< Aminta (1590) < Atto secondo
Questo testo è incompleto.
Scena prima
Atto secondo - Atto secondo Atto secondo - Scena seconda


ATTO SECONDO.

SCENA PRIMA.

Satiro ſolo,

P
Icciola è l’ape, e fà col picciol morſo

Pur graui, e pur moleste le ferite;
     Ma, qual coſa è più picciola d’Amore,
     Se in ogni breue ſpatio entra, e s’aſconde
     5In ogni breue ſpatio? hor, ſotto à l’ombra
     De le palpebre, hor trà minuti riui
     D’un biondo crine, hor dentro le pozzette,
     Che forma un dolce riſo in bella guancia;
     E pur fà tanto grandi, e ſi mortali,
     10E coſi immedicabili le piaghe.
     Ohimè, che tutte piaga, e tutte ſangue

     Son le viſcere mie; e mille spiedi
     Hà ne gli occhi di Siluia il crudo Amore.
     Crudel Amor, Siluia crudele, ed empia
     15Più che le ſelue. Ò come à te confaſſi
     Tal nome: e quanto vide, chi te’l poſe:
     Celan le ſelue, angui, leoni, & orſi:
     Dentro il lor verde; e tu dentro al bel petto
     Naſcondi odio, diſdegno, & impietate;
     20Fere peggior, ch’angui, leoni, & orſi:
     Che ſi placano quei, questi placarſi
     Non poſſono per prego, nè per dono.
     Ohime, quando ti porto i fior nouelli,
     Tu li ricuſi, ritroſetta; forſe,
     25Perche fior via più belli hai nel bel volto.
     Ohime, quando io ti porgo i vaghi pomi,
     Tu li rifiuti, diſdegnoſa; forſe,
     Perche pomi più vaghi hai nel bel ſeno.
     Laſſo, quand’io t’offriſco il dolce mele,
     30Tu lo disprezzi, dispettoſa; forſe,
     Perche mel via più dolce hai ne le labra.
     Ma, ſe mia pouertà non può donarti
     Coſa, ch’in te non ſia più bella, e dolce;
     Me medeſmo ti dono. hor, perchè iniqua
     35Scherni, & abborri il dono? non ſon’io
     Da disprezzar, ſe ben me steſſo vidi
     Nel liquido del mar, quando l’altr’hieri
     Taceano i venti, & ei giacea ſenz’onda.
     Queſta mia faccia di color ſanguigno,

     40Queſte mie spalle larghe, e queſte braccia
     Toroſe, e nerborute, e questo petto
     Setoſo, e queſte mie velate coſcie
     Son di virilità, di robustezza
     Indicio: e, ſe no’l credi, fanne proua.
     45Che vuoi tu far di questi tenerelli,
     Che di molle lanugine fiorite
     Hanno à pena le guancie? e che con arte
     Diſpongono i capelli in ordinanza?
     Femine nel ſembiante, e ne le forze
     50Sono coſtoro. hor dì, ch’alcun ti ſegua
     Per le ſelue, e pe i monti, e’ncontra gli orſi,
     Et incontra i cinghiai per te combatta.
     Non ſono io brutto, nò, nè tu mi sprezzi,
     Perche sì fatto io ſia, ma ſolamente,
     55Perche pouero ſono; ahi, che le ville
     Seguon l’eſſempio de le gran Cittadi;
     E veramente il ſecol d’oro è questo,
     Poiche ſol vince l’oro, e regna l’oro.
     Ò chiunque tu foſti, che inſegnasti
     60Primo à vender l’amor, ſia maledetto
     Il tuo cener ſepolto, e l’oſſa fredde,
     E non ſi troui mai Pastore, ò Ninfa,
     Che lor dica paſſando, Habbiate pace;
     Ma le bagni la pioggia, e moua il vento,
     65E con piè immondo la greggia il calpeſtri,
     E’l peregrin. Tu prima ſuergognaſti
     La nobiltà d’amor: tu le ſue liete
     Dolcezze inamariſti. Amor venale,

     Amor ſeruo de l’oro, è il maggior mastro,
     70Et il più abominabile, e il più ſozzo,
     Che produca la terra, o’l mar frà l’onde.
     Ma, perche in van mi lagno? Uſa ciaſcuno
     Quell’armi, che gli hà date la natura
     Per ſua ſalute: Il Ceruo adopra il corſo,
     75Il Leone gli artigli, il bauoſo
     Cinghiale il dente: e ſon potenza, & armi
     De la donna, Bellezza, e Leggiadria:
     Io, perche non per mia ſalute adopro
     La violenza, ſe mi fè Natura.
     80Atto à far violenza, & à rapire?
     Sforzerò, rapirò quel che coſtei
     Mi niega, ingrata, in merto de l’amore:
     Che, per quanto un caprar testè mi ha detto,
     Ch’oſſeruato hà ſuo stile, ella hà per uſo
     85D’andar ſouente à rifreſcarſi à un fonte:
     E moſtrato m’hà il loco. iui io diſegno
     Trà i ceſpugli appiattarmi, e trà gli arbuſti,
     Et aspettar ſin che vi venga: e, come
     Veggia l’occaſion, correrle adoſſo.
     90Qual contrasto col corſo, ò con le braccia,
     Potrà fare una tenera fanciulla
     Contra me, sì veloce, e sì poſſente?
     Pianga, e ſospiri pure, uſi ogni sforzo
     Di pietà, di bellezza, che, s’io poßo
     95Queſta mano rauuoglierle nel crine,
     Indi non partirà, ch’io pria non tinga
     L’armi mie per vendetta nel ſuo ſangue.

