plaga d’occidente
s’infiamma; e d’improvviso
tutta la selva è fatta un vasto rogo.
Le nuvole di foco
ardono gli elci forti,
290aerie vergini al disìo dei mostri.
Giugne clangor di buccina lontana.

E un tempio ecco apparire, alte ruine
cui scindon le radici
errabonde. Gli antichi iddii son vinti.
295Giaccion tronche le statue divine
cadute dai fastigi;
dormono in bruni pepli di corimbi.
Lentischi e terebinti
l’odor dei timiami

300fan loro intorno. “O figlio, se tu m’ami,
sosta nel luogo santo!„ Ei s’allontana.

“Rialzerò le candide colonne,
rialzerò l’altare
e tu l’abiterai unico dio.
305M’odi: te l’ornerò con arti nuove.
E non avrà l’eguale.
Maraviglioso artefice son io.
T’adorerò nel mio
petto e nel tempio. M’odi,
310figlio! Che immortalmente io t’incoroni!„
Nel gran fuoco del vespro ei s’allontana.

Si dilegua ne’ fiammei orizzonti.
Forse è fratel degli astri.
O forse nel mio sogno s’è converso?
315“Ti cercherò, ti cercherò ne’ monti,
ti cercherò per gli aspri
torrenti dove ti sarai deterso.
E ti vedrò diverso!
Gittato avrai le canne,
320intento a farti archi da saettare
col legno della flèssile avellana.„

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