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PROEMIO
Gli scritti raccolti nel presente volume hanno per comune origine la mia fede in un supposto modo di operare della Intelligenza Suprema nella creazione dell’Universo e nel governo delle sorti umane: la profonda convinzione che vi è armonia fra la ipotesi evoluzionista e l’idea religiosa: la coscienza del dovere morale che astringe l’uomo a glorificare secondo il poter suo la Verità nella quale vive, si muove ed è. Poeta, ho pure desiderato difendere pubblicamente la dottrina che mi apprende la funzione e il fine dell’Arte, che giustifica l’opera mia.
Dal giorno in cui difesi per la prima volta la ipotesi evoluzionista contro i suoi avversari religiosi, essi indietreggiarono, abbandonarono trincee di obbiezioni che parevano formidabili. Fuori d’Italia il vessillo dell’evoluzionismo cristiano venne inalberato in adunanze cattoliche solenni. In Italia, libri di ecclesiastici stranieri schiettamente evoluzionisti si tradussero e si pubblicarono con licenza delle Curie vescovili. Di fronte alla intransigenza di certi teologi protestanti apparve ancora una volta quanto sia potente il Cattolicismo a elevare lo spirito che vivifica sopra la lettera che uccide. Se la ipotesi dell’evoluzione viene ancora combattuta fra noi dal punto di vista religioso e pare odiosa a molti credenti, si è però dimostrata col fatto la libertà nostra di giudicare che, rettamente intesa, essa torna a maggior gloria del Creatore; e fra coloro che le gridano anatema non vi ha più, forse, un solo intelletto alto.
Persiste invece, più valida di certi bassi clamori, una opposizione oscura, coperta d’indifferenza, mista di elementi diversi. Vi stanno insieme senza intesa coloro a cui dà noia il dileguarsi del presunto antagonismo fra la scienza e una religione da essi non seguita, non creduta, e pur molesta per la minacciosa sua voce, per il dubbio che talvolta li morde al cuore: coloro che hanno paura di guastarsi la fede se ci fanno qualche ritocco e la custodiscono con timore come un gioiello antico al quale è bene lasciar la vernice dei secoli: coloro cui fu proposto il concetto della evoluzione spiritualista quando toccavano l’età in cui le vene e le idee cominciano a ossificarsi: coloro che hanno certa istintiva avversione per i concepimenti troppo vasti, una specie di agorafobia intellettuale: coloro che onorano bensì il Padre universale dei viventi ma provano di certe conseguenti parentele un ribrezzo che offenderebbe S. Francesco d’Assisi: coloro, finalmente, cui pare poco rilevante che l’Universo sia stato creato in un modo o in un altro. È questa diga muta e sorda che bisogna, con l’aiuto di Dio, rompere; perchè non è vero che importi poco di leggere o di non leggere la magnifica Rivelazione scritta nei graniti delle montagne e sulle ali delle farfalle, sulle acque del mare e nei rivi del sangue, nelle fiamme delle nebulose e in fondo alla pupilla umana. L’uomo che l’apprende viene a scoprire, con riverenza e stupore, inesplorati abissi del Consiglio Eterno, viene a conoscere sperimentalmente la legge amorosa e terribile che lo ha creato per esserne obbedita, per una perpetua gioia o per un perpetuo dolore. È rea la ignoranza di coloro che malamente confondono il fatto della evoluzione con le teorie sui fattori suoi, specie con la più divulgata, il darwinismo, per sostenere che dall’Evoluzione discende una morale abbietta e crudele. Maggiore stoltezza giammai fu proferita, Dal tenebroso «Thohuvabohu» della Bibbia in poi, la ipotesi della Evoluzione ci mostra un ordine meraviglioso d’infinite operazioni costanti, condotte con occulte, inflessibili norme nell’interno dei corpi gravidi di spirito, condotte con altre ferree norme sull’esterno di essi, cooperando i moti degli astri obbedienti. Ci mostra infiniti propositi, continuamente attuantisi, di una Volontà le cui vie sono diverse dalle vie degli uomini, ci mostra, invece dei sei giorni miracolosi un miracolo continuato per lunghissimi secoli in ogni atomo del pianeta, in ogni istante del tempo, e troncato al comparire dell’Uomo quando cessa l’ascensione degli organismi e incomincia la libertà dello spirito. Cieco chi si crede onorare Iddio negando l’immenso lavoro onde sorse l’Uomo e rifiutando il racconto divino per tenersi alla lettera del racconto di Mosè. Nel racconto di Dio cui la scienza va pazientemente decifrando, lettera per lettera, noi non sappiamo ancor leggere come le