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Seghe di Velo, agosto del ’94.
Dopo Schio s’entrò nella verde valletta dell’Astico, dove fuor dai pioppi e dalle robinie selvatiche emergevano a tratti case bianche dai tetti rossi strette a torno a un campanile. Nell’atmosfera pura e serena si sentivano le prealpi. Il treno radeva le falde dei monti che si facevano sempre più alti e rupestri.
Nel vagone non era con me che una signorina bionda, vestita di bianco, una fraülein che leggeva un grosso libro dal titolo tedesco. Le stazioni passavano, la ragazza non discendeva, e io sapevo che dopo Seghe di Velo vi era solo la stazione di Arsiero. Dove andava mai la piccola bionda vestita di bianco, sola, senza bagagli? Ella era troppo assorta nel suo libro perchè io osassi parlarle; appena guardava a volta a volta il paesaggio, quasi già le fosse notissimo. Pensai che anche ella andasse alla villa Fogazzaro, e come un lampo mi passò per la mente il ricordo del Mistero del Poeta. Che fosse Violet o Luisa, o una delle altre donne buone un po’ tristi che profumano quel libro carissimo? Chi sa: mi piacque figurarmela tale e chiusi il libro che leggevo, per meglio fantasticare. Ella guardò il mio libro chiuso, curiosamente (era un recente volume di psicologia del Sergi) e, quando ne ebbe letto il titolo, per un attimo mi guardò in viso un po’ stupita.
Forse anche ella si chiese se io mai andassi alla villa Fogazzaro. E, pur tacendo, ci intendemmo così.
Alla stazione — una minuscola stazione dove il capo è una donna e il personale è composto da un solo facchino — molte signore attendevano la mia compagna di viaggio e la accolsero con molti baci e molti lieti saluti. Un uomo cui domandai dove fosse un albergo e dove fosse la villa Fogazzaro, mi disse indicandomi il gruppo femminile:
— Quelle sono le signore Fogazzaro. Quello che avevo immaginato prendeva consistenza di realità.
⁂
Verso sera salii alla villa del poeta, che è poco lontana dal villaggio di Velo. In quel punto la valle è così stretta che forma gola e i monti serrano da presso il letto dell’Astico appena difeso contro gli imminenti giganti da lunghi filari di pioppi pallidissimi. La sera era quietissima in quella solitudine montana, come in un chiostro alto ed immenso: dal nord scendevano molte nuvole grige e incoronavano il Corno Dogale e la Priaforà. In quel paesaggio si svolge il Daniele Cortis.
Dopo le cortesi parole del saluto, incominciò il colloquio. E, prima d’ogni altra cosa, poi che in Italia egli sembra il capo di tutta una resurrezione neomistica nell'arte e nella letteratura, io gli domandai quale origine questo misticismo avesse avuto in lui e nell’opera sua:
— E, sopra tutto, è effetto di reazione contro il puro e crudo naturalismo o è spontaneo e instintivo?
— In me il misticismo è naturale, non è effetto di reazione. Già, Miranda escì nel 1874 quando ancora il naturalismo che mette capo a Zola non aveva avuto trionfi così clamorosi e continui da eccitare una reazione. Ora in Miranda il bisogno del supernaturale e del superumano è chiaro, mi pare. Fin da bimbo, anche per ragioni di famiglia, io ho vissuto in quelle idee, e ormai ho cinquantadue anni.
