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Traduzione dall'inglese di Gaetano Barbieri (1842)
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Le zattere.
Vi trasportai dunque quante bande e assi mi venne fatto raccogliere e tre casse di marinai, ch’io aveva aperte forzandone le serrature, vôtate e calate su la mia zattera per empirle indi, come feci, di vettovaglie, vale a dire, pane, riso, tre formaggi d’Olanda, cinque pezzi di carne secca di castrato (genere d’alimento di cui avevamo già fatto grand’uso durante la navigazione), ed un piccolo rimasuglio di grano d’Europa, trasportato con noi per nudrire alcuni polli che in appresso furono uccisi. Tra questi grani vi era qualche poco di orzo e di frumento, che m’accorsi di poi con mio grande rincrescimento essere stato mangiato o guastato affatto dai sorci. Intorno a liquori, ne trovai cinque casse di fiaschetti, tra cui alcuni di confortanti spettanti al capitano, ed in tutto tra i venti ed i ventiquattro boccali di rack. Questi gli allogai in disparte, e perchè non vi era bisogno di metterli nelle casse, e perchè non vi era nemmeno più luogo per essi. Mentre io stava facendo tali cose notai che la marea saliva, placidissima per dir vero, ma ciò non mi tolse la mortificazione di veder galleggiare sovr’essa la mia camicia, la mia camiciuola e il mio giustacuore, che avea lasciati sopra la sabbia; chè quanto alle mie brache di tela sottile aperte al ginocchio e alle calze, le aveva tenute. Tal vista ciò non ostante mi fece avvertito di unire insieme panni da vestirmi de’ quali trovai copia bastante, ma non ne presi meco oltre al bisogno del momento, perchè aveva in mira cose di maggior utilità; e soprattutto il munirmi di stromenti da lavoro per quando sarei tornato sopra la spiaggia. Di fatto dopo lunghe ricerche trovai la cassa del carpentiere più preziosa all’uso mio in quel momento, che nol sarebbe stato un galeone carico d’oro. La misi nella mia zattera senza nemmeno guardarci entro, perchè conosceva a un di presso tutto ciò che in essa si contenea.
Dopo questo ebbi pensiere di provvedermi d’alcune armi e munizioni. Trovandosi nella grande camera due eccellenti moschetti da caccia e due pistole, di queste cose primieramente m’impossessai oltre ad alcuni fiaschetti di polvere, un sacchetto di pallini e due rugginose spade. Io sapeva che dovevano essere nel vascello tre barili di polvere, benchè ignorassi ove il nostro cannoniere gli avesse collocati; e a furia d’indagini li trovai: due de’ quali asciutti e buoni, il terzo bagnato. Presi i due primi nella mia zattera insieme con l’armi. Vedendomi allora assai ragionevolmente carico cominciai a non pensare più, che al modo di guadagnare con tutti questi arnesi la spiaggia, perchè, non avendo io nè vela nè remo nè timone, il menomo venticello bastava a mandare sossopra tutto il mio carico.
Tre cose m’incoraggiavano: primieramente un dolce placido mare, in secondo luogo la marea che saliva verso la spiaggia, e per ultimo il vedere come il più picciolo soffio di vento che si fosse alzato, mi vi avrebbe a dirittura spinto. Pertanto avendo trovati due o tre remi rotti che spettavano alla scialuppa, e fra gli stromenti contenuti nella cassa del carpentiere due seghe, un’accetta ed un martello, con tutta questa provvigione m’affidai al mare. Per un miglio all’incirca la mia zattera andò assai bene; trovai solamente che nel dirigersi verso il lido si scostava alcun poco dal luogo ove presi terra la prima volta, la qual cosa ben mi fece conoscere esservi qualche braccio di mare che s’internava nella costa, onde concepii la speranza di trovare quivi un seno o un fiume, che mi facesse uffizio di porto per isbarcare tutta la mia provvigione.