energie originarie delle cose si trasformassero, in un solenne istante, nella energia vitale; ma incominciamo però a divinarvi che questo dovette nel principio accadere, che l’apparir della Vita fu atto di evoluzione. Il pensiero moderno inclina a respingere il problema della origine della Vita più indietro nel passato profondo e tenebroso. Tutto induce a credere che nel primo essere vivente si è soltanto manifestato un Principio che già prima esisteva nella materia inorganica, e che le energie fisico-chimiche sono fenomeni di una vita elementare, di un’animazione universale degli atomi. Pensatori come Rosmini e Spencer ebbero il senso di questo mistero. Un eminente naturalista, il Pictet, ha testè sostenuto con argomenti scientifici che il materialismo è impotente a spiegare certi movimenti della materia i quali suppongono di necessità una causa immateriale di movimento. Ora se i primi organismi furono un prodotto di evoluzione, se quindi il principio animatore delle prime cellule viventi non è che trasformazione di un Principio animatore di tutta la materia, l’Universo ne prende nel nostro intelletto una magnificenza che ci esalta in pensarla, e le creature dei cieli, penetrate di spirito, correnti e ruotanti sulle orbite immense per la energia dello spirito, narrano la gloria del Creatore meglio a noi che al Salmista. La stessa polvere della Terra ne diventa più augusta e ci par di intravvedere una divinazione di questo arcano nella celestiale anima del Santo che amò così teneramente «frate focu» e «sor aqua». Ma il più diretto insegnamento religioso e morale dei fatti di evoluzione incomincia con gli organismi viventi. Sia che i primi organismi abbiano contenuto in potenza tutte le future vite della Terra, sia che il moltiplicarsi e il mutare delle specie si debba solamente all’azione di fattori esterni, noi abbiamo la visione di un lavoro continuo al quale cooperano direttamente o indirettamente tutte le forze della natura terrestre e della natura siderale, secondo certe leggi. Vediamo in queste leggi, come in uno specchio, il lume dell’Eterno che immutabile e fermo tutte le cose continuamente agita e muta; e il Divino Disegno ci appare più manifesto nell’opera di creazione continua, rappresentata da linee che nell’opera di creazione intermittente, rappresentata da punti. I punti sono una indicazione rude e sommaria della linea. Un punto, per sè, non ha indicazione di meta nè d’indirizzo; esso è fine a sè, Invece la più breve linea designa un proposito e uno scopo. Le vie del Creatore nell’Evoluzione sono vere e proprie linee, sono espressioni di propositi e di scopi, costituiscono un disegno che somiglia ai disegni umani perchè ne sono comune elemento il principio di causa e l’idea di fine, perchè rivela una Intelligenza preesistente, perchè si svolge nel tempo giusta una idea ossia un’essenza puramente intellettuale sulla quale l’azione del tempo è nulla.
Glorificata così la Divina Mente e dimostrate quelle analogie fra lo Spirito Divino e lo spirito umano che escludono del pari gli eccessi dell’antropomorfismo e gli opposti eccessi di chi nega qualunque somiglianza dell’Essere inconoscibile con l’Uomo, la teoria dell’Evoluzione spiritualista illumina di luce nuova e splendida la suprema legge che governa il disegno della Creazione terrestre. È la legge che trasse continuamente dall’imperfetto il meno imperfetto. Siccome il termine «imperfetto» suppone la idea umana della perfezione e può essere, anche fra gli uomini, diversamente inteso, sarà più opportuno dire che, secondo l’evoluzionismo spiritualista, una Legge suprema ha tratto grado grado, sulla Terra, dalla prima creatura vivente l’ultima creatura vivente, intelligente, amante, In tutta la Creazione terrestre appare l’opera continua di una Volontà intesa a produrre intelligenza e amore. Non si avviliscono queste due gloriose potenze della natura spirituale creata dicendo che si trovano in germe, all’alba della vita animale, nell’esercizio delle funzioni di nutrizione. Al differenziarsi e al complicarsi degli organi di queste funzioni, semplicissime nel principio, si accompagna il complicarsi e il moltiplicarsi degli atti che ne dipendono e vi si collegano. Così avviene per gli organi e gli atti delle altre funzioni; e il carattere di questi atti della Vita animale viene sempre più accostandosi al carattere dell’intelligenza e dell’amore. Quando l’Uomo è per comparire vi hanno già sulla Terra mirabili