Io lo guardai bene in volto. Antonio Fogazzaro valido, eretto, sicuro nel contegno e nella parola, elegante negli abiti, giovane e speranzoso nello spirito, non dimostra certamente più di quarant’anni. La bocca è quasi sempre sorridente, gli occhi hanno un’arguzie tutta veneta e appaiono chiari nel colorito bruno del volto, i capelli son grigi ma ancora folti. Il segno più geniale del suo viso è la fronte. Egli seguitava:
— Allora leggevo tutti i libri che si accordassero a quella mia aspirazione: molti libri inglesi; tra i francesi, godetti sommamente le Contemplations di Victor Hugo. Poi lentamente — se ne toglie qualche libro di filosofia, specialmente inglese — io ho finito per evitar la lettura di libri costruiti sopra idee simili alle mie. Adesso leggo quasi sempre libri di maestri naturalisti: studio e ammiro lo Zola con entusiasmo. Quindi è ammissibile che inconsciamente la mia prima natura si sia per via di reazione rafforzata, si sia armata alla lotta; ma io non sono un valido lottatore, sono un solitario che si compiace nella solitudine. Scendo spesso a Vicenza per gli affari miei o per gli affari del Comune, non parlo mai d’arte con nessuno. Al primo inverno verrò a Roma a fare una conferenza al Collegio Romano.
— E il tema?
— Tratterò tutti i fenomeni misteriosi dell’al di là: spiritismo, ipnotismo, suggestione. Nel principio determinante questa conferenza si riattacca alla prima mia Per la bellezza di un idea.
— Ha visto quanto alcuni letterati italiani ora si agitino a proposito del neo-misticismo?
— Accetto la sua parola neo-misticismo, sebbene non corrisponda alla mia idea. Ho visto e seguito accuratamente il movimento che nel giornale di Matilde Serao si è ultimamente manifestato. Se posso parlar francamente, le dirò che io non credo alla sincerità di tutti quelli scrittori; ossia, essi sono in buona fede, ma il loro moto è sorto o per via di reazione o per causa di moda; non è naturale, originario, istintivo, vitale. Uno scrittore che ha sommo ingegno e vive chiuso nella sua idea come in un giardino, è Giulio Salvadori, a Roma. Egli è sincero, e io ne sono orgoglioso perchè egli molti anni fa mi scrisse che la lettura del Daniele Cortis lo aveva tanto confortato nella sua fede novella.
— Ma questo suo misticismo fa capo a una sua fede intima, unica, originale, o ritoma nel gran fiume del cattolicesimo?
— Oh, io sono cattolico rigido, severo, convinto. Alla mia fede non concedo dubbi od oscillazioni. Io non mi foggio una religione comoda e mia, ma accetto sottomesso il cristianesimo cattolico, e ne sono entusiasta. Bisogna guardare il cattolicismo con occhi che giungan lontano.
In Italia è stato ed è sempre piccolo e pusillo, nella sua veste apparente. Guardi in America la questione dei Knights of labour che prima fu ripudiata dall’arcivescovo di Quebec e poi fu accettata dai prelati più accorti e più savii con parole tali che qui in Italia sembrerebbero impossibili in bocca di preti. Essi giunsero a proclamare la massima che la Chiesa deve assecondare i movimenti delle maggioranze nazionali! E ancóra, guardi a Chicago il congresso delle religioni dove un principe della Chiesa ha intonato tra i sacerdoti più diversi, tra bramini, tra maomettani, tra confucisti, tra ulemi una preghiera cristiana, e tutti universalmente hanno in coro risposto con altissime voci.
Non è sommo questo spettacolo? E io non le cito che i casi più prossimi, più visibili, più facili alla memoria. Noi, noi siamo piccoli, i nostri occhi sono deboli, le nostre menti sono ristrette. Ma il cattolicismo è immenso e santo ed eterno.
Noi eravamo usciti all’aperto. Io non dimenticherò mai quello spettacolo solenne.
Nella notte oscurissima gli alberi della selva stormivano come un mare profondo che giù nella gola si frangesse ai dirupi, e a volta a volta baleni bianchi di tra le nubi rischiaravano le vette nude dei monti, illuminavano la faccia del poeta. Egli ripeteva assorto;
— Noi, noi siamo piccoli, e i nostri occhi sono deboli. Poi si scosse, sorrise forse comprendendo come quelle parole tra quella scena a torno assumessero, quasi teatralmente, un tono troppo solenne, e osservò argutamente:
— Bella notte per parlare di misticismo!