La cosa era come io la immaginava; perchè comparsami innanzi una piccola apertura di terra, trovai una forte corrente di marea che s’affrettava a quella volta; vi guidai il meglio che potei la mia zattera per mettermi in mezzo al fiume. Ma qui andai a pericolo di soffrire un secondo naufragio, il che se mi fosse accaduto, mi avrebbe da vero accorato; poichè per la niuna mia cognizione di quella costa, la zattera andò ad arrenarsi con una estremità in un banco di sabbia, mentre con l’altra estremità stava nell’acqua, per lo che mancò quasi un istante che il mio carico non isdrucciolasse verso l’estremità galleggiante, e cadesse dentro all’acqua. Feci ogni possibile sforzo per piantarmi con la schiena contro alle casse a fine di tenerle ferme ne’ loro luoghi; nè ardii muovermi da tale postura, ma sempre facendo resistenza alle casse, mi tenni in essa alla meglio per circa mezz’ora, nel qual tempo l’innalzamento dell’acqua mi rimise un po’ più in equilibrio; indi poco dopo, l’acqua innalzandosi tuttavia, la mia zattera galleggiò nuovamente, onde col mio remo potei spingerla entro il canale, e governando sempre all’insù mi trovai finalmente alla foce di un fiumicello che aveva terra da entrambi i lati, ed una forte corrente o marea che ascendeva. Guardai da entrambi i lati per iscegliere il luogo più opportuno ove sbarcare, non desiderando io di essere trasportato troppo alto lungo il fiume; che mi rimanea la speranza di vedere una volta o l’altra qualche vascello sul mare. Perciò unicamente risolvetti di collocarmi quanto poteva vicino alla costa.
Finalmente mi riuscì scoprire una piccola calanca alla destra riva del seno, verso la quale con grande stento e difficoltà condussi la mia zattera, e trovatomi sì vicino a terra, ch’io potea toccarla col mio remo, spinsi tosto in quella dirittura la zattera stessa; ma qui ancora tutto il mio carico corse grave pericolo, perchè quella spiaggia avendo una giacitura affatto ripida o piuttosto sdrucciolevole, non vi era luogo a prender terra, se non laddove una estremità del mio naviglio avrebbe poggiato sì in alto, che l’altra estremità sarebbesi tuffata nell’acqua, ed il mio rischio tornava ad essere quello di prima. Tutta la mia virtù stette nell’aspettar tanto che la marea venisse alla sua massima altezza, tenendo forte col mio remo, trasformato in ancora, il lato della zattera stessa contro alla spiaggia presso ad uno spazio di terra piatta, su cui m’immaginava che sarebbe corsa l’acqua crescente; e così avvenne. Appena ebbi trovato abbastanza d’acqua, perchè la mia zattera vi pescasse all’incirca per l’altezza d’un piede, la spinsi su quel pezzo di terra piatta, e quivi la legai e ormeggiai, conficcando sul suolo i miei due remi, vôlti uno da un lato vicino ad una delle estremità di essa, l’altro presso all’estremità opposta. Rimasto così fintantochè l’acqua con la marea decrescente se ne fosse andata, ebbi salvi e il mio carico e la mia zattera sopra la spiaggia.
La mia ultima cura si fu quella d’investigare il paese e di cercare un luogo opportuno per mettervi dimora, ed ove poter assicurare le mie sostanze da quante disgrazie mai potessero succedere. Dove io mi fossi, non lo sapeva; non se in un continente o in un’isola; non se in una terra abitata o disabitata; nè se in pericolo o no di essere assalito da belve selvagge. Io vedeva, più lontano un miglio da me, un monte assai erto ed alto, che parea dominarne alcuni altri posti in continuazione con esso dalla banda del settentrione. Presi con me uno de’ miei moschetti, una delle mie pistole ed un fiaschetto di polvere, e andai così armato alla scoperta della cima di questo monte, alla quale inerpicatomi con grande pena e fatica, conobbi pienamente e con mia grande costernazione il mio destino: quello cioè di trovarmi in un’isola accerchiata per tutti i versi dal mare senza veruna terra in vista, salvo alcune giogaie di scogli da me lontanissimi e due isolette più piccole di questa, che mi giacevano in una distanza di circa tre leghe a levante.