ATTO SECONDO.

SCENA PRIMA.

Satiro solo.

P
Icciola è l’ape, e fa col picciol morso

Pur gravi, e pur moleste le ferite;
     Ma, qual cosa è più picciola d’Amore,
     Se in ogni breve spatio entra, e s’asconde
     5In ogni breve spatio? Or, sotto a l’ombra
     De le palpebre, or tra minuti rivi
     D’un biondo crine, or dentro le pozzette,
     Che forma un dolce riso in bella guancia;
     E pur fa tanto grandi, e sì mortali,
     10E così immedicabili le piaghe.
     Ohimè, che tutte piaga, e tutte sangue

     Son le viscere mie; e mille spiedi
     Ha ne gli occhi di Silvia il crudo Amore.
     Crudel Amor, Silvia crudele, ed empia
     15Più che le selue. O come a te confassi
     Tal nome: e quanto vide, chi te’l pose:
     Celan le selve, angui, leoni, ed orsi:
     Dentro il lor verde; e tu dentro al bel petto
     Nascondi odio, disdegno, ed impietate;
     20Fere peggior, ch’angui, leoni, ed orsi:
     Che si placano quei, questi placarsi
     Non possono per prego, né per dono.
     Ohimè, quando ti porto i fior novelli,
     Tu li ricusi, ritrosetta; forse,
     25Perché fior via più belli hai nel bel volto.
     Ohimè, quando io ti porgo i vaghi pomi,
     Tu li rifiuti, disdegnosa; forse,
     Perché pomi più vaghi hai nel bel seno.
     Lasso, quand’io t’offrisco il dolce mele,
     30Tu lo disprezzi, dispettosa; forse,
     Perché mel via più dolce hai ne le labra.
     Ma, se mia povertà non può donarti
     Cosa, ch’in te non sia più bella, e dolce;
     Me medesmo ti dono. Or, perché iniqua
     35Scherni, ed abborri il dono? Non son’io
     Da disprezzar, se ben me stesso vidi
     Nel liquido del mar, quando l’altr’ieri
     Taceano i venti, ed ei giacea senz’onda.
     Questa mia faccia di color sanguigno,

     40Queste mie spalle larghe, e queste braccia
     Torose, e nerborute, e questo petto
     Setoso, e queste mie velate coscie
     Son di virilità, di robustezza
     Indicio: e, se no’l credi, fanne prova.
     45Che vuoi tu far di questi tenerelli,
     Che di molle lanugine fiorite
     Hanno a pena le guancie? E che con arte
     Dispongono i capelli in ordinanza?
     Femine nel sembiante, e ne le forze
     50Sono costoro. Or di’, ch’alcun ti segua
     Per le selve, e pe i monti, e’ncontra gli orsi,
     Ed incontra i cinghiai per te combatta.
     Non sono io brutto, no, né tu mi sprezzi,
     Perché sì fatto io sia, ma solamente,
     55Perché povero sono; ahi, che le ville
     Seguon l’essempio de le gran Cittadi;
     E veramente il secol d’oro è questo,
     Poiché sol vince l’oro, e regna l’oro.
     O chiunque tu fosti, che insegnasti
     60Primo a vender l’amor, sia maledetto
     Il tuo cener sepolto, e l’ossa fredde,
     E non si trovi mai Pastore, o Ninfa,
     Che lor dica passando, Abbiate pace;
     Ma le bagni la pioggia, e mova il vento,
     65E con piè immondo la greggia il calpestri,
     E’l peregrin. Tu prima svergognasti
     La nobiltà d’amor: tu le sue liete
     Dolcezze inamaristi. Amor venale,

     Amor servo de l’oro, è il maggior mastro,
     70Ed il più abominabile, e il più sozzo,
     Che produca la terra, o’l mar fra l’onde.
     Ma, perché in van mi lagno? Usa ciascuno
     Quell’armi, che gli ha date la natura
     Per sua salute: Il Cervo adopra il corso,
     75Il Leone gli artigli, il bauoso
     Cinghiale il dente: e son potenza, ed armi
     De la donna, Bellezza, e Leggiadria:
     Io, perché non per mia salute adopro
     La violenza, se mi fe’ Natura.
     80Atto a far violenza, ed a rapire?
     Sforzerò, rapirò quel che costei
     Mi niega, ingrata, in merto de l’amore:
     Che, per quanto un caprar testé mi ha detto,
     Ch’osservato ha suo stile, ella ha per uso
     85D’andar sovente a rifrescarsi a un fonte:
     E mostrato m’ha il loco. Ivi io disegno
     Tra i cespugli appiattarmi, e tra gli arbusti,
     Et aspettar sin che vi venga: e, come
     Veggia l’occasion, correrle adosso.
     90Qual contrasto col corso, a con le braccia,
     Potrà fare una tenera fanciulla
     Contra me, sì veloce, e sì possente?
     Pianga, e sospiri pure, usi ogni sforzo
     Di pietà, di bellezza, che, s’io posso
     95Questa mano ravvoglierle nel crine,
     Indi non partirà, ch’io pria non tinga
     L’armi mie per vendetta nel suo sangue.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.