fenomeni di quella intelligenza inconscia cui egli chiamerà istinto, fenomeni di memoria, fenomeni di una psiche attiva nel sogno. Vi hanno mirabili fenomeni di amor materno, di amor coniugale, incipienti fenomeni di ordini familiari e di ordini sociali. Vi hanno esseri disposti a servire e ad amare la creatura simile a Dio che si sta preparando dal principio dei secoli ed è oramai pronta. Se non il sole ma l’intelligenza e l’amore generassero luce, ipotetici seleniti avrebbero ammirato, molte miriadi di anni sono, un primo vago albore sul grande globo tenebroso del pianeta, e quindi un chiaror crescente, baleni, torbide fiamme, fino al momento in cui, creata un’anima umana, ell’avrebbe saettato ai cieli il primo candido, fermo raggio. La creazione improvvisa dell’anima umana è un fatto evolutivo, alla lettera. Come l’aggiunta d’una quantità infinitesima basta a fare scattar sul quadrante l’ora nuova, a trasformare una frazione nella unità, a determinare un’azione chimica fulminea, generatrice di sostanze nuove, così Dio, con un trapasso infinitesimo, creò all’improvviso l’anima umana intellettiva e immortale, essenzialmente diversa dalle anime che la precedettero. La creò capace di apprendere l’Essere, la Verità, e d’amarla, di amare ciò che non ha corpo, un’Idea, un Invisibile. La creò dominata dal concetto di causa, dalla necessità di attribuire a ogni fenomeno una causa, la creò capace di temere e di amare le credute Cause delle cose, E poichè la creò tale fin dal principio, prima che esistesse, con un azione universale e continua, il fine della Creazione traluce in una forma logica all’intelletto umano che scruta e medita le proprie origini. Quando ci si fa della creazione dell’uomo un racconto insopportabile, nel nostro tempo, dalle intelligenze colte e ci si prescrive di onorare Chi ci ha fatti a quel modo, si amalgama il principio stesso di ogni obbligo religioso e morale a una materia ripugnante. Perciò l’obbligo religioso e morale viene facilmente respinto dall’orgoglio umano, dall’intelletto superbo che in sè solo confida. Noi, evoluzionisti cristiani, affrontiamo questa superbia, per la stessa verità, con armi diverse, e la costringiamo, deposti i facili sdegni, a difendersi, Noi teniamo ricomposto in pugno lo spezzato Libro della Vita, dove leggiamo scritto a grandi lettere di luce che Iddio ha creato perchè la sua creatura lo intenda, lo ami e lo glorifichi. La prima lettera incomincia all’origine del Pianeta, la seconda lettera incomincia all’origine della Vita, la terza lettera incomincia all’origine delle Idee, Le tre lettere formano un’unica parola, un trittongo augusto che non si può leggere convenientemente se non vi si collegano la prima e la seconda parte alla terza. Il fondamento di ogni obbligo religioso e morale è visibile qui. Tutta la natura creata ha il dovere di obbedire alla Parola che la formò, di glorificare la propria Causa. La creatura non libera, organica e inorganica, adempie quest’obbligo per effetto d’inflessibile necessità. Essa è lo specchio in cui si riflette, per esser veduta dalla creatura libera, la gloria di Dio; e noi crediamo inoltre con S. Paolo, ch’ella attende da Dio, alla sua volta, la libertà per glorificarlo. La creatura libera può scegliere fra il glorificarlo e il non glorificarlo, La legge suprema dell’Universo non è già sospesa per tale libertà; sussiste sempre: ottiene sempre il suo fine; opera sopra l’arbitrio umano, volge in modo terribile alla Divina gloria le stesse ribellioni della creatura spirituale, come nel mondo organico i casi di regresso per deficiente attività degli organi tornano a gloria della legge di progresso. Ecco la dottrina che il Cristianesimo propone in una forma dogmatica sorgere dalla teoria dell’Evoluzione in una forma razionale. I Salmi, la Sapienza, l’Ecclesiaste, il libro di Job, i libri dei Profeti così magnificamente pieni della grandezza, potenza, sapienza e terribilità di Dio non ci apprendono le imperiose ragioni logiche di glorificarlo, cui ci apprende la legge di Evoluzione. Non vi ha idea che valga a riempiere, a saziare, a inebbriare l’anima umana quanto l’idea d’una debita eppur libera cooperazione al disegno divino dell’Universo giusta le grandi linee che una scienza nuova ne va discoprendo nella natura; come l’idea di un libero dono di tutte le facoltà dell’intelligenza e dell’amore alla glorificazione dell’Essere che durante innumerevoli secoli ha lavorato a creare l’Uomo.