Trovai parimente che tutta questa mia isola era affatto incolta, e come ebbi buona ragione di credere, non abitata fuorchè da fiere, di cui per altro non ne vidi una sola. Notai bensì una grande abbondanza di volatili senza conoscerne le specie, e senza poter nemmeno sapere, quando ne ebbi uccisi alcuni, quali fossero buoni per cibarsene e quali no. Nel tornare addietro tirai ad un grosso uccello ch’io vidi appollaiato sopra un albero di fianco ad una grande foresta: credo sia stato il primo moschetto sparatosi in quell’isola dopo la creazione del mondo. Non ebbi appena scaricata la mia arma, che surse da tutte le parti del bosco un’innumerabile quantità di uccelli di parecchie specie, che empierono l’aria di confusi strilli e grida, ciascuno in conformità delle sue usate note, niuna delle quali per altro fuvvi ch’io mi ricordassi di avere udita per lo innanzi. Quanto al grosso volatile che ammazzai, lo presi per una specie di falco, perchè somigliava a questo animale nel colore e nel rostro, ma non aveva artigli più del comune degli uccelli: la sua carne non era affatto buona a mangiarsi.
Pago per allora di tal mia scoperta, e tornatomene alla mia zattera, mi diedi all’opera di trasportare il mio carico sopra la spiaggia, ciò che mi portò via tutto il rimanente del giorno. Che cosa far di me nella notte, non lo sapeva, e nemmeno ove dormire, perchè il giacere sul terreno all’aperto mi faceva paura per la possibilità che qualche fiera venisse a divorarmi, benchè, come lo verificai in appresso, non vi fosse realmente luogo a tali timori.
Ciò non ostante munitomi intorno alla meglio con le casse e le tavole che aveva trasportate alla spiaggia, mi feci una specie di capanna pel mio alloggio di quella notte. Quanto al mio nutrimento avvenire, io non sapeva ancora in qual modo mi sarei aiutato, se non che io aveva veduto due o tre animali simili a lepri correr fuori della foresta ove uccisi il grosso uccello col mio moschetto.
Cominciai indi a considerare, che avrei potuto portar meco fuor del vascello una grande quantità di cose secondo ogni probabilità utili per l’avvenire, e particolarmente sarte e vele ed altre piccole cose facili a trasportarsi; onde mi determinai di fare un’altra gita, se mi fosse possibile, a bordo del vascello; e poichè io vedea come la prima burrasca che fosse sorta, lo avrebbe necessariamente posto affatto in pezzi, feci proposito di mettere in disparte ogni altra faccenda finchè non avessi tirate a casa quante cose potevano ancora aversi dal naufragato vascello. Allora chiamai a consiglio, ben inteso, nient’altro che i miei pensieri, per decidere se avessi dovuto valermi nuovamente della mia zattera; ma apparsomi ciò impraticabile, risolvei d’andarci come prima in un momento di bassa marea; ed abbracciai questo partito, spogliandomi per altro prima di uscire della mia capanna; laonde io non aveva in dosso se non una camicia tessuta a scacchi, un paio di mutande di tela per brache, e un paio di scarpe ai piedi.
