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Quinci Perottino, postasi la mano in seno, fuori ne trasse un picciol drappo, col quale egli, sì come un’altra volta fatto avea poi che egli a ragionare incominciò, gli occhi che forte piangevano rasciugandosi e esso, che molle già era divenuto delle sue lagrime, per aventura fiso mirando, in più dirotto pianto si mise, queste altre poche parole nel mezzo del piagnere alle già dette aggiugnendo: - Ahi infelice dono della mia donna crudele, misero drappo e di misero ufficio istrumento, assai chiaro mi dimostrò ella donandomiti quale dovea essere il mio stato. Tu solo m’avanzi per guiderdone dell’infinite mie pene. Non t’incresca, poi che se’ mio, che io, quanto arò a vivere, che sarà poco, con le mie lagrime ti lavi. - Così dicendo, con amendue le mani a gli occhi il si pose, da’ quali già cadevano in tanta abondanza le lagrime, che niun fu o delle donne o de’ giovani che ritener le sue potesse. Il quale, poi che in quella guisa per buona pezza chino stando non si movea, da’ suoi compagni e dalle donne, che già s’erano da seder levate, fu molte volte richiamato, e alla fine, perciò che ora parea loro di quindi partirsi, sollevato e dolcemente racconfortato. A cui le donne, acciò che egli da quel pensiero si riavesse, il drappo addimandarono, vaghe mostrandosi di vederlo, e quello avuto, e d’una in altra mano recato, verso la porta del giardin caminando, tutte più volte il mirarono volentieri. Perciò che egli era di sottilissimi fili tessuto e d’ogn’intorno d’oro e di seta fregiato, e per drento alcuno animaluzzo, secondo il costume greco, vagamente dipinto v’avea, e molto studio in sé di maestra mano e d’occhio discernevole dimostrava. Indi usciti del bel giardino i giovani e nel palagio le donne accompagnate, essi, perciò che Perottino non volle quel dì nelle feste rimanere, del castello scesero e, d’uno ragionamento in altro passando, acciò che egli le sue pungenti cure dimenticasse, quasi tutto il rimanente di quel giorno per ombre e per rive e per piagge dilettevoli s’andarono diportando.