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SCENA SECONDA
Aminta. Dafne. Nerina.
- Aminta
- DIspietata pietate
Fù la tua veramente, ò Dafne, allhora,
Che ritenesti il dardo,
Però che ’l mio morire
Più amaro sarà, quanto più tardo
Et hor, perché m’avvolgi
Per si diverse strade, e per si varij
Ragionamenti in vano? di che temi?
Ch’io non m’uccida? temi del mio bene.
- Dafne
- Non disperar, Aminta,
Che, s’io lei ben conosco,
Sola vergogna fù, non crudeltate,
Quella, che mosse Silvia à fuggir via.
- Aminta
- Ohime, che mia salute
Sarebbe il disperare,
Poiche sol la speranza
È stata mia rovina, et anco, ahi lasso,
Tenta di germogliar dentr’al mio petto,
Sol perche io viva: e quale è maggior male
De la vita d’un misero, com’io?
- Dafne
- Vivi misero, vivi
Ne la miseria tua: e questo stato
Sopporta sol per divenir felice
Quando che sia. fia premio de la speme,
Se vivendo, e sperando, ti mantieni
Quel che vedesti ne la bella ignuda.
- Aminta
- Non pareva ad Amor, e à mia Fortuna,
Ch’à pien misero fossi, s’anco à pieno
Non m’era dimostrato
Quel, che m’era negato.
- Nerina
- Dunque à me pur convien’esser sinistra
Còrnice d’amarissima novella,
O’ per mai sempre misero Montano,
Qual’animo fia’l tuo, quando udirai
De l’unica tua Silvia il duro caso?
Padre vecchio, orbo padre: ahi, non più padre.
- Dafne
- Odo una mesta voce. Aminta Io odo ’l nome,
Di Silvia, che gli orecchi, e’l cor mi fere:
Ma, chi è, che la noma? Dafne Ella è Nerina,
Ninfa gentil, che tanto à Cintia è cara,
C’ha si begli occhi, e così belle mani,
E modi si avvenenti, e gratiosi.
- Nerina
- E pur voglio, che’l sappi, e che procuri
Di ritrovar le reliquie infelici,
Se nulla ve ne resta. ahi, Silvia, ahi dura
Infelice tua sorte.
- Aminta
- Ohime, che fia? che costei dice. Nerina O Dafne.
- Dafne
- Che parli fra te stessa, e perche nomi
Tu Silvia, e poi sospiri? Nerina Ahi, ch’à ragione
Sospiro l’aspro caso. Aminta Ahi, di qual caso
Può ragionar costei? io sento, io sento,
Che mi s’agghiaccia il core, e mi si chiude
Lo spirto. è viva?
- Dafne
- Narra, qual’aspro caso è quel, che dici?
- Nerina
- O Dio, perche son’io
La messaggiera? e pur convien narrarlo.
Venne Silvia al mio albergo ignuda: e, quale
Fosse l’occasion, saper la dei:
Poi rivestita mi pregò, che seco
Ir volessi à la caccia, che ordinata
Era nel bosco, c’hà nome de l’Elci.
Io la compiacqui: andammo: e ritrovammo
Molte Ninfe ridotte, et indi à poco
Ecco, di non so d’onde un lupo sbuca,
Grande fuor di misura, e da le labra
Gocciolava una bava sanguinosa:
Silvia un quadrello adatta su la corda
D’un’Arco, ch’io le diedi, e tira, e’l coglie
A sommo ’l capo: ei si rinselva, ed ella,
Vibrando un dardo, dentro ’l bosco il segue.
- Aminta
- O dolente principio: ohime, qual fine
Già mi s’annuncia? Nerina Io con un’altro dardo
Seguo la traccia, ma lontana assai,
Ché più tarda mi mossi. come furo
Dentro à la selva, più non la rividi,
Ma pur per l’orme lor tanto m’avvolsi,
Che giunsi nel più folto, e più deserto.
Quivi il dardo di Silvia in terra scorsi,
Né molto indi lontano un bianco velo,
Ch’io stessa le ravvolsi al crine: e, mentre
Mi guardo intorno, vidi sette lupi,
Che leccavan di terra alquanto sangue
Sparto intorno à cert’ossa affatto nude;
E fù mia sorte, ch’io non fui veduta
Da loro: tanto intenti erano al pasto:
Tal che, piena di tema, e di pietate,
Indietro ritornai: e questo è quanto
Posso dirvi di Silvia: et ecco’l velo.
- Aminta
- Poco parti haver detto? ò velo, ò sangue,
O Silvia, tu se’ morta. Dafne O’ miserello,
Tramortito d’affanno, e forse morto.
- Nerina
- Egli rispira pure: questo fia
Un breve svenimento: ecco, riviene.
- Aminta
- Dolor, che sì mi crucij,
Che non m’uccidi homai? tu sei pur lento.
Forse lasci l’officio à la mia mano.
Io son, io son contento,
Ch’ella prenda tal cura,
Poi che tu la ricusi, ò che non puoi.
Ohime, se nulla manca
A la certezza homai,
E nulla manca al colmo
De la miseria mia,
Che bado? che più aspetto? ò Dafne, ò Dafne,
A questo amaro fin tu mi salvasti,
A questo fine amaro?
Bello, e dolce morir fù certo allhora,
Che uccidere io mi volsi.
Tu me’l negasti, e’l Ciel, à cui parea,
Ch’io precorressi col morir la noia,
Ch’apprestata m’havea.
Hor, che fatt’hà l’estremo
De la sua crudeltate,
Ben soffrirà, ch’io moia,
E tu soffrir lo dei.
- Dafne
- Aspetta à la tua morte,
Sin che’l ver meglio intenda.
- Aminta
- Ohime, che vuoi, ch’attenda?
Ohime, che troppo hò atteso, e troppo inteso.
- Nerina
- Deh, foss’io stata muta.
- Aminta
- Ninfa, dammi, ti prego,
Quel velo, ch’è di lei
Solo, e misero avvanzo,
Sì, ch’egli m’accompagne
Per questo breve spatio
E di via, e di vita, che mi resta,
E con la sua presenza
Accresca quel martire,
Ch’è ben picciol martire,
S’hà bisogno d’aiuto al mio morire.
- Nerina
- Debbo darlo, ò negarlo?
La cagion, perche’l chiedi,
Fa, ch’io debba negarlo.
- Aminta
- Crudel, sì picciol dono
Mi neghi al punto estremo?
E’n questo anco maligno
Mi si mostra il mio fato. io cedo, io cedo:
A te si resti, e voi restate ancora,
Ch’io vò per non tornare.
- Dafne
- Aminta, aspetta, ascolta:
Ohime, con quanta furia egli si parte.
- Nerina
- Egli và si veloce,
Che fia vano il seguirlo; ond’è pur meglio,
Ch’io segua il mio viaggio: e forse è meglio,
Ch’io taccia, e nulla conti
Al misero Montano.