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Detto fin qui da Perottino, Lisa in seder levatasi, che con la mano alla gota e col braccio sopra l’orlo della fonte tutta in sul lato sinistro ascoltandolo si riposava, così ne ’l dimandò e disse: - Perottino, quello che a Gismondo faccia mestiero di ripigliare egli il si veda, che t’ha a rispondere, quando ad esso piacerà o sarà tempo. A me ora rispondi tu. Se è cagione Amore di tanti mali quanti tu di’ che i vostri scrittori gli appongono, perché il fanno eglino Idio? Perciò che, sì come io ho letto alcuna fiata, essi il fanno adorar da gli uomini e consacrangli altari e porgongli voti e dannogli l’ali da volare in cielo. Chiunque male fa, egli certamente non è Idio, e chiunque Idio è, egli senza dubbio non può far male. Dunque, se ti piace, dimmi come questo fatto si stia. E per aventura che tu in ciò a madonna Berenice e a Sabinetta non meno che a me piacerai, le quali possono altresì come io altra volta sopra questo dubbio aver pensato, né mai perciò non m’avenne di poterne dimandare così bene o pure così a tempo, come fa ora. - Alle cui parole continuando le due donne e mostrando che ciò sarebbe loro parimente caro a dover da Perottino udire, esso, alquanto prima taciutosi, così rispose:
- I poeti, Lisa, che furono primi maestri della vita, ne’ tempi che gli uomini rozzi e salvatichi non bene insieme ancora si raunavano, insegnati dalla natura, che avea dato loro la voce e lo ’ngegno acconcio a.cciò fare, i versi trovarono, co’ quali cantando amollivano la durezza di que’ popoli che, usciti de gli alberi e delle spelunche, senza più oltre sapere che cosa si fossero, a caso errando ne menavan la loro vita sì come fiere. Né guari cantarono que’ primi maestri le lor canzoni, che essi seco ne traevano quegli uomini selvaggi, invaghiti delle lor voci, dove essi n’andavano cantando. Né altro fu la dilettante cetara d’Orfeo, che le vaghe fiere da’ lor boschi e gli alti alberi dalle lor selve e da’ lor monti le sode pietre e i precipitanti fiumi da’ lor corsi ritoglieva, che la voce d’un di que’ primi cantori, dietro alla quale ne venivano quegli uomini che con le fiere tra gli alberi nelle selve e ne’ monti e nelle rive de’ fiumi dimoravano. Ma altre a.cciò, perciò che, raunata quella sciocca gente, bisognava insegnar loro il vivere e mostrar loro la qualità delle cose, acciò che seguendo le buone dalle ree si ritraessero, né capeva in quegli animi ristretti la grandezza della natura e nelle loro sonnocchiose menti non poteva ragione entrare, che lor si dicesse, trovarono le favole altresì, sotto il velame delle quali la verità, sì come sotto vetro traparente, ricoprivano. A questa guisa del continuo dilettandogli con la novità delle bugie, e alcuna volta tra esse scoprendo loro il vero, ora con una favola e quando con altra gl’insegnarono a poco a poco la vita migliore. In quel tempo adunque che il giovane mondo i suoi popoli poco ammaestrati avea, fu Amore insieme con molti altri fatto Idio, sì come tu di’, Lisa, non per altro rispetto, se non per dimostrare a quelle grosse genti con questo nome d’Idio quanto nelle humane menti questa passione poteva. E veramente se noi vogliamo considerando trapassar nel potere, che Amore sopra di noi ha e sopra la nostra vita, egli si vedrà chiaramente infiniti essere i suoi miracoli a nostro gravissimo danno e veramente maravigliosi, cagione giusta della deità dalle genti datagli, sì come io dico. Perciò che quale vive nel fuoco come salamandra, quale ogni caldo vital perdutone si raffredda come ghiaccio, quale come neve a sole si distrugge, quale a guisa di pietra, senza polso, senza spirito, mutolo e immobile e insensibile si rimane. Altri fia che senza cuore si viverà, a donna che mille stratii ad ogni ora ne fa avendol dato; altri ora in fonte si trasmuta, ora in albero, ora in fiera; e chi, portato da forzevoli venti, ne va sopra le nuvole, stando per cadere tuttavia, e chi nel centro della terra e ne gli abissi più profondi si dimora. E se voi ora mi dimandaste come io queste così nuove cose sappia, senza che elle si leggono, vi dico che io tutte le so per pruova e, come per isperienza dotto, così ne favello. Oltra che maravigliosa cosa è il pensare chenti e quali sieno le disagguaglianze, le discordanze, gli errori, che Amore nelle menti de’ servi amanti traboccando accozza con gravosa disparità. Perciò che chi non dirà che essi sieno sopra ogni altra miseria infelici, quando e allegrissimi sono e dolorosissimi una stessa ora e da gli occhi loro cadono amare lagrime con dolce riso mescolate, il che bene spesso suole avenire; o quando ardiscono e temono in uno medesimo instante, onde essi, per molto disiderio pieni di caldo e di focoso ardire, impallidiscono e triemano dalla gelata paura; o quando da diversissime angoscie ingombrati e orgoglio e humiltà e improntitudine e tiepidezza e guerra e pace parimente gli assalgono e combattono ad un tempo; o quando, con la lingua tacendo e col volto, parlano e gridano ad alta voce col cuore? e sperano e disperano e la lor vita cercano e abbracciano la lor morte insiememente? e per lo continuo dando luogo in sé a due lontanissimi affetti, il che non suole potere essere nelle altre cose, e da essi straziatamente qua e là in uno stesso punto essendo portati, tra queste e somiglianti distemperatezze il senso si dilegua loro e il cuore? E fannoci a credere che vero sia quello che alcun filosofo già disse, che gli uomini hanno due anime ciascuno, con l’una delle quali essi all’un modo vogliono e con l’altra vogliono all’altro; perciò che egli non pare possibile che con una sola anima si debba poter volere due contrari.