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- Assai vezzosamente fece hieri, sagge e belle donne, Perottino; il quale nella fine della sua lunga querimonia ci lasciò piangendo, acciò che quello, che aver non gli parea con le parole potuto guadagnare, le lagrime gli acquistassero, ciò è la vostra fede alle cose che egli intendea di mostrarvi. Le quai lagrime tuttavia, quello che in voi operassero, io non cerco: me veramente mossero elle a tanta pietà de’ suoi mali, che io, come poteste vedere, non ritenni le mie. E questa pietà in me non pure hieri solamente ebbe luogo; anzi ogni volta che io alle sue molte sciagure considero, duolmene più che mezzanamente, e sonomi sempre gravi le sue fatiche, sì come di carissimo amico che egli m’è, forse non guari meno che elle si sieno a lui. Ma queste medesime lagrime, che in me esser possono meritevolmente lodate, come quelle che vengono da tenero e fratellevole animo, veda bene Perottino che in lui non sieno per aventura vergognose. Perciò che ad uomo nelle lettere infin da fanciullo assai profittevolmente essercitato, sì come egli è, più si conviene calpestando valorosamente la nimica fortuna ridersi e beffarsi de’ suoi giuochi, che, lasciandosi sottoporre a.llei, per viltà piagnere e ramaricarsi a guisa di fanciullo ben battuto. E se pure egli ancora non ha da gli antichi maestri tanto di sano avedimento appreso, o seco d’animo dalle culle recato, che egli incontro a’ colpi d’una femina si possa o si sappia schermire, ché femina pare che sia la fortuna se noi alla sua voce medesima crediamo, assai avrebbe fatto men male e cosa ad uom libero più convenevole Perottino, se, confessando la sua debolezza, egli di se stesso doluto si fosse, che non è stato, dolendosi d’uno strano, avere in altrui la propria colpa recata. Ma che? Egli pure così ha voluto e, per meglio colorire la sua menzogna e il suo difetto, lamentandosi d’Amore, accusandolo, dannandolo, rimproverandolo, ogni fallo, ogni colpa volgendo in lui, s’è sforzato di farlovi in poco d’ora di liberalissimo donatore di riposo, di dolcissimo apportator di gioia, di santissimo conservatore delle genti, che egli sempre è stato, rapacissimo rubator di quiete, acerbissimo recator d’affanno, sceleratissimo micidiale de gli uomini divenire; e come se egli la sentina del mondo fosse, in lui ha ogni bruttura della nostra vita versata, con sì alte voci e così diverse sgridandolo, che a me giova di credere oggimai che egli, più aveduto di quello che noi stimiamo, non tanto per nasconderci le sue colpe, quanto per dimostrarci la sua eloquenza, abbia tra noi di questa materia in così fatta guisa parlato. Perciò che dura cosa pare a me che sia il pensare che egli ad alcun di noi, che pure il pesco dalla mela conosciamo, abbia voluto fare a credere che Amore, senza il quale niun bene può ne gli uomini aver luogo, sia a noi d’ogni nostro male cagione. E certamente, riguardevoli donne, egli ha in uno canale derivate cotante bugie, e quelle così bene col corso d’apparente verità inviate dove gli bisognava, che senza dubbio assai acqua m’arebbe egli addosso fatta venire, sì come le sue prime minaccie sonarono, se io ora dinanzi a così intendenti ascoltatrici non parlassi, come voi sete, le quali ad ogni raviluppatissima quistione sciogliere, non che alle sciolte giudicare, come questa di qui a poco sarà, sete bastanti. La qual cosa, acciò che senza più oltra tenervi incominci ad aver luogo, io a gli effetti me ne verrò, solo che voi alcuna attenzion mi prestiate. Né vi sia grave, o donne, il prestarlami, ché più a me si conviene ella oggi che a Perottino hieri non fece. Perciò che oltre che lo snodare gli altrui groppi più malagevole cosa è che l’annodargli non è stato, io, la verità dinanzi a gli occhi ponendovi, conoscere vi farò quello che è sommamente dicevole alla vostra giovane etade e senza il che tutto il nostro vivere morte più tosto chiamar si può che vita; dove egli, la menzogna in bocca recando, vi dimostrò cosa, la quale posto che fosse vera, non che a gli anni vostri non convenevole, ma ella sarebbe vie più a’ morti che ad alcuna qualità di vivi conforme. -