< Autobiografia (Monaldo Leopardi)
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Capitolo XXVII
Capitolo XXVI Capitolo XXVIII

XXVII.

Prima invasione nello Stato.

Nel giugno dell’anno 1796 la Repubblica francese aveva fatto invadere Bologna e scorrere la Romagna dalle sue truppe dichiarandosi così inaspettatamente in guerra col Papa che non la aveva offesa e non poteva pensare ad offenderla. Nell’angustia di questa aggressione inaspettata la Corte di Roma domandò un armistizio e l’ottenne lasciando fratanto Bologna ai Francesi, e consentendo che occupassero Ancona e obbligandosi di dargli in termine corto sei milioni di scudi, e alcune centinaia di statue, pitture, ed altri monumenti. Per la pace definitiva si doveva tenere un congresso in Firenze. Il primo milione passò di qua in quaranta carri pieni di argento e uno d’oro, ma si fermò in Romagna perchè la pace non rimase conclusa, come dirò.

Fratanto tutto lo Stato era nello sgomento più grave per l’accostarsi dei francesi, i quali stanti le atrocità commesse nel regno lor venivano qui pareggiati alle belve, e invocandosi in ogni paese dalla misericordia divina con preghiere pubbliche l’allontanamento di questo flagello, il clero e il popolo nostro si recarono a visitare processionalmente la santa casa in Loreto, e si fece un triduo sollenne al Crocefisso detto di s. Giacomo esposto nella chiesa di sant’Agostino. Nell’ultima sera del triduo il popolo fanatizzato non so come o da chi, si ostinò a domandare che quell’immagine di Gesù crocefisso si portasse in processione per tutta la città, e venendo controdetto con poca prudenza e modi inurbani proruppe in gridi e minaccie sediziose, occupando la chiesa e le strade vicine fino a notte avvanzata. Convien dire che ad onta degli anni miei pochissimi avessi pure ispirata qualche fiducia, poichè venni chiamato a sedare quel rumore, e con poche parole rimandai tutti a casa promettendo bensì la processione che ebbe luogo nella domenica successiva. Questa fu la prima volta che sperimentai con alquanta estensione la benevolenza e la docilità del nostro popolo.

Intorno a questo tempo feci a mie spese un triduo sollennissimo nella chiesa di s. Vito, trasportandovi l’Immagine di Maria Ss. consolatrice degli afflitti che si venera nella chiesa dei padri Cappuccini nella cappella gentilizia della famiglia nostra, ed anche questo fu uno sproposito perchè alla beatissima Vergine piaceva che avessi giudizio, e non che mi disestassi maggiormente con un dispendio dettato forse più dall’orgoglio che dalla pietà.

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