⁂
— Accanto a questo suo cattolicismo fervente, quali sono i suoi ideali patriottici?
— Ma non ni fraintenda, per carità! Io sono liberale, liberalissimo, per mia convinzione e per tradizioni familiari. E non solo venero la mia patria ricomposta a unità, ma ho fiducia nel suo avvenire fuori delle incertezze odierne. Io non sono pessimista, e le assicuro che nulla mi fa soffrire così come l’udire qualcuno tristamente dubitare esclamando: — Eh dopo tutto gli Austriaci!... E ne vuole la prova? Il mio prossimo libro studierà quel periodo dal ’48 al ’59, quando l’idea della patria ardeva somma sui nostri monti.
— E che titolo avrà il libro?
— Piccolo mondo antico, e spero nell’anno di finirlo.
— Per congiungere i suoi ideali di socialismo a quelli di cattolico, quale via ella ha tenuta?
— Ma, una via naturalissima. Io sono un convinto socialista cattolico. La parola di Cristo è il Verbo del socialismo più sano, più retto e anche più audace: nessuna contraddizione fra i due. Per questo io non ho compreso come Matilde Serao in una recente inchiesta sul socialismo abbia scritto che la unica cosa che le dispiaceva nella dottrina di Cristo era appunto il socialismo. Ma ne è il fondamento, perbacco! Cristo in tutte le sue parole ha dato i canoni della mutazione sociale. E io li seguo anche fuori della teoria, propugnandoli nei libri e realizzandoli per quel poco che io posso. — Il socialismo ucciderà o modificherà l’arte?
— Uccidere l’arte? Ma l’arte non muore.
L’arte, come la religione, è una funzione sociale inesauribile. L’arte si modificherà certamente, e, sopratutto, sarà più sincera. Già gli scrittori giovani di oggi sono più sinceri degli scrittori di trent’anni o di cinquant’anni fa.
— Ella spera in un risveglio della letteratura italiana?
— Ma ne sono certissimo. Certo ora ogni risveglio è conculcato dalle incerte e dannose condizioni politiche ed economiche. Ed è meraviglia vedere quanto si produca e si operi malgrado quelle condizioni avverse.
— Come concilia ella il suo socialismo, con quel suo saldo amore della patria, o, meglio, della unità della patria?
— Il significato della parola patriottismo si modifica continuamente. Una volta era inteso come brama continua di conquista brutale illimitata; ora è sentimento di egemonia e per taluni solo un sentimento di indipendenza. L’idea di fratellanza tra le nazioni cresce, si svolge, convince. Essa modificherà ancora l’ideale patriottico.
— Che ne pensa ella di Tolstoi?
— E una mente somma squilibrata, ma coraggiosissima. Respinge tutto quel che non si misura al suo metro. Anna Karenina è tra i massimi romanzi del secolo.
Ora egli è divenuto più un critico filosofo che un narratore.
⁂
La mattina dopo assai di buon’ora, Antonio Fogazzaro mi condusse a fare una lunga passeggiata nella meravigliosa villa dei Velo. Il conversare fu più intimo e vario e dolcissimo nella memoria. E quella villa su la costa del monte e fu piantata da quel conte Egidio di Velo che Ugo Foscolo nel suo epistolario chiama col nomignolo quattro comuni. Anche il Foscolo vi soggiornò. La villa, ora minima rispetto all’antica grandezza, è pure immensa e imponente, ha una varietà grande di piante e fresche acque cadenti invisibilmente tra le rupi sotto le felci e i ciclami.
Anche qui il pensiero che quel paesaggio ariostesco, ampio e pur misterioso, è stato descritto da penna maestrevole nel Daniele Cortis mi arresta.
Poi che la conversazione diveniva intima e amichevole, io osai una domanda che dalla sera innanzi mi tormentava:
— Quella signorina tedesca che ieri ha viaggiato con me è un personaggio del Mistero del poeta?
— Come lo ha indovinato? È proprio così. È la Luisa... Ella si rammenta?