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Atto terzo
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SCENA SECONDA


Aminta. Dafne. Nerina.


Aminta
D
Ispietata pietate

Fù la tua veramente, ò Dafne, allhora,
Che ritenesti il dardo,
Però che ’l mio morire
Più amaro sarà, quanto più tardo
Et hor, perché m’avvolgi
Per si diverse strade, e per si varij
Ragionamenti in vano? di che temi?

Ch’io non m’uccida? temi del mio bene.

Dafne
Non disperar, Aminta,

Che, s’io lei ben conosco,
Sola vergogna fù, non crudeltate,
Quella, che mosse Silvia à fuggir via.

Aminta
Ohime, che mia salute

Sarebbe il disperare,
Poiche sol la speranza
È stata mia rovina, et anco, ahi lasso,
Tenta di germogliar dentr’al mio petto,
Sol perche io viva: e quale è maggior male
De la vita d’un misero, com’io?

Dafne
Vivi misero, vivi

Ne la miseria tua: e questo stato
Sopporta sol per divenir felice
Quando che sia. fia premio de la speme,
Se vivendo, e sperando, ti mantieni
Quel che vedesti ne la bella ignuda.

Aminta
Non pareva ad Amor, e à mia Fortuna,

Ch’à pien misero fossi, s’anco à pieno
Non m’era dimostrato
Quel, che m’era negato.

Nerina
Dunque à me pur convien’esser sinistra

Còrnice d’amarissima novella,
O’ per mai sempre misero Montano,
Qual’animo fia’l tuo, quando udirai
De l’unica tua Silvia il duro caso?
Padre vecchio, orbo padre: ahi, non più padre.

Dafne
Odo una mesta voce. Aminta Io odo ’l nome,

Di Silvia, che gli orecchi, e’l cor mi fere:

Ma, chi è, che la noma? Dafne Ella è Nerina,
Ninfa gentil, che tanto à Cintia è cara,
C’ha si begli occhi, e così belle mani,
E modi si avvenenti, e gratiosi.

Nerina
E pur voglio, che’l sappi, e che procuri

Di ritrovar le reliquie infelici,
Se nulla ve ne resta. ahi, Silvia, ahi dura
Infelice tua sorte.

Aminta
Ohime, che fia? che costei dice. Nerina O Dafne.
Dafne
Che parli fra te stessa, e perche nomi

Tu Silvia, e poi sospiri? Nerina Ahi, ch’à ragione
Sospiro l’aspro caso. Aminta Ahi, di qual caso
Può ragionar costei? io sento, io sento,
Che mi s’agghiaccia il core, e mi si chiude
Lo spirto. è viva?

Dafne
Narra, qual’aspro caso è quel, che dici?
Nerina
O Dio, perche son’io

La messaggiera? e pur convien narrarlo.
Venne Silvia al mio albergo ignuda: e, quale
Fosse l’occasion, saper la dei:
Poi rivestita mi pregò, che seco
Ir volessi à la caccia, che ordinata
Era nel bosco, c’hà nome de l’Elci.
Io la compiacqui: andammo: e ritrovammo
Molte Ninfe ridotte, et indi à poco
Ecco, di non so d’onde un lupo sbuca,
Grande fuor di misura, e da le labra
Gocciolava una bava sanguinosa:
Silvia un quadrello adatta su la corda
D’un’Arco, ch’io le diedi, e tira, e’l coglie

A sommo ’l capo: ei si rinselva, ed ella,
Vibrando un dardo, dentro ’l bosco il segue.

Aminta
O dolente principio: ohime, qual fine

Già mi s’annuncia? Nerina Io con un’altro dardo
Seguo la traccia, ma lontana assai,
Ché più tarda mi mossi. come furo
Dentro à la selva, più non la rividi,
Ma pur per l’orme lor tanto m’avvolsi,
Che giunsi nel più folto, e più deserto.
Quivi il dardo di Silvia in terra scorsi,
Né molto indi lontano un bianco velo,
Ch’io stessa le ravvolsi al crine: e, mentre
Mi guardo intorno, vidi sette lupi,
Che leccavan di terra alquanto sangue
Sparto intorno à cert’ossa affatto nude;
E fù mia sorte, ch’io non fui veduta
Da loro: tanto intenti erano al pasto:
Tal che, piena di tema, e di pietate,
Indietro ritornai: e questo è quanto
Posso dirvi di Silvia: et ecco’l velo.

Aminta
Poco parti haver detto? ò velo, ò sangue,

O Silvia, tu se’ morta. Dafne O’ miserello,
Tramortito d’affanno, e forse morto.

Nerina
Egli rispira pure: questo fia

Un breve svenimento: ecco, riviene.

Aminta
Dolor, che sì mi crucij,

Che non m’uccidi homai? tu sei pur lento.
Forse lasci l’officio à la mia mano.
Io son, io son contento,
Ch’ella prenda tal cura,

Poi che tu la ricusi, ò che non puoi.
Ohime, se nulla manca
A la certezza homai,
E nulla manca al colmo
De la miseria mia,
Che bado? che più aspetto? ò Dafne, ò Dafne,
A questo amaro fin tu mi salvasti,
A questo fine amaro?
Bello, e dolce morir fù certo allhora,
Che uccidere io mi volsi.
Tu me’l negasti, e’l Ciel, à cui parea,
Ch’io precorressi col morir la noia,
Ch’apprestata m’havea.
Hor, che fatt’hà l’estremo
De la sua crudeltate,
Ben soffrirà, ch’io moia,
E tu soffrir lo dei.

Dafne
Aspetta à la tua morte,

Sin che’l ver meglio intenda.

Aminta
Ohime, che vuoi, ch’attenda?

Ohime, che troppo hò atteso, e troppo inteso.

Nerina
Deh, foss’io stata muta.
Aminta
Ninfa, dammi, ti prego,

Quel velo, ch’è di lei
Solo, e misero avvanzo,
Sì, ch’egli m’accompagne
Per questo breve spatio
E di via, e di vita, che mi resta,
E con la sua presenza
Accresca quel martire,

Ch’è ben picciol martire,
S’hà bisogno d’aiuto al mio morire.

Nerina
Debbo darlo, ò negarlo?

La cagion, perche’l chiedi,
Fa, ch’io debba negarlo.

Aminta
Crudel, sì picciol dono

Mi neghi al punto estremo?
E’n questo anco maligno
Mi si mostra il mio fato. io cedo, io cedo:
A te si resti, e voi restate ancora,
Ch’io vò per non tornare.

Dafne
Aminta, aspetta, ascolta:

Ohime, con quanta furia egli si parte.

Nerina
Egli và si veloce,

Che fia vano il seguirlo; ond’è pur meglio,
Ch’io segua il mio viaggio: e forse è meglio,
Ch’io taccia, e nulla conti
Al misero Montano.

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