< Asolani < Libro terzo
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Libro terzo - Capitolo X
Libro terzo - IX Libro terzo - XI

E poi di questa passò Lavinello eziandio alla terza senza dimora, e disse:

Dapoi ch’Amor in tanto non si stanca
Dettarmi quel, ond’io sempre ragioni,
E ’l piacer più che mai dentro mi punge,
Ancor dirò; ma se dal vero manca
La voce mia, Madonna il mi perdoni,
Che ’n tutto dal nostr’uso si disgiunge.
E come salirei dov’ella aggiunge,
Io basso e grave e ella alta e leggera?
Basti matino e sera
L’alma inchinarle, quanto si convene,
E qualche pura scorza
Segnar, alor che ’l gran desio mi sforza,
Del suo bel nome, e le più fide arene,
Acciò che ’l mar la chiami
E ogni selva la conosca e ami.

Questo faccia il desir in parte sazio,
Che vorria alzarsi a dir de la mia donna;
Ma tema di cader lo tene a freno.
E se per le sue lode unqua mi spazio,
Ch’è ben d’alto valor ferma colonna,
Non è però ch’io creda dirne a pieno.
Ma perch’altrui lo mio stato sereno
Cerco mostrar, che sol da lei deriva,
Forza è talor ch’io scriva
Com’ogni mio pensier indi si miete:
O di quella soave
Aura, che del mio cor volge la chiave,
O pur di voi, che ’l mio sostegno sete,
Stelle lucenti e care,
Se non quando di voi mi sete avare.

Voi date al viver mio l’un fido porto,
Ché come ’l sol di luce il mondo ingombra
E la nebbia sparisce inanzi al vento,
Così mi ven da voi gioia e conforto
E così d’ogni parte si disgombra
Per lo vostro apparir noia e tormento.
L’altro è quando parlar Madonna sento,
Che d’ogni bassa impresa mi ritoglie
E quel laccio discioglie,
Che gli animi stringendo a terra inclina;
Tal ch’io mi fido ancora,
Quand’io sarò di questo carcer fora,
Far di me stesso a la morte rapina,
E ’n più leggiadra forma
Rimaner de gli amanti exempio e norma.

Il terzo è ’l mio solingo alto pensero,
Col qual entro a mirarla e cerco e giro
Suoi tanti onor, che sol un non ne lasso;
E scorgo il bel sembiante humile altero
E ’l riso, che fa dolce ogni martiro,
E ’l cantar, che potria mollire un sasso.
O quante cose qui tacendo passo,
Che mi stan chiuse al cor sì dolcemente!
Poi raffermo la mente
In un giardin di novi fiori eterno,
E odo dir ne l’erba:
A la tua donna questo si riserba;
Ella potrà qui far la state e ’l verno.
Di cota’ viste vago,
Pascomi sempre e d’altro non m’appago.

E chi non sa quanto si gode in cielo
Vedendo Dio per l’anime beate,
Provi questo piacer, di ch’io li parlo.
Da quel dì inanzi mai caldo né gelo
Non temerà, né altra indignitate
Ardirà de la vita unque appressarlo;
E pur ch’un poco mova a salutarlo
Madonna il dolce e grazioso ciglio,
Più di nostro consiglio
Non avrà huopo e vincerà il destino,
Ché quelle vaghe luci
A salir sopra ’l ciel li saran duci,
E mostreranli il più dritto camino,
E potrà gir volando,
Ogni cosa mortal sotto lasciando.

Ove ne vai, canzon, s’ancora è meco
L’una compagna e l’altra?
Già non sei tu di lor più ricca o scaltra.

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