< Asolani < Libro secondo
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Libro secondo - Capitolo XIX
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Poscia che tra di queste parole e d’altre e del rossor di Lisa si fu alquanto riso fra la lieta compagnia, Gismondo, tutti gli altri ragionamenti che sviare il potessero troncati, dirittamente a’ suoi ne venne in questa maniera: - La bontà d’Amore, o donne, della quale io ora ho a ragionarvi, è senza fallo infinita, né, perché se ne quistioni, si dimostra ella a gli ascoltanti tutta giamai. Nondimeno quello che scorgere favellando se ne può, così più agevolmente si potrà comprendere, se noi quanto ella giovi e quanto ella diletti ragioneremo; con ciò sia cosa che tanto ogni fonte è maggiore, quanto maggiori sono i fiumi che ne dirivano. Dico adunque, dal giovamento incominciando, che senza fallo tanto ogni cosa è più giovevole, quanto ella di più beni è causa e di più maggiori. Ma perciò che non di molti e grandissimi solamente ma di tutti i beni ancora, quanti unque se ne fanno sotto ’l cielo, è causa e origine Amore, si dee credere che egli giovevole sia sopra tutte le altre cose giovevoli del mondo. Io stimo che a voi sembri, giudiciose mie donne, che io troppo ampiamente incominci a dir d’Amore e facciagli troppo gran capo, quasi come se porre sopra le spalle d’un mezzano uomo la testa d’Atalante volessi. Ma io nel vero parlo quanto si dee, e niente per aventura più. Perciò che ponete mente d’ogni’intorno, belle giovani, e mirate quanto capevole è il mondo, quante maniere di viventi cose e quanto diverse sono in lui. Niuna ce ne nasce tra tante, la quale d’Amor non abbia, sì come da primo e santissimo padre, suo principio e nascimento. Perciò che se Amore due separati corpi non congiugnesse, atti a generar lor simili, non ci se ne generarebbe né ce ne nascerebbe mai alcuna. Che quantunque per viva forza comporre insieme si potessero e collegar due viventi, potenti alla generazione, pure se Amore non vi si mescola e gli animi d’amendue a uno stesso volere non dispone, eglino potrebbono così starsi mill’anni, che essi non generarebbono giamai. Sono per le mobili acque nel loro tempo i pesci maschi seguitati dalle bramose femine, e essi loro si concedono parimente, e così danno modo, medesimamente volendo, alla propagazione della spezie loro. Seguonsi per l’ampio aere i vaghi uccelli l’un l’altro. Seguonsi per le nascondevoli selve e per le loro dimore le vogliose fiere similmente. E con una legge medesima eternano la lor brieve vita, tutti amando tra loro. Né pure gli animanti soli, che hanno il senso, senza amore venire a stato non possono né a vita, ma tutte le selve de gli alberi piede né forma non hanno né alcuna qualità senza lui. Ché, come io dissi di questi allori, se gli alberi la terra non amassero e la terra loro, ad essi già non verrebbe fatto in maniera alcuna il potere impedalarsi e rinverzire. E queste erbuccie stesse, che noi tuttavia sedendo premiamo, e questi fiori non arebbono nascendo il loro suolo così vago, come egli è, e così verdeggiante renduto, forse per darci ora più bel tapeto di loro, se naturalissimo amore i lor semi e le lor radici non avesse col terreno congiunte in maniera che, elleno da lui temperato umore disiderando e esso volontariamente porgendogliele, si fossero insieme al generare accordati disiderosamente l’uno l’altro abbracciando. Ma che dico io questi fiori o queste erbe? Certo se i nostri genitori amati tra lor non si fossero, noi non saremmo ora qui, né pure altrove, e io al mondo venuto non sarei, sì come io sono, se non per altro almeno per difendere oggi il nostro non colpevole Amore dalle fiere calunnie di Perottino.

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