Ecco perchè importa di leggere la Rivelazione scritta nella storia del Mondo. Ecco ciò che indotti o timidi cristiani non hanno saputo comprendere. Ecco la solenne voce delle cose annuncianti il perchè della Vita, la origine e il fine della potenza che in questo momento suscita nel mio interno pensieri, muove la mia mano e fa palpitare il mio cuore con l’idea ch’egli è stato composto poco a poco per glorificare la Verità e la Bellezza nella Causa loro, nell’ordine che diede ad esse, per glorificare in tutto l’amore il Divino, per glorificare il Divino in tutta la gioia. Ecco l’ideale che tutti gli altri abbraccia, coordina e riassume in uno, che esercita ogni facoltà dell’uomo; il solo Ideale che tutti e sempre possono raggiungere, la umile creatura abbandonata nell’Onnipotente come il gran principe che a Lui rende onore della propria potenza e la usa secondo la Sua volontà; colui che opera per una giustizia onde riconosce la legge in Dio, quanto colui che oscuro e pacifico vive, riverente nel pensiero e negli atti a una legge appresa come divina.
I cristiani che per fede glorificano Iddio non dicano superflua la parola che può almeno far pensoso qualche incredulo, che può forse muoverne uno a confessare la Divina gloria. La sdegneranno quei credenti che han conosciuto l’angoscia del dubbio? E i felici che nel segreto dell’anima non han lottato mai per la fede sdegneranno essi una ragione nuova di render gloria a Dio? Non basta. La convinzione che Iddio ha preparato con tanto immane lavoro, per la propria gloria, l’intelligenza e l’amore, è tale da infondere vita e verità alle pratiche della Religione. Atti senza intelligenza e senz’amore, quantunque abbiano forma religiosa, non sono atti religiosi, non possono piacere a Dio. Non può piacere a Dio che l’uomo, per timore di offenderlo, si astenga dallo scrutare i più alti problemi, si accontenti di una fede non più conveniente, nella sua forma, alle cognizioni scientifiche da lui possedute e simile a un tesoro di monete fuori corso che l’avaro si custodisce nel forziere invece di farne improntare il buon metallo con l’impronta di chi regna nel tempo suo. Non gli può piacere che gli uomini cui spetta dirigere la Società umana, non abbiano intelletto dell’ordine ch’Egli le ha dato; non gli piace che la società civile si governi come se Dio non esistesse nè che la società ecclesiastica si governi come se i naturali ordini della società civile non fossero sacri. Non gli piace che siano eletti a governare lo Stato uomini che non onorano Lui, non gli piace che uomini di scarso intelletto e di scarso sapere sieno eletti a governare la Chiesa. Che lo spirito umano senta religiosamente la bellezza delle cose, il colore, la linea, le loro armonie e la bellezza delle anime, delle idee, dei sentimenti, della parola gli è più gradito dei Te Deum per battaglie dove migliaia di uomini furono lanciati senza preparazione nell’eternità. Per la stessa bellezza dell’Arte il Creatore dell’intelligenza vuol essere glorificato. Il genio del poeta, del compositore, dell’artista è bensì comunemente considerato un dono di Dio, ma se si ponesse mente alla durata immensa, alla complessità stupenda dell’azione Divina che lo produsse, riescirebbe più difficile di negare un fine dell’Arte coordinato, nella Divina mente, al fine della Creazione, e che, riconosciuto dalla mente umana nel pensiero e nell’atto la rende partecipe della Divina gloria.
E se si ponesse mente alla preparazione dell’amore negli organismi inferiori, apparirebbero meglio la natura e la grandezza di quel sentimento che uomini scettici e uomini religiosi giudicano troppo spesso, di comune accordo, con disprezzo. Nella evoluzione della vita animale l’amore incomincia a manifestarsi molto tempo dopo l’istinto sessuale, come l’istinto sessuale incomincia a manifestarsi molto tempo dopo la comparsa dei primi organismi. Incomincia a manifestarsi nelle specie animali inferiori all’uomo in forma di scelta sessuale, di passione gelosa, di sacrificio, di tendenze monogamiche. Dall’istinto sessuale si evolve il desiderio di una più esclusiva, più durevole, più intera unione. La Vita accenna a produrre un animale monogamo, capace di amare così. Tra questo amore e l’istinto sessuale vi è armonia dentro certi limiti, vi è antagonismo più in là. L’istinto sessuale, elaborato dalla Natura, è poligamo. Il desiderio dell’unione intera e perenne, pure elaborato dalla Natura, è monogamo. Il conflitto fra le due tendenze, preparato nella vita inferiore scoppia nell’uomo. Non è il solo conflitto di leggi opposte che si combatte nella duplice natura umana ma è il più violento. Lo spirito tende a sovrapporsi all’istinto sessuale per dirigerlo verso quella forma di unione in cui egli signoreggia e mantenerlo in essa; il corpo tende a sovrapporsi all’intelligenza per averla ministra e complice di quelle unioni in cui signoreggia lui. Ma tutte le forze dell’Evoluzione cospirano a elevare lo spirito sopra il corpo. È il trionfo della intelligenza che si prepara nel disegno Divino. Il desiderio della unione intera, esclusiva, perenne in cui due intelligenze associate governano, coopera all’Azione creatrice. Le unioni sessuali dove l’intelligenza è schiava dell’istinto contrastano al fine della Creazione. Il rapimento dell’anima nell’amore, il desiderio di unità, d’infinito e d’eterno sono comunicazioni divine all’elemento superiore umano per la sua vittoria sull’elemento inferiore. Se noi consideriamo l’umanità di tutti i tempi rispetto a un tale conflitto, troviamo alle ali estreme di una maggioranza che fluttua con perpetua vicenda fra le tendenze monogame e poligame, due minoranze opposte: quella che sempre ciecamente obbedisce al solo impero dell’istinto sessuale e quella che non lo soddisfa mai. La prima è un armento miserabile; la seconda, quantunque ne facciano parte alcune nature piuttosto superbe e fredde che nobili, sorge sulle moltitudini come un gruppo sovrumano e impone rispetto al mondo. Fra questi vittoriosi spiriti non è raro l’esempio di un amore interamente scevro di animalità, benchè radicato nel sesso. Uomini che la Chiesa Cattolica levò sugli altari, amarono così, credesi, fino alla morte, e non è irriverente il dirlo perchè il loro affetto per la creatura si confuse naturalmente al loro affetto per il Creatore. Nessun altro affetto umano, neppure il materno, avvicina l’uomo alle cose divine come questo. Iddio lo ha preparato per la propria gloria. Nessuno slancio di adorazione, forse, ascende a Lui più ardente dello slancio di due anime che si amano in Lui e che, distinte per il sesso, rifuggono da ogni desiderio, da ogni compiacenza dei sensi, aspirano a congiungersi in Lui, nell’eternità. Tali amori son privilegio delle anime sante, ma pure nelle anime soggette a quel disordine intellettuale e morale che nel linguaggio religioso è chiamato il mondo, si accende talvolta la rara luce. La impossibilità o legale o morale dell’unione terrena è comunemente, nel mondo, una condizione del suo sorgere e del suo persistere. Essa è come la primizia d’uno stato cui la specie umana non è ancora giunta, e cui si conviene il neque nubent di Cristo. Certo non risplende tanto pura nelle anime mondane quanto nelle anime piene di Dio. Cinta da vapori infiammabili di passioni, da errori d’intelletto, può generare incendi e sventure come una lampada accesa dove il minerale ardente non è depurato abbastanza. Però rischiara. Però qualche visione delle cose divine comincia nelle anime oscurate dove si accende. Comincia l’odio di quel moto ch’è contrario al disegno Divino della Evoluzione, il ribrezzo di scendere dallo stato umano verso lo stato brutale. Comincia il desiderio del moto che risponde al disegno Divino, la passione di ascendere, passione non orgogliosa ma umile, piena di un sentimento d’indegnità. Questi sdegni, questi desideri sono per la Divina gloria. L’anima mondana che li concepisce si avvia a glorificare umilmente Iddio. Nel lume della Evoluzione l’origine e il fine dell’amore appaiono questi. Solo questo concetto può appagare un credente che sente tutto il Divino dell’amore e che si cruccia di udire uomini religiosi parlarne senza riverenza, senza intelletto.