Tornato a bordo del vascello, come la prima volta, mi preparai una seconda zattera, e istrutto dalla precedente esperienza, nè la feci sì poco maneggevole, nè la caricai tanto, e ciò non ostante vi portai dentro parecchie cose a me utilissime. Visitate, come dianzi, le provvigioni del carpentiere, trovai due o tre sacchi di chiodi grossi e piccoli, una grande trivella, una dozzina o due di accette e soprattutto uno stromento di vantaggiosissimo uso, una mola. Tutte queste cose io mi procurai, oltre a molt’altre che appartenute erano al cannoniere, particolarmente due o tre raffi di ferro, due barili di palle da moschetto, sette moschetti ed un altro da caccia oltre ad una nuova picciola provvista di polvere, ad un ampio sacco di pallini e ad un gran fascio di foglia di piombo; ma questo era sì pesante, che non potei alzarlo per metterlo su l’orlo del vascello.
Nè contento a ciò, presi quanti vestiti di uomini potei trovare, una vela di gabbia di trinchetto, un piccolo letto pensile e qualche altro letto; di tutte le quali cose caricata la mia seconda zattera, con mia grande consolazione me le trassi tutte sane e salve alla spiaggia.
Non era privo di qualche timore, che durante la mia lontananza dalla spiaggia le provvigioni da me lasciate ivi fossero divorate; ma tornato sul luogo non trovai alcun indizio di visitatori, salvo una specie di gatto selvatico seduto sopra una cassa, che appena mi vide comparire, fuggì ad una piccola distanza, poi fermatosi si pose a sedere con grande compostezza ed aria d’indifferenza, acconciandosi come se avesse avuta intenzione di far conoscenza meco. Gli presentai il mio moschetto, ma non ne avendo mai udito sicuramente lo strepito, non mostrò di pigliarsene il menomo fastidio, nè veruna intenzione di moversi di dov’era. Allora gettai un pezzetto del mio biscotto, benchè nè fosse questo un buon metodo per liberarmene, nè la mia provvigione fosse lauta al segno di fare il generoso con essa. Pure volli regalargli, come ho detto, questo pezzo di biscotto, e la bestia venne a cercarlo, lo annasò, lo mangiò; poi convien dire che le piacesse, perchè si mise a guardare come se ne chiedesse dell’altro, ma la congedai, non potendo offrirgliene di più. La bestia si ritirò.
Tirato a terra il mio secondo carico, e, dopo essere stato costretto a perdere molto tempo per aprire i barili di polvere, e a dividerne in più parti il contenuto, tanto erano pesanti, mi posi tosto all’opera di fabbricarmi una piccola tenda con la vela ed alcune pertiche da me tagliate a tal fine, e sotto questa condussi ciascuna di quelle cose che sapeva più soggette ad essere guastate dalla pioggia o dal sole; indi misi in giro d’intorno alla tenda tutte le casse ed i barili vuoti, per fortificarla contro ogni improvviso assalto o d’uomini o di bestie.
Fatto ciò, ne riparai l’ingresso con una cassa vuota posta in piedi, indi afforzai per di dentro questa specie di uscio con alcune tavole; steso indi per terra uno dei letti, e poste le mie due pistole al suo capezzale e lungh’esso il mio moschetto, mi coricai (e fu la prima volta che ciò mi accadesse sopra un letto in quest’isola), e dormii un sonno tranquillissimo tutta la notte, perchè era veramente oltremodo stanco e aggravato, e doveva esserlo, avendo dormito sì poco l’antecedente notte e faticato stranamente per tutto il giorno, sia nel procurarmi tutte le cose tolte fuori del vascello, sia nel traghettarle alla spiaggia.
Io aveva allora un magazzino di ogni specie di robe, il più grosso, cred’io, che sia mai stato messo insieme per un sol uomo; pure non era contento: fintantochè il vascello la durava in quella postura, io mi riputava in dovere di trarne fuori quanto avrei potuto. Di fatto in ciascun giorno al farsi della bassa marea andai a bordo, e ne ritrassi sempre or una cosa or l’altra; ma particolarmente nel la terza mia spedizione ne trasportai quanto mi fu possibile di sarte, come pure quante picciole gomone e funicelle mi capitarono, ed un grosso ritaglio di tela riservato per risarcire ad un bisogno le vele, oