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Già col fero Clodin giungea Brunoro,
coi guerrier che menò di Segurano;
e divise le parti hanno in fra loro
per rispinger fra’ suoi chi sia lontano
e dare a gli affannati alto ristoro:
quel muove a destra e questo all’altra mano,
poi ciascun quanto può ’l pregare adopra
per riducerli insieme alla prima opra.
Diceva lor Clodin: “Fratelli amati
per cui già tante palme riportai,
or non volete ancora essere ornati
di vittoria maggior che foste mai,
e ritornarven carchi ed onorati
di spoglie ostili, e non d’ontosi guai,
né smarrire il valor per quel ch’è stato,
mantre il vostro Clodin non v’era a lato?
E poi che ritornato intero e forte,
la Dio somma mercede, ora è con voi,
se pensier cangerem, cangerem sorte,
e l’amica fortuna fia con noi.
Apriam de’ nostri cor le chiuse porte
a virtù intera e i due seguaci suoi,
lo sperare e ’l soffrir, ch’han forza insieme
di portar sopra il ciel chi ’l centro preme;
quanto noi più, ch’oltra ogni nostra insegna
avrem di Seguran l’alto soccorso
con l’aspra gente che in Ibernia regna,
ch’al Britanno furor metterà il morso.
Or pria, cari fratei, che questa vegna
drizziam verso i nemici ratto il corso,
e che morte non sien l’opra dimostre,
se ben dormon talor, le virtù nostre”.
Dall’altro lato ancor Brunoro il Nero
quanti sparsi ritruova in un raccoglie.
Non prega umil, ma gli minaccia altero
e ’n tai note superbe i detti scioglie:
“Non sia chi speri dall’artiglio fero
scampar di morte le terrene spoglie
con fuggir quinci il ferro de’ nemici,
che ’l troverrà più aguto fra gli amici.
Ché questa armata man, ch’or voi vedete
mossa in vostra salute e ’n vostro onore,
in vostro danno e scorno sentirete
purgar col sangue il pubblico disnore.
Quanto più adunque gran cagione avete
di tosto rivoltar l’arme e ’l valore
contro al duro avversario che vi preme,
in cui di doppio ben si mostra speme?
Se voi guardate ben, non è ch’un solo
quel che tutti vi scaccia e vi spaventa:
non perché vaglia più che ’l largo stuolo,
ma perché truova in voi la virtù spenta;
che s’ancor si ralluma, all’alto volo
del suo furor, che sopra noi s’avventa,
graverà l’ali tal, che verrà in basso
come dal visco augello avvinto e lasso”.
Così dicendo lor, gli risospinge
nell’ordin primo e ’n dietro riconduce.
L’altra parte anco a guerra si raccinge
seguitando Clodin suo primo duce,
e di sangue novel si ridipinge
l’arenoso sentiero, e ’l ciel riluce
d’altro splendor di ferro, or che ’l ritorno
vicino appar del fuggitivo corno:
il cui tosto arrivar da prima diede
maraviglia e temenza a’ vincitori,
e ’l popol volentier raffrena il piede
attendendo il voler de’ suoi maggiori.
Ma il famoso Boorte, che ciò vede,
con ardenti parole accende i cori
dicendo: “Or giunto è ’l tempo in cui di tutto
il lungo affaticar s’accoglia il frutto;
perché il fuggir di quei privi n’avia
d’ampie spoglie onorate e di vendetta.
Or nostra buona, e lor fortuna ria,
ne torna la mercè ch’era interdetta:
moviam pur ratti, e si ritrovin pria
ch’un’altra volta in fuga si rimetta
la vilipesa e mal guidata schiera,
e di lei riportiam vittoria intera.
Né fallace pensiero il cor v’ingombre
ch’or pien d’altro poter che dianzi furo:
ma s’allor come nebbie, or fien com’ombre,
che ’l passato timor cresce il futuro.
Ogni dubbio ciascun dall’alma sgombre
che gli mostre il cammin più alpestro e duro
dell’altro infino ad or, ma fermo creda
che quanto oggi veggiam sia nostra preda”.
Come ha detto così, lassa Baveno
che nell’ordine usato gli ritegna;
poi sprona avanti, ove d’orgoglio pieno
truova Clodin con la primiera insegna.
Tosto il conosce, e regger non può il freno
all’ardente desio che in esso regna
di ritrovarse in pruova contro a lui,
per la conforme età ch’è in ambedui,
e l’appella da lunge: “O re famoso
dell’altrui povertà sì ricco e altero,
se voi siete d’onor tanto bramoso,
come vi vede ogn’uom, di torto impero:
volgete or verso me quel ferro odioso
ch’è sol contro a i più vili ardito e fero,
e per pruova veggiam se sia men forte
di quel che fu Gaven con voi Boorte”.
Gli rispose Clodin: “Null’altro bramo
che con voi ritrovarmi oggi a battaglia:
in cui spero ottener di palma il ramo,
se non bene incantata avrete maglia.
E perché più il dever che l’util amo
e non vo’ che vantaggio alcun mi vaglia,
questa lancia ch’ho in man lasso da parte,
e ’l medesmo farei se foste Marte”.
In tai parole l’un ver l’altro sprona
pien d’ardente desio di gloria vera.
Clodin fu il primo ch’al nemico dona
sopra la fronte, e d’atterrarlo spera:
ma l’altro alza lo scudo, e in esso suona
la spada indarno, e pur rimase intera,
se ben piegosse alquanto; ond’ei turbato
biasmava nel suo cor le stelle e ’l fato.
Ma di Gave il guerrier con altra possa
abbassando la man, nell’elmo il prende,
in cui fece cadendo ampia la fossa,
né però infino al capo il brando scende:
ma l’intonò sì forte la percossa,
che la briglia abbandona e ’l braccio stende,
e saria in terra in poco spazio scorso
se non avea da’ suoi tosto soccorso.
Ma Rossano e Grifon dell’Alto Passo,
ch’allor da Seguran compagni prese,
sostegno fur ch’ei non cadesse in basso;
e Pilarte a Boorte il corso stese
qual di fromba talor rotondo sasso,
e con la lancia all’omero l’offese
nel destro lato: e ’l colpo fu più duro
che regger non porria colonna o muro.
Pur sopra il suo caval fermo si tenne,
se ben nella sinistra torse alquanto.
Ma poi ch’all’esser suo dritto rivenne,
si volge al feritor che torna intanto
dicendo: “Aspro guerrier, se non hai penne
d’aquila o di falcon, fia breve il vanto
che potrà per tua lingua essere inteso
d’aver contro a ragion Boorte offeso”.
Poi con tutto il poter drizza una punta
che scoperto il trovò nel lato manco,
e dividendo il cor di dietro spunta
nell’osso più vicin del destro fianco.
All’estrema ora sua l’anima giunta
lassò il terrestre vel pallido e bianco,
onde freddo convien che a terra vada;
e dell’arme al romor sonò la strada.
Indi il leve destrier ratto ritorna
al drappel che Clodin gli asconde e chiude,
gridando: “O schiera di colori adorna
assai più che d’onore e di virtude:
che fa il vostro gran duce, a che soggiorna?
Ch’io mi credea che fosse eterna incude
contra i colpi di noi guerrier negletti;
or si fa scudo a me de’ vostri petti,
come picciol fanciul di madre soglia
contro all’ape a cui il mel furato avea.
Ma poi che m’è per voi tolta la spoglia
della qual già vestito mi tenea,
il danno sopra voi forse, e la doglia,
porria versarne la fortuna rea,
per far palese come stolto adopre
chi per altrui coprir se stesso scuopre”.
E ’n questa s’avventò sopra Rossano,
che dell’alta Pannonia avea le schiere,
il Selvaggio appellato, perch’è strano
di costumi, di volto e di maniere:
ma il core ardito e pronta avea la mano
quanto buon cavalier potesse avere.
Or vedendo il nemico ch’a lui spinge
spiegando il suo valor la spada stringe,
e studia nel ferir d’esser primiero.
Così mosso il caval veloce e lieve
percuote, in vista minaccïoso e fero,
il ben ferrato scudo saldo e greve:
e ben che, essendo tal, restasse intero,
quanto avesse già mai danno riceve.
Boorte in sé di maraviglia avvolto
la virtù del Pannonio apprezza molto,
e gli dice: “Signor, d’oscure spoglie
ma di chiaro valor vi sento ornato.
Così spesso veggiam do sozze foglie
il frutto provenir dolce e pregiato,
ché ’l sembiante di fuor non dà né toglie
il buono o ’l reo che n’han le stelle dato:
e se nel giudicare oggi non fallo,
devrebbe esser Clodin di voi vassallo.
Ma il dritto par che voi debbiate ancora
di me, com’io di voi, sentir la pruova”.
E così detto, alla medesim’ora,
con gran colpo la fronte gli ritruova,
sì che ’l veder turbato gli dimora:
ma la tempra dell’elmo in tanto giova
ché non restò ferito, e ’nmantenente
si rischiararo in lui gli occhi e la mente,
e ’ncominciò: “Signor troppo ho sentito
anch’io quel che potete, e non men pento:
che ’l trovar voi di forze assai fornito
accresce in me il desire e l’ardimento.
Donimi pure il Cielo in questo lito
con voi morte o vittoria a suo talento:
ché questa unica fia, quell’altra chiara
da non aver di lei vita più cara”.
In tai voci torna alla battaglia
e d’una punta il Gallo ripercuote:
non nello scudo più, che quanto vaglia
per le cose passate intender puote,
ma in quelle ascose parti che la maglia
difende sol, d’ogn’altro ferro vòte,
di sotto al destro braccio, onde Boorte
in rischio esser potea d’acerba morte;
se non che ammaestrato e dotto all’arte
l’ha con riguardo accorto preveduta,
e rivoltosi alquanto in altra parte
nel bene armato petto gli è caduta.
Duolsi il Pannonio allor del crudo Marte,
e d’esser più de’ suoi quasi refuta
dicendo: “Or se così mi tòi gli allori
che poss’io più sperar de’ tuoi tesori?”
