< Antigone (Sofocle - Romagnoli)
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Sofocle - Antigone (442 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1926)
Esodo
Quinto stasimo


Giunge correndo, esterrefatto, un


messo
O voi che presso dimorate ai lari
d’Anfïóne e di Cadmo, umano stato
1255non è, ch’io voglia apporgli o lode o biasimo,
perché Fortuna suscita ed atterra
l’avventuroso eternamente e il misero,
né v’ha profeta che assicuri agli uomini
quanto duri il presente. Era Creonte
1260degno un tempo d’invidia, a quanto sembrami,
ché dai nemici libera fe’ questa
terra cadmèa, solo sovrano fu
di tutto il regno, e lo guidava, e florido
era per copia di bennati figli.
1265Ed or, tutto ha perduto. E quando un uomo
non ha piú gioie, vivo io non lo reputo,
ma spoglia inane che respiri. Accumula
nella tua casa sin che vuoi ricchezze,
vivi col fasto d’un sovrano: se
1270goder tu non ne puoi, né gioia averne,
pel resto non darei l’ombra del fumo.

corifeo
Qual cruccio giungi ad annunciar dei principi?
messo
Son morti; e colpa n’han quelli che vivono.
corifeo
Chi uccise? Chi defunto giace? Parla.
messo
1275Emone è morto; e non per mano estranea.
corifeo
La man del padre fu? Fu la sua mano?
messo
Da sé, crucciato pel paterno eccidio.
corifeo
Come, o profeta, predicesti il vero!
messo
Argomentar da ciò possiamo il resto.
corifeo
1280Anche la sposa di Creonte, misera,

veggo, Euridice, o che la sorte udita
abbia del figlio, o che la guidi il caso.
euridice
O cittadini, le parole vostre
udite ho, mentre uscivo, e m’avviavo
1285a rivolger preghiera alla Dea Pallade.
Levo le sbarre, a me traggo le imposte,
ed ecco, il suono della mia sciagura
mi percuote le orecchie; e delle ancelle
cado atterrita fra le braccia, e corro.
1290Ma, qual che sia la voce, ripetetela.
Non sono ignara di sventure; e udrò.
messo
O sovrana diletta, ero presente
e parlerò; né a te parola alcuna
io celerò del vero. A che dovrei
1295lusinghe offrirti, quando infin mendace
apparirei? Sta sempre in piedi il vero.
Io col tuo sposo mossi; e gli fui guida
al piano estremo, ove giaceva il corpo
lanïato dai cani. E qui la Dea
1300invocammo dei tramiti1, e Plutone,
ché, posto freno all’ira, a noi benevoli
fossero. E il corpo, di lavacri casti
purificammo; e sopra rami svelti
allora allora, ardemmo i tristi avanzi,
1305ed erigemmo un tumulo alto, sopra
la terra patria; e alla caverna d’Ade
quindi movemmo, al talamo di rocce
dove giaceva la fanciulla. Ed ecco,

uno dei nostri, ode da lungi, intorno
1310a quel sepolcro senza esequie, il suono
d’acuti ululi, e corre, ed a Creonte
ne reca annunzio; e quando questi, piú
si fa vicino, un indistinto suono
l’avvolge d’urli miseri; e singhiozza
1315egli, lagrima, e rompe in questi accenti;
«Misero me, sono io dunque indovino?
Questa è dunque la piú funesta via
di quante io prima ne battei? La voce
mi molce il cuor del figlio mio. Correte
1320ivi presso, o famigli, ove del tumulo,
fra le rocce scalzate, il vano s’apre,
presso la fauce stessa introducetevi,
alla tomba accostatevi, e guardate
se la voce è d’Emón quella che ascolto,
1325o se di me si fanno gioco i Numi!»
E noi guardammo, come l’ansio re
ordine dava; e dalla tomba al fondo
pel collo stretta la fanciulla, avvinta
vedemmo a un laccio di ritorto lino,
1330ed Emon presso lei, che, abbandonato,
a mezza vita la stringea, le nozze
piangea distrutte nell’Averno, e l’opere
empie del padre, e l’infelice talamo.
Come il padre lo vide, un fiero gemito
1335levò, gli si fe’ presso, e con un ululo
a lui si volse: «Misero, che fai?
A che sei qui venuto? In che sciagura
la ragione perdesti? Esci di lí,
figlio, ti prego, ti scongiuro!» — E il figlio
1340con selvagge pupille lo guatò,
e gli sputò sul viso, e nulla disse,

e per la duplice elsa il ferro trasse.
Ma il padre via fuggí; né quei lo colse;
e con sé stesso irato allora, oh misero!,
1345si gittò su la spada, e a mezzo il petto
se la confisse. E, ancora in sé, si stringe,
col braccio già mancante, alla fanciulla,
e sbuffa, e avventa su la bianca guancia
di rosse stille impetuoso fiotto.
1350E poi che i riti nuziali, o misero,
nell’Averno compie’, giace cadavere
a un cadavere avvinto; e insegna agli uomini
che d’ogni male, avventatezza è il pessimo.
Al fine del racconto, Euridice fugge di corsa.

corifeo
Veduta fuggir la regina, si volge al messo.
Che mai sapresti argomentar da ciò?
1355Nuovamente partita è la regina,
senza parola dir trista né lieta.
messo
Stupito sono anch’io. Ma nutro speme
che, del suo figlio le sciagure udite,
i suoi lagni levar, dei cittadini
1360al cospetto non voglia, anzi il domestico
cordoglio, con le ancelle, in casa piangere.
Priva non è di senno; errar non può.
corifeo
Non so. Ma eccesso di silenzio o troppo
vano gridar, son gravi segni, entrambi.

messo
1365Saper potremo se nel cuor crucciato
qualche disegno asconde: avviciniamoci
presto, alla reggia: ché tu dici bene:
l’eccesso del silenzio anch’esso è grave.
Entra nella reggia.





