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Traduzione dall'inglese di Gaetano Barbieri (1842)
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AVVENTURE
di
ROBINSON CRUSOE
Ebbi due fratelli maggiori di me; un de’ quali, tenente-colonnello in un reggimento di fanteria inglese, servì nella Fiandra sotto gli ordini del famoso colonnello Lockhart, e fu morto nella battaglia presso Dunkerque contro agli Spagnuoli. Che cosa addivenisse dell’altro mio fratello, non giunsi a saperlo mai più di quello che i miei genitori abbiano saputo in appresso di me.
Terzo della famiglia, nè educato ad alcuna professione, la mia testa cominciò sino di buon’ora ad empirsi d’idee fantastiche e vaghe. Mio padre, uomo già assai vecchio, che mi aveva procurata una dose ragionevole d’istruzione, per quanto può aspettarsi generalmente da un’educazione domestica e dalle scuole pubbliche del paese; mi destinava alla professione legale; ma nessuna vita mi garbava fuor quella del marinaio, la quale inclinazione mi portò si gagliardamente contro al volere, anzi ai comandi di mio padre, e contro a tutte le preghiere e persuasioni di mia madre e degli amici, che si sarebbe detto esservi nella mia indole una tal quale fatalità, da cui fossi guidato direttamente a quella miserabile vita che mi si apparecchiava.
Mio padre, uom grave e saggio, mi avea dati seri ed eccellenti consigli per distogliermi da quello ch’egli presentì essere il mio disegno. Mi chiamò una mattina nella sua stanza ove lo confinava la gotta, e lagnatosi fortemente meco su questo proposito, mi chiese quali motivi, oltre ad un mero desiderio di andar vagando attorno, io m’avessi per abbandonare la mia casa ed il mio nativo paese; ove io poteva essere onorevolmente presentato in ogni luogo, e mi si mostrava la speranza di aumentare il mio stato, l’applicazione e l’industria, e ad un tempo la sicurezza di una vita agiata e piacevole. «Sol per due sorte d’uomini, egli mi diceva, è fatto il cercare innalzamento e fama per imprese poste fuori della strada comune: per quelli che non hanno ove cascar morti, e per coloro ai quali ogni ricchezza, ogni ingrandimento sembrano pochi. Or tu sei troppo al di sopra o al di sotto di questi; la tua posizione è in uno stato mediocre, in quello stato che può chiamarsi il primo nella vita borghese, posizione che una lunga esperienza mi ha dimostrata siccome la migliore del mondo, e la meglio acconcia all’umana felicità; non esposta alle miserie e ai travagli che son retaggio della parte di genere umano costretta a procacciarsi il vitto col lavoro delle proprie braccia; e nemmeno agitata dalla superbia, dal lusso, dall’ambizione e dall’invidia ond’è infetta la parte più alta dell’umanità. Puoi argomentare la beatitudine di un tale stato da una cosa sola: dall’essere cioè esso la condizione invidiata da tutto il resto degli uomini. Spesse volte gli stessi re hanno gemuto sulle triste conseguenze dell’esser nati a troppo grandi cose; onde molti di loro si sarebbero augurati vedersi posti nel mezzo dei due estremi, tra l’infimo e il grande. Poi ti ho mai dato altre prove, altri esempi io medesimo? Ho sempre riguardata una tal condizione come la più giusta misura della vera felicità, e ho pregato costantemente il Signore che mi tenesse ugualmente lontano dalla povertà e dalla ricchezza. Suggellati ciò bene nella mente, figliuolo.
Troverai sempre che le calamità della vita sono distribuite fra la più alta e la inferior parte del genere umano; e che uno stato mediocre, soggetto a minori disgrazie, non è esposto alle tante vicende cui soggiacciono i più grandi o i più piccoli fra gli uomini; chi si contenta della mediocrità, non patisce tante malattie e molestie sia di corpo, sia di mente, quante i grandi, o gl’infimi: quelli consumati dal vivere vizioso, dalla superfluità dei piaceri e dalle medesime loro stravaganze; questi logorati da una dura e continua fatica, dalla mancanza delle cose necessarie, e da uno scarso ed insufficiente nudrimento, traggono sopra sè stessi quante infermità sono cagionate dalla loro maniera di vivere. Aggiugni, la condizione media della vita è fatta per ogni sorta di virtù e per ogni sorta di godimenti; la pace e l’abbondanza sono congiunte a quest’aurea mediocrità; la temperanza, la moderazione, la tranquillità, la salute, la buona compagnia, ogni diletto degno di essere desiderato, vanno necessariamente accompagnati con lei. Per essa gli uomini trascorrono pacatamente e soavemente la peregrinazione di questo mondo, e n’escono piacevolmente, non travagliati da fatiche di braccia o di capo, non venduti alla schiavitù per accattarsi il giornaliero loro pane, non angustiali da perplessità che tolgono la pace all’anima e il riposo al corpo; non lacerati dalla passione dell’invidia o dal segreto rodente verme dell’ambizione che li faccia aspirare a grandi cose. Guarda come, posti in condizioni non mai difficili, attraversino la carriera della vita gustandone le soavità senza provarne l’amaro, sentendo di esser felici, e imparando da una giornaliera esperienza di essere ogni giorno più. Dunque sii uomo; non precipitarti da te medesimo in un abisso di sventure contro alle quali la natura e la posizione in cui sei nato, sembrano averti premunito; non sei tu nella necessità di mendicarti il tuo pane. Quanto a me, son disposto a farti del bene e ad avviarti bellamente in quella strada che ti ho già raccomandata come la migliore; laonde se non ti troverai veramente agiato e felice nel mondo, ne avranno avuto unicamente la colpa o una sfortuna da non potersi prevedere o la tua mala condotta, venute ad impedirti sì lieto destino. Ma non avrò nulla da rimproverare a me stesso, perchè mi sono sdebitato del mio obbligo col farti cauto contro a quelle tue risoluzioni che vedo doverti riuscire rovinose. Son prontissimo dunque a far tutto a tuo favore, se ti determini a rimanertene in mia casa e ad accettare un collocamento quale te l’ho additato; ma altresì non coopererò mai alle tue disgrazie col darti veruna sorta d’incoraggiamento ad andartene. Guarda tuo fratello maggiore al quale aveva fatte le stesse caldissime insinuazioni per rattenerlo dal portarsi alle guerre de’ Paesi Bassi; ah! non riuscii a vincere in quel giovinetto l’ardente voglia di precipitarsi in mezzo agli eserciti! Che gli accadde? vi rimase ucciso. Ascoltami bene; io certo non cesserò mai dal pregare il Cielo per te; pure m’arrischierei dirti che se t’avventuri a questa risoluzione insensata, Dio non t’accompagnerà con la sua benedizione; e pur troppo per te avrai tutto il campo in appresso a pentirti d’aver trascurati i documenti paterni; ma ciò avverrà troppo tardi, e quando non vi sarà più alcuno che possa accorrere in tuo scampo.»
Notai, durante quest’ultima parte del suo discorso, che fu veramente profetica, benchè, io suppongo, quel pover’uomo non sapesse egli stesso quanto profetizzasse la verità; notai, dissi, come gli scorressero copiose lagrime per le guance, allorchè principalmente parlommi del mio fratello rimasto ucciso; così pure allorchè mi disse che avrei avuto campo a pentirmi quando non vi sarebbe stato chi mi avesse potuto più campare: in quel momento apparve si costernato, che troncò di botto il discorso, e mi disse:
— «Ho troppo gonfio il cuore per poterti dire altre cose.»
Fui sinceramente commosso da una tale ammonizione; e da vero come avrebbe potuto essere altrimente? commosso tanto, che determinai in quel momento di non pensare più a girare il mondo, ma di mettermi di piè fermo in mia casa come mio padre desiderava. Ma ohimè! pochi giorni si portarono via tutti questi miei propositi; ed alla sprovveduta, per impedire ogni altra sollecitazione del padre mio, risolvei di fuggirmi da lui entro poche settimane; pur non feci nè sì sollecitamente nè in quel modo che nell’impeto della mia risoluzione aveva divisato; ma, tratta in disparte mia madre in un momento ch’ella mi parve di buon umore più che d’ordinario, le dissi come le mie idee fossero affatto vôlte al desiderio di vedere il mondo. — «Già, io continuai, con tale brama ardentissima in me non potrò mai combinare nessun’altra delle cose propostemi; mio padre farebbe meglio a concedermi il suo assenso, anzichè costringermi ad andarmene senza averlo ottenuto. Ho già diciotto anni compiuti, età troppo tarda per entrare alunno in una casa di commercio o nello studio di un avvocato; io sono ben sicuro che se mi prestassi a ciò fare, non compirei il termine del mio alunnato, e fuggirei prima del tempo dal mio principale per mettermi in mare. O madre mia! se voleste pronunziare una vostra parola presso mio padre, affinchè mi lasciasse una volta soltanto fare un viaggio dintorno al mondo, tornato a casa, ove tal vita non mi conferisse, non parlerei più d’andarmene: in tal caso, ve lo prometto io, raddoppierei la diligenza, e saprei riguadagnare il tempo perduto.»
Ciò pose mia madre nella massima agitazione.
— «Non vedo, ella disse, come una tal proposta possa mai esser fatta a tuo padre. Egli sa troppo bene qual sia il tuo vero scopo per prestare giammai il suo assenso ad un partito di tanto tuo scapito; non capisco nemmeno come tu possa pensar tuttavia a cose di simil natura dopo il discorso di tuo padre, e dopo sì tenere ed amorose espressioni che adoperò teco; perchè io so qual discorso ti ha tenuto. Figliuolo caro, se vuoi rovinarti da te medesimo, non sarò io quella che t’aiuti a farlo; sta pur sicuro che l’assenso de’ tuoi genitori non l’otterrai in eterno. Quanto a me, certamente non voglio il rimorso di aver prestata mano alla tua distruzione, nè che tu abbi mai a dire un giorno: Mia madre acconsentiva ad una cosa che mio padre disapprovava.»
Benchè mia madre ricusasse far parola di ciò a suo marito, pure, come lo riseppi in appresso, gli riferì tutto questo discorso, e mio padre dopo essersene molto costernato, le disse mettendo un sospiro:
— «Questo ragazzo potrebbe esser felice rimanendo a casa sua; ma se si dà a vagare pel mondo, sarà il più miserabile uomo fra quanti nacquero su la terra; non posso acconsentire a ciò.»