Indicando il significato morale della Parola creatrice letta nell’evoluzione dell’Universo, io non presumo avervi trovato la soluzione di problemi superiori alla mente umana. Non presumo, particolarmente, avervi trovato la soluzione di un problema così pauroso come la esistenza del Dolore e del Male dentro il governo di un Bene infinito. La teoria della Evoluzione m’induce a porre le origini del Dolore e del Male in un mondo che ha preceduto il presente; ma una tale ipotesi solamente allontana il problema. Mi basta mostrare a coloro che confessano meco il Figliuolo dell’Uomo una sublime armonia della Verità conosciuta naturalmente con la Verità rivelata. Mi basta consigliare alle anime incerte del Vero, inquiete, erranti con desiderio e con diffidenza intorno alla religione positiva, la glorificazione di Dio come norma fondamentale della vita, conforme agl’impulsi della ragione e del cuore. Non è anima grande che non possa riempiersi di questo ideale, non è anima piccina che non lo possa contenere. È il fine più sublime possibile di una vita e ciascuno lo può raggiungere. Per questo fine il solo volontario pensiero è un atto. L’uomo che giace inerte sopra un letto di dolore sa di poter cooperare al fine dell’Universo non meno dell’uomo che si travaglia da mattina a sera in opere esterne. Colui che l’immeritato biasimo o la immeritata lode contrista se ne ristora salendo all’idea dominatrice che lo raccoglie a sè sopra i giudizi umani. Vi assapora una gloria rispetto alla quale la gloria umana è miserabile. Se della sventura non può consolarsi con questa gloria, se ne consola con la speranza. Poichè l’Universo è ordinato a evolvere intelligenza e amore per la glorificazione della sua Causa, la visione dell’avvenire si perde in uno splendore crescente. Non può essere conforme al disegno Divino che lo spirito creato, necessario strumento di glorificazione, se fedele al compito suo, si estingua. È invece verisimile che oltre la tomba le sue facoltà di conoscere e di amare ingrandiscano, ch’egli maggiormente partecipi, in quell’ignoto stato, del sommo Vero e del sommo Bene. Le anime delle quali parlo, se giungano a così alto segno di speranza in Dio, udranno più distinta la tenera voce che dice ai dolenti «venite a me». Quanto più a fondo avranno studiato nell’Universo e nella sua storia il fine della Creazione, quanto più avranno considerato le stolte ribellioni umane alla Legge suprema, le colpe della loro stessa vita, le indegnità del loro stesso cuore, tanto più saranno tocche dalla voce di Chi ama e perdona. Le leggi dell’Evoluzione sono terribili a meditare perchè non si vede come possa avervi luogo il perdono. Nel contatto della razza in cui l’intelligenza prevale, la razza in cui prevale l’istinto decade senza rimedio e finisce con estinguersi per sempre. L’organo che non lavora si atrofizza infallibilmente. Per lo spirito libero che si sottomette agli istinti e non compie l’ufficio suo vi ha ogni ragione di temere la stessa sorte. È almeno verisimile che perda la sua libertà come la perde un popolo che ne usa male. Ciò che v’ha di più misterioso nel cuore umano è forse il moto del perdono; ma è pure il solo indizio della esistenza di un Potere che perdona. Esso è però importante. L’uomo che perdona, se riconosce una Divina Mente autrice dell’Universo, non può credere ch’Essa pure non perdoni. Nemmeno può negare, tuttavia, la inflessibilità delle leggi che ogni cosa governano intorno a lui, che mai non perdonano. Il «sì» del suo sentimento e il «no» delle cose si urtano nel suo capo. Io mi figuro quest’uomo che, disperato di sciogliere l’enigma, siede stanco nelle tenebre. Passa il vento di uno Spirito, passa una dolce, profonda, sovrumana Voce che dice: «Tu cui la vita è grave, tu che soffri, vieni a me. Vieni a me, tu che non comprendi l’amore. Vieni a me, tu che mi hai disconosciuto, tu che mi hai offeso, tu che mi neghi ancora. Vieni, che io ti perdoni, che io ti ami, che io ti prenda nel mio regno.»
L’uomo si alza piangendo e va.
- Valsolda, 15 Settembre 1898.
Antonio Fogazzaro.