E mentre che ’n suo cor difoga l’ira
il cavalier di Gave il brando pone
sopra il suo scudo, e mezzo in basso il tira
e d’accrescer dolor gli dà cagione.
Rossan, ch’al vendicarse sol rimira
e ch’usa più il furor che la ragione,
con sì gran colpi l’avversario assale
che truova al suo desio la spada frale;
perch’or mentre il bracciale indarno offende,
or dell’elmo famoso il ferro invitto,
in due parti troncata a terra scende,
lassando il suo signor nudo ed afflitto.
Il cortese Boorte il tempo prende
di mostrar ch’amò sol l’onore e ’l dritto,
e dal scudier Toante a lui vicino
si fece un brando dar sicuro e fino:
ch’ove la Calidonia al mare Scoto
le selvaggie sue chiome in alto spande
guadagnò allor ch’ei fé di spirto vòto
con tal virtù Chersidamante il grande,
ch’ivi arrivato di terreno ignoto
si féa de’ prigionier crude vivande;
e quello appresso in ogni parte avìa
per usare al bisogno, s’avvenìa.
Or questo all’avversario suo Rossano,
che ’n tale stato ancor fuggir non vuole,
con allegro sembiante ha posto in mano
e ’l conforta da poi con tai parole:
“La fortuna a ’l valor, ch’è a lei sovrano,
in ogni opra mortal contrastar suole,
e per seguir con voi l’usata strada
v’ha troncata così la forte spada.
Ma non fia della vostra a peggior molto
questa di cui vi fò cortese dono:
e perché il vostro onor non vi sia tolto
a nuova altra battaglia presto sono”.
Il selvaggio Pannonio in lieto volto
risponde: “Il brando mio vie più che buono
mi fé intero acquistar sovente palma
e troncandosi poi, più dolce salma;
send’ei cagion ch’or mi sia fatto amico
il maggior cavalier che lancia porte:
né cosa oscura o ver novella dico,
ch’a tutto il mondo omai chiaro è Boorte.
Ricevo il don, ma non come nemico
cercherò mai per lui la vostra morte;
ma da qui innanzi quello e chi ’l sostiene
sarà in vostra salute, e ’n vostro bene:
ch’io non vorrei però che voi credeste,
vedendo com’io vò negletto e vile,
che tutto eguale il cor fosse alle veste,
ben che men del dever chiaro e gentile;
o che ’ntra le Pannoniche foreste
mai non surgesse oltr’all’usato stile
per fiso riguardar vista possente
della vera virtù la fiamma ardente.
e se non vi fusse altra, è pur la mia,
che la somma ch’è in voi chiara discerne:
a cui supplico il ciel che largo dia
tutto il favor delle sue luci eterne;
ed io per ogni sorte o buona o ria
delle forze di fuor, dell’altre interne,
quantunque nulla sia, per quel ch’ei merta
vi fò con tutto il cor divota offerta”.
Ma in questo ragionar vicin si vede
con le spiegate squadre Segurano,
che con arte e con senno a’ suoi provvede,
che con vantaggio poi muovan la mano.
Ei con pochi guerrier, con lento piede,
innanzi a gli altri va poco lontano
con l’arme lucentissima che splende
qual Febo suol ch’a mezzo giorno ascende.
Mostrasi in alto ancor l’aurato scudo
che ’l bel raggio solar saetta intorno,
ov’è il nero dragon che in atto crudo
par minacce a’ nemici oltraggio e scorno;
così il cimiero, ove Nettunno ignudo
col suo tridente in man si mostra adorno,
però ch’avea del suo terreno Iberno
sotto a tal deïtà posto il governo.
Né molto a lui lontan Brunoro il Nero
co’ suoi rimessi in un già il passo muove.
Ma poi ch’aggiunti arrivano al sentiero
in cui Boorte fea l’egregie prove,
della polve ch’alzava oscurar fero
nel suo seggio, cred’io, Saturno e Giove:
ch’al fin cadendo, di montare stanca,
tutto il popol Britanno e ’l Gallo imbianca.
Sì come suol nella assetata estate,
quando lieto il villan di scioglier brama
dalle pungenti spighe e paglie aurate
il buon seme gentil che Cerer ama,
che con le spoglie pria rotte e squarciate
l’avventa in alto, e Zefiro poi chiama,
ch’ovunque esse volando intorno spinge
d’oscurato color tutto dipinge;
tali erano a mirar l’arme e i destrieri
di quei ch’ad incontrargli erano intesi.
L’ornate sopraveste, i bei cimieri
e gli scudi lucenti e gli alti arnesi,
per cangiante vaghezza in prima alteri,
d’un medesmo colore eran compresi:
né l’un l’altro scorgea, come se ’l velo
notturno e senza luna avesse il cielo.
Già nel venir di quei son fatti avante
il nobil re dell’Orcadi e ’l figliuolo,
Patride al cerchio d’oro e Matagrante
e Plenoro e Drianzo e ’l forte stuolo
di più d’un duce e cavaliero errante,
il qual desio d’onor conduce solo
a seguitar dell’Orcadi l’insegne,
non avaro pensier che in esso regne.
Le schiere di spavento pria ripiene
han tornate col dir liete e sicure;
il comandato loco ogn’uom ritiene
come chi d’obbedir, non d’altro cure,
né men che gli altri di minute arene
fan l’aria intorno e le campagne oscure.
Or giunti ove il magnanimo Boorte
fea di largo tesor ricca la morte,
il valoroso vecchio alquanto sprona
il caval verso lui, poscia gli dice:
“O del regno di Gave alta corona
e di quante mai fur la vincitrice,
tra l’antiche memorie indarno suona
quell’onorata cetera e felice
del buon Tidide, d’Ettore e d’Achille,
che presso al foco vostro eran faville.
Ben poss’io dir la vostra invitta mano
della rovina mia fido sostegno,
ch’abbattuto e scacciato ha di lontano
chi già sovra de’ miei teneva il regno.
Ecco che ’l bello oprar non cadrà in vano:
ch’or più ch’io fossi mai bramoso vegno
d’assalire i nemici, e le mie schiere
saran più che leoni oggi a vedere”.
Disse Boorte a lui tutto ridente:
“O famoso mio padre, se ciò fia,
troppo ad uopo sarà, sì larga gente
per far pruova di noi veggio per via.
Questi è ’l gran Seguran, cui veramente,
chi no ’l pregiasse assai, torto faria:
ma pur, poi ch’è mortal, vergogna fora
più che gli altri e che sé stimarlo ancora”.
“Così far si convien”, lieto risponde
il saggio re, “che nel medesmo errore
può cader l’uom che in troppo ardire abbonde
e chi soverchio ancor crede al timore.
Sommo senno e virtude il cielo infonde
in Segurano il Bruno, e gran valore
nativo nel suo seme invitto ed alto,
quale in Ettor, Girone e Galealto,
ch’illustrissimi furo e senza pare,
e di cui tutto il mondo avea spavento.
Pure, ove alcun di lor potea trovare,
d’esser co’ suoi nemici avea talento,
perché le spoglie e le vittorie rare
non s’han di loco di virtude spento.
Né mi fu il quinto ciel sì avaro allora
che lodato non fussi anch’io talora.
E s’io non temea lor giovine e forte,
che troncar mi poteano i miglior anni,
ora a che per costui curar di morte,
ch’è sola il porto de’ canuti affanni?
E poi l’alta presenza di Boorte,
che tolto m’ha da perigliosi danni,
ben mi può assicurar lo stato incerto
e trionfo di lui prometter certo.
Ma perché riposato alla battaglia
vien frescamente, e noi lassi ritruova
ch’all’estremo calor tra piastra e maglia
avem fatta di noi sì lunga pruova,
è il mio consiglio, se di lui vi caglia,
ch’omai quinci nessun più il passo muova
ma sol s’attenda e cerchi sostenere
il primiero furor di queste schiere”.
Così fermo fra loro, i cavalieri
si disteser per l’ali d’ogni lato,
ove il re Pelinoro con gli arcieri
quasi al medesmo punto era arrivato,
ch’a molti duci avevano e guerrieri
condotto con gli strai l’estremo fato:
or, sentendo il bisogno, l’altra impresa
lassando al corno suo torna in difesa.
E ’nsieme esso, il re Lago e ’l pio figliuolo,
il famoso Boorte e gli altri poi
van tutti intorno all’ordinato stuolo,
e ciascun quanto può conforta i suoi.
Ma il valoroso vecchio è quel che solo
sopra gli altri si sente, e dice: “Or noi
siam qui, cari figliuoi, per mostrar chiaro
che non a torto aviam nome sì raro.
Sète antichi guerrieri, e non v’è ascoso
che ’l gran valor conviene al gran periglio.
fate a pruova fra voi chi più bramoso
muova il suo ferro e con più allegro ciglio,
certi che l’uom fugace e paventoso
sempre del sangue suo torna vermiglio:
il forte scampa, e con supremo onore
vive in tra gli altri, e poi famoso muore.
Fermi il passo ciascuno, e solo intenda
a non muover già mai di loco il piede:
e se più non potrà, tanto il difenda
ch’al fin morto di lui rimanga sede;
se stesso a virtù sproni, e gli altri incenda
che vinti dal timor vicin si vede
con dir: - Chi cinge il ferro, cinga insieme
d’alte lodi acquistar desire e speme -.
Con tai voci arrestò l’invitto corno,
ristretto in un con maestrevol arte:
in guisa che talor nel fosco giorno,
quando inchinando il sol da noi si parte,
folta nebbia veggiam ch’assiede intorno
di monte alpestre alla più altera parte
allor che Borea ed Austro ed Euro giace
co’ suoi compagni in riposata pace.
Già vien con largo passo Segurano
e ’n superba sembianza s’appresenta,
dicendo: “Or tragga fuor l’ardita mano
chi quest’arme ch’io porto non paventa”.
Indi una asta nodosa di lontano
vibrando in aria tra’ nemici avventa;
né corse in van, ch’aggiunse Licomede
che ’n mezzo alla Cornubia avea la sede,
e del nobil Creuso era nipote,
ricevuto tra’ suoi con sommo onore:
e nell’estremo al ventre gli percuote
il mortal ferro, e ’l trapassò di fuore.
Cade inverso la piaga, e mentre scuote
le braccia intorno e i piè languendo muore;
ma pïetosi di lui Lico e Driante
con voler del buon re si fanno avante.
Eran questi fratei del sangue usciti
del famoso e grand’Orcado Peloro,
che poi regnando ne’ britanni liti
fu possente tra lor di terre e d’oro:
padre di Perifeo, che tra i graditi
guerrier che a Pandragon più amici foro
era il primiero, e questi cari e soli
della bella Ippodamia ebbe figliuoli,
i quai nodrì nel gemino valore
del ferro illustre e delle dotte carte;
né scerner si potea chi con più amore
gli ricevesse in seno Apollo o Marte:
ché per l’uno o per l’altro in sommo onore
eran saliti altrove e ’n quella parte,
e di più d’uno alloro s’eran cinti
di cavalier ch’aveano uccisi o vinti.
Or quai duo tigri giovini, ch’usati
sien con la madre lor gregge assalire,
che già d’esse più volte insanguinati
senza la scorta poi prendono ardire
contra i più grossi armenti e meglio armati
di pastori e di can soletti gire,
che da quei, più di lor sagaci e forti,
sien col troppo voler battuti e morti;
tale allor questi due con Segurano
ebber di pari ardir simil fortuna:
ch’ad ambo insieme la spietata mano
la vita e ’l giorno in un momento imbruna.
Di questo getta il capo a lui lontano,
e quell’altro percuote ove s’aduna
l’ultima costa al suo sinistro lato,
e presso al pio fratello è riversato.
Pianse il vecchio pietoso, quando scorse
la valorosa coppia a morte giunta,
e ch’alla giovin voglia non occorse
di paterno dolor l’anima ha punta,
e quasi al vendicargli irato corse;
ma in questo mezzo strettamente aggiunta
è l’avversaria già con la sua gente,
tal ch’ad opra maggior piega la mente:
e rivolgendo il guardo in ogni loco
pur i suoi nel bisogno riconforta,
che nessun per timor molto né poco
al furor de i nemici apra la porta.
Ma il fero Seguran, ch’ardente foco
negli occhi, nella mano e nel cor porta,
sopra i primieri, ove col ferro aggiunge,
quanti puote incontrar percuote e punge.
Truova che ’nsieme Amintore e Dinea
a quei che dietro son si fanno scudo,
i quai scampando altrui da sorte rea,
hanno in sé riconverso il ferro crudo:
perch’a l’un col poter ch’estremo avea
passò la spada, come fosse ignudo,
per entro il petto alla incurvata valle
che nascosa in tra lor forman le spalle;
Dinea fere alla fronte, dove appare
assisa in mezzo la più larga vena,
e ’l fé col volto in alto riversare
e di sangue irrigò la pressa arena.
Segue oltra, ove più insieme riserrare
vede la folta schiera, e sta ripiena
d’ostinato voler di morte certa
pria che lassargli mai la strada aperta.
Ivi con più furor s’accampa allora,
e tutti i suoi miglior d’intorno accoglie.
Qual rapido torrente a cui talora
il semplice cultore il corso toglie
e per altro cammin del vecchio fuora
spinger il vuol, contrario alle sue voglie,
ch’ove intoppo maggior traverso truova
tanto più d’espugnarlo usa ogni pruova;
tal l’aspro Seguran quanta ha virtude,
quant’ha forza e valor sovr’essi spiga.
Ma ’l Britanno drappel via più che incude
sta saldo a i colpi, e non si torce o piega;
duce non ha che non s’affanni e sude,
e ’l valoroso re conforta e prega:
e dove alcun de’ suoi veggia ire a terra
con nuovi altri guerrier sostien la guerra.
Né il famoso Boorte indarno siede,
che pronto ha in ogni parte il passo e ’l ciglio,
e nell’uopo maggior disceso a piede
tosto ivi accorre al publico periglio:
all’apparir del qual tutto si vede
il campo più che pria farsi vermiglio,
che spinge innanzi, e con l’invitta spada
ove sta Seguran prende la strada.
Il qual, come vicin venir lo scorge,
il chiama e dice: “O misero Boorte,
qual contrario pianeta oggi vi scorge
nel fiorir vostro a così acerba morte?
Alta pietà di voi nel cor mi sorge,
né mi doglio anco men della mia sorte,
ch’all’uccider mi sforzi un guerrier tale
e ch’amai sempre alle mie luci eguale.
Ben udiste già dir ch’io giovinetto
fui del re vostro padre intero amico;
mentr’io giva formando il rozzo petto
col suo valore e col gran senno antico,
d’ogni contento suo prendea diletto
e quanto in odio avea mi fu nemico:
né mai saggio figliuolo amò più il padre
ch’io fei lui sempre, e l’opre sue leggiadre.
E ’n questo istesso loco mi trovai
seco con l’arme in man contro a Clodasso,
là dove il popol suo colmo di guai
rendei più volte e lui medesmo lasso:
in fin che in altra parte me n’andai
verso il castel del Periglioso Passo,
che mi sforzò l’onore e ’l dever mio,
e ’ntanto il miserel del mondo uscìo;
doppo il qual vi rimembre il sommo amore
ch’a voi, come a figliuol, portai mai sempre.
Or se il ciel, rivolgendo i giorni e l’ore,
dell’esser nostro poi cangiate ha tempre,
non avrà forza mai che questo core,
se ’l composto mortal non si distempre,
non sia pure il medesmo in ogni sorte
verso il nome onorato di Boorte.
Ma poi che sposo son di Claudïana
e di Clodasso suo genero fido,
non sia stimata a torto opra villana
se di quella e di lui difendo il lido;
e se già l’altra età poco lontana
vide Avarco de’ vostri antico nido,
Giove riguardi a ciò, che ’l nostro Marte
volge la vista sua per altra parte.
Ben mi dorrei se mi sforzasse tale
che foste per mia man di vita in bando:
e però vi riprego che ’l fatale
corso v’adduca in altro luogo errando,
e sopra il nuovo popol che n’assale
possa la mia virtù mostrar col brando;
né mi vegnan vittorie onde le spoglie,
più larghe che gli onor, m’apportin doglie”.
Ma l’ardito Boorte in atto altero,
poi ch’ha queto ascoltato, gli risponde:
“Se ’l ciel vorrà (che ’l tutto scerne intero
e senza il cui voler non crolla fronde)
che mi toglia del mondo il braccio fero
di Seguran, cui tal valore infonde,
il mio fuggirse altrove indarno fora,
che scampar non porria, né indugiar l’ora.
Il medesmo avverria, signor, di voi,
se ’l fin per questa man lassù v’è dato:
però fia ben tentarlo, e ’l vedrem poi,
che l’uom conosce sol quel ch’è già stato.
L’antico e chiaro amor ch’ora è fra noi
anco doppo il morir non cange stato:
perché non debbe odiar l’anima forte
chi col ferro d’onor la spinse a morte”.
Così detto, ripien d’alto desire
di gloria rivestir con guerrier tale,
drizza alla testa il brando, ma ferire
altro non può che del serpente l’ale:
ch’alto levò lo scudo a ricovrire
il colpo che scendeva agro e mortale
l’accorto Seguran che non disprezza
quella giovine età nell’arme avvezza.
Non vien per questa men l’altera speme
ch’al valoroso Gallo il petto avvampa,
che in diversi altri modi il punge e preme
e l’arme intorno percotendo stampa.
l’altro, ch’offender lui nell’alma teme,
solo a difender sé le forze accampa,
e si cuopre or col brando or con lo scudo,
in fin che ’l vide poi di pietà nudo:
però che sopra il braccio il ferro scese,
ch’ei non poteo schivar con tanta possa
che la man tutta e ’l destro lato offese,
e dentro gl’intonò la carne e l’ossa.
l’ira di Marte allor ratta s’accese
nell’aspro Iberno, e la pietade ha scossa
dicendo: “Poi che in voi non val l’amore
vaglia di Seguran l’odio e ’l furore”.
E qual levriera pia, che talor soglia
co’ suoi stessi figliuoi mordersi a gioco,
ch’ancor che i denti lor le apportin doglia,
se moderata vien, la soffra un poco:
poi se passa il dever, cangia la voglia
e ’l gran materno amor non ha più loco,
che disdegnosa al fin lor corre sopra
e l’unghia e ’l morso a gastigargli adopra;
tal avvien di Boorte a Segurano,
che ’n disdegnoso passo a lui s’avventa:
l’invitta spada, la feroce mano
in basso spinge al vendicare intenta.
Ogni ferro, ogni scudo era ivi invano
per far riparo alla sua vita spenta;
ma il giovinetto snello in leve salto
secur si fé dal periglioso assalto:
ond’il gran colpo, con dannoso scherno,
sopra l’arena scorse a lui vicina,
dietro al cui grave peso il fero Iberno
le sollevate membra stese inchina,
con più romor ch’al tempestoso verno
non fa di cerro antico alta ruina
che ’l rapido torrente intorno svelse
e del torbido corso preda felse.
Il cortese Boorte ratto accorre
e pensa ogn’uom che per ferirlo vada,
quando veggion pietaoso che ’l soccorre
e tien lunge al suo mal l’aguta spada.
In questo mezzo d’ogni intorno corre
gente che ’ntra lor due chiude la strada;
e già le schiere son sì strette in uno
che ’l suo loco a guardar torna ciascuno.
Ma il forte Seguran, qual rabid’orso
che d’alto arbor pomoso cadde a terra,
che con tutto il poter d’unghia e di morso
delle piante più basse i rami atterra;
tal egli, abbandonato all’ira il morso,
sendogli tolto in lui, muove aspra guerra
in quei che primi incontra, e d’essi face
quel che di cervi suol tigre rapace.
Truovasi presto il misero Balante,
che di Mambrino il saggio era cugino;
passogli il petto, e con la fronte innante
giacque al suo percussor tristo vicino.
Ippaso poscia se gli oppose avante,
ch’ebbe al compagno pio pare il destino,
che come in grado egual vissero insieme
una morte medesma anco gli preme:
ma ferito fu questi ove la gola
aggiungendosi al petto è cava alquanto.
La vita appresso crudelmente invola
a Stichio, Micisteo, Laso e Cleanto,
della progenie Uvallia che già sola
tra i più chiari Pembruchi aveva il vanto
d’aver domata la famosa Arforda
che col nobil legnaggio mal s’accorda.
Ritruova oltra a costor l’altero Alito,
parente di Serbino e Pellicano,
del seme altero di Merlino uscito
ma da l’arte di lor molto lontano:
in cui se come i suoi fosse nutrito,
avria previsto allor che ’n Segurano
fu riposto il suo fine, onde potea
forse altrove indugiar la sorte rea;
né si saria, com’or, con tanto ardire
di sì gran cavalier messo al paraggio:
il qual pensando in alto di ferire
già dalla esperïenza è fatto saggio,
ch’ei vede indarno il colpo rïuscire
e nel nemico suo tutto il vantaggio,
che la spada gli pon sopra il cimiero
e ’n due parti il ripose su ’l sentiero.
Vien doppo questo il nobile Esimone,
che nato d’alta stirpe in Bargaria
mezza suggetta avea la regïone
che ’n verso Brestolina apre la via:
e ’ncontro al gran furor, folle, s’oppone
del possente guerrier, ch’a morte ria
di gir volando gli mostrò la strada,
trapassato nel ventre con la spada.
Giva seguendo ancor, sì che in poc’ora
uccisi avea tant’Orcadi e Britanni
che nessun più davanti gli dimora,
ammaestrato in sé dagli altrui danni.
Già più d’un duce di speranza è fuora
di rimedio trovar degli alti affanni,
e più ch’alla vittoria o alla virtute
volge ogni suo pensiero alla salute.
Era gito Boorte in altro loco
contro al fero Clodino e ’l re Brunoro:
ove acceso trovò sì ardente foco
ch’ei non può per altrui lassar costoro.
Ma il buon re Lago, poi che stanco e roco
è de’ suoi richiamar che in fuga foro,
come altra volta già, si spinge avante
con passo e cuor di cavaliero errante.
Ma il pietoso figliuol, che vicin vide,
e molti altri suoi duci appresso chiama,
Matanzo il Bruno e ’l caro suo Patride,
che non men di se stesso apprezza ad ama,
Matagrante, Plenoro e l’altre fide
scorte più amiche e d’onorata fama:
le quai senza tardar gli vanno intorno
come sciolti levrieri in caccia al corno.
Quando il gran Seguran vicina scorge
a’ suoi danni venir l’eletta torma,
quanta più puote al cor baldanza porge,
sì che vieti al suo piè di cangiar orma:
sveglia ogni forza, e con le spalle insorge
e nel saldo ferir se stesso informa;
conferma ben nel braccio il grave scudo
e nella destra mano il brando crudo:
in guisa di cinghial che ’ntorno cinto
tra cani e cacciator del bosco fuore
si veggia in loco aperto esser sospinto,
ove al suo scampo ha sol l’arme e ’l furore:
che ’l dente mostra alla battaglia accinto,
incurva il dorso, e ’n minaccioso orrore
drizza l’ispide sete, raspa e freme
e nel suo desperare ha solo speme.
Sopra il primo che vien, se stesso sprona
l’irato Iberno, e scese l’aspra sorte
nel pio Drianzo, a cui tal colpo dona
sopra l’elmo ben fin, che ’l pose a morte;
poi con superbe voci alto ragiona:
“Venga innanzi di voi chi sia più forte,
perché possa sentir se questa spada
men grave in lui che nel compagno vada”.
Ma l’altra schiera insieme va ristretta,
ché così gli ammaestra il vecchio saggio,
dicendo: “Chi desia di far vendetta
no ’l deve refutar, quand’ha vantaggio.
S’io fussi ancor di quell’età perfetta
che fu degli anni miei l’aprile e ’l maggio,
andrei certo più tosto ignudo e solo
ch’or con tali arme e con sì largo stuolo.
Ma il meglio è d’obbedire alla natura,
e quali ella ne dà, le forze usare;
e tanto più colui che sol procura
la salute e ’l ben publico servare.
Però senza tenere or d’altro cura
che di questo crudel quindi levare,
andiam congiunti insieme, perché invano
sarebbe un sol di noi con Segurano:
ch’ancor ch’e’ sia di me più giovin tanto
ch’io non fussi giamai seco a battaglia,
sento da tutto il mondo dargli il vanto
sovr’ogni cavalier che vesta maglia;
e bench’e’ ceda a Lancilotto alquanto
al possente Tristan forse s’agguaglia:
e l’un sendo lontano, e l’altro irato,
deviam ben riguardare al nostro stato”.
Così dicendo, angusto cerchio fanno,
che ben doppiato sia da ciascun lato,
al feroce guerrier, che mortal danno
a Matagrante d’una punta ha dato
che gli ha passato il cor; ma gli altri l’hanno
col sovente ferir tutto intonato,
sì che gli sembra il mondo gire intorno
di color vari e di facelle adorno:
onde sforzato al fin ritira il passo,
e poi con degnità fra’ suoi si resta,
di sdegno più che di fatica lasso
o che d’aspre percosse della testa;
e quando è in sé, d’ogni speranza casso
di passare oltra il vallo che l’arresta,
rivolta in altra parte e in altra strada
l’aspro furor della mortale spada:
simile a quel possente altero fiume
a cui l’arte e ’l valor d’umani ingegni,
ove il corso drizzare avea costume,
chiuser con gravi sassi e duri legni;
né sia di forza tal ch’apra e consume
di sotto o intorno i validi sostegni,
che per altro sentiero abbatte e svelle
quando incontra, e ’l romor vola alle stelle.
Torna alla sua sinistra, là dov’era
Creuso, Ivano e ’l nobile Mambrino,
nella parte a cui stende la riviera
il suo lido arenoso più vicino,
ch’a battaglia ivi perigliosa e fera
son con Brunoro il Nero e con Clodino:
ma così va di par, ch’essi non sanno
chi più s’aggia di lor vittoria o danno.
Ma nel primo apparir di Segurano
la volubil fortuna il dubbio solve:
ch’apena giunto ancor la cruda mano
ha gettato riverso tra la polve
il forte Attorïon, cugin d’Ivano,
il qual, mentre che l’alma si dissolve,
chiede al suo vel terrestre sepoltura,
per non restar di cani empia pastura;
e luogo ebbe il pregar, ma non sì tosto,
ch’allora è in altro affar ciascuno inteso:
perché non lunge a lui per terra ha posto
il giovin Menesteo da morte offeso,
ch’al possente furore indarno opposto
sperò di sostener più grave peso
che non fu il suo valore; e se n’accorse
quando il colpo mortale al ventre scorse.
Doppo costoro uccise in un momento
Sfeleo, Clonio, Micipso e Licofone,
che tutti avean suggetti e reggimento
ove nel mar Sabrina si ripone.
Passa oltra il crudo, e tra ’l fugace armento
sembra affamato e rabido leone
che d’altra preda pria spogliato fosse
da pastorale schiera che ’l percosse.
Creuso il Senesciallo e ’l prode Ivano
co i miglior cavalier ch’aggiano appresso,
ben ristretti fra lor, drizzan la mano
ove il popol vicin più viene oppresso:
ma quando oprano in ciò ritorna vano,
che lo stuol paventoso in fuga messo
avea chiuso il cammino, e ’n tutta forza
di fermare ivi il piè ciascuno sforza.
Surge Mambrino il saggio d’altra parte,
che men l’aspra tempesta avea sentita:
sveglia chiamando il buon popol di Marte
e ’n tai conforti alla difesa invita:
“Ora è ’l tempo a mostrar se l’antic’arte
del militare studio è in noi fallita,
che fu già sì pregiata in Bangaria
che di tutta Brettagna il vanto avia;
o se siamo i medesmi che più volte
al Betico furor ponemmo il freno,
che già con mille navi insieme accolte
n’avean privati del natio terreno:
onde tante poi fur tra fiamme avvolte,
quando del sangue lor c’empiemmo il seno;
o quelli stessi ch’al vicino Iberno
aviam fatto sovente e danno e scherno.
Questi, di cui temete il guardo solo,
son tutti di color di ch’io ragiono,
nati e nodriti dal medesmo polo,
né dal ciel più di quelli han proprio dono.
Ora al primo valor si spieghe il volo
e rinfreschi di lui l’antico suono,
e seguite il mio piè, che vi conduce
alla vera di gloria eterna luce”.
Così dicea Mambrino, e mostra loro,
per più infiammare i cor, l’altero scudo
che di perso colore e d’ostro e d’oro
diviso appar, d’ogni animale ignudo:
e lassando Ozonel col re Brunoro
s’invia co’ suoi dove l’Iberno crudo
opra in danno d’Ivano e di Creuso
oltre a quel che convegna al mortal uso;
e lui con grande ardir primiero assale,
e gli dà in mezzo al capo aspra percossa
che ben l’offese assai, ma non fu tale
che impiagare o impedir di nulla il possa.
L’altra sua compagnia formata in ale
da sinistra e da destra insieme è mossa,
e con l’aste e co i brandi gli stan sopra,
e di metterlo a terra ogni uomo adopra.
Ma qual rigido scoglio è sempre in piede,
né paventa il furor di questo mare.
Pria di tutti Mambrin nel braccio fiede,
e gli fece la spada abbandonare;
poi fra gli altri guerrier che ’ntorno vede
tra fugaci colombe aquila appare,
che chi in fronte ferito e chi nel fianco
tra ’l fuggire e ’l morir venuto è manco.
Or poi che s’è veduta quella speme
che più gli sostenea cadere in vano,
e che quanto egli incontra abbatte e preme
l’alto valor del fero Segurano,
ciascun sì forte omai la morte teme
che sprezzato ogni duce e capitano,
stendendo il corso per l’angusta valle,
al nemico vicin voltan le spalle.