LAMENTAZIONE


corifeo
Giunge, vedi, lo stesso sovrano,
1370che sorregge, se dirlo è pur lecito,
su le braccia un insigne segnacolo2
dell’error che fu suo, non d’altrui.
Entra Creonte, seguito dai famigli che recano il cadavere d’Emone su una bara.
creonte
Strofe I
O duri cruenti trascorsi
di folle pensiero!
1375Uscir da una stessa progenie
vedete uccisori ed uccisi.
Ahimè, dei miei consigli esito tristo!
Figlio, immaturo ad immatura morte,
ahimè, ahimè!,
1380tu soccombesti, tu sparito sei,
non per i tuoi delirî, anzi pei miei!

corifeo
Ah, come tardi la giustizia porgi!
creonte
Tapino, ho appreso, e col mio danno. Un Dio
allor dell’ira sua col peso grave
1385mi colpí, mi batte’ per vie selvagge,
ogni mia gioia sotto i pie’ travolse.
Ahi, dei mortali, ahimè!, vani travagli.
messo
Come colui che in man denaro, e in casa
ha beni, o re, sei tu: ché questi mali
1390tu medesimo rechi, ed altri, sembra,
tu ne vedrai, come tu in casa giunga.
creonte
Che annunci? Un mal dei mali anche peggiore?
messo
Morta è la sposa tua, la madre, o misero,
di questo morto: s’è trafitta or ora!

creonte
Antistrofe I
1395Oh porto implacato d’Averno,
ché tardi ad accogliermi?
E tu, che le nuove crucciose

recasti, che dici?
Ahimè, che tu finisci un uom defunto!
1400Che dici, o figlio, che novelle rechi?
Ahimè, ahimè,
ché d’una donna la cruenta morte,
or s’aggiunge alla mia misera sorte!
S’aprono le porte e si vede Euridice spenta.
corifeo
1405Veder tu puoi: ché nulla è piú nascosto.
creonte
Ahimè!
Quale, o misero, veggo altra sciagura!
Che sorte ancor, che sorte ancor m’attende?
Tra le mie mani il figlio or ora m’ebbi,
1410e questa nuova salma a me dinanzi
or veggo: ahi ahi, madre infelice! Ahi, figlio!
messo
Presso all’altar, d’acuta lama spenta,
le pupille costei nel buio sciolse,
pianti levando per la bella morte
1415di Megarèo3 già spento, ed or d’Emóne.
E contro te per ultimo imprecò,
che tuo figlio uccidesti, infausti eventi.
creonte
Stofe II
Ahimè, ahimè!
Per il terrore abbrivido.

Perché, perché nessun giunge a trafiggermi
1420col ferro aguzzo il petto? Ahi, me tapino,
in qual trabocco orribile destino!
messo
Da questa morta, sopra te la colpa
d’uno scempio e dell’altro era gittata.
creonte
Come nel sangue la sua vita sciolse?
messo
1425Sotto il fegato, come il lagrimevole
scempio del figlio udí, s’immerse un ferro.
creonte
Non sarà che da me questa colpa
su alcun altro ricada degli uomini.
Io l’uccisi, ecco il vero! Oh famigli
1430conducetemi presto, guidatemi
lungi, ch’io sono meno che nulla!
corifeo
Util consiglio è il tuo, se può nei mali
essere utile alcun: quanto piú breve
tanto men tristo, quel ch’ora ti preme.

creonte
Antistrofe II
1435Deh, giunga, giunga
infine la bellissima
fra tante morti onde reo sono, il termine
dell’ora mia fatale giunga, sí
ch’io scorgere non debba un altro dí.
coro
1440Questo il futuro; ma conviene adesso
qualche partito sul presente prendere.
All’avvenire penserà chi deve.
creonte
Nella mia prece la mia brama espressi.
coro
Piú non pregare: la prescritta sorte
1445modo non c’è che schivi alcun degli uomini.
creonte
Via questo insano conducete, l’uomo
che te contro sua voglia uccise, o figlio,
e te, sposa, oh me misero! Lo sguardo
a chi dei due volger non so, né dove
1450trovi un sostegno: ché rovina è tutto
a me dintorno, e sopra il capo mio
un destino implacabile piombò.
Si allontana seguito dai principi.

coro
Arra prima del viver felice
è saggezza; né mai sacrilegio
1455contro i Numi ti macchi. I gran vanti
dei superbi, da duri castighi
colpiti, ammaestrano
troppo tardi, a far senno, i vegliardi.




  1. [p. 339 modifica]Pag. 320, v. 1299. - La Dea dei tramiti è Ecate.
  2. [p. 339 modifica]Pag. 324, v. 1371. - L’insigne segnacolo è il cadavere d’Emone.
  3. [p. 339 modifica]Pag. 326, v. 1414. - Megareo è il figlio di Creonte che, quando i sette re assediarono Tebe, s’era sacrificato per salvare la città, trafiggendosi sulle mura e precipitandosi sotto nella caverna del dragone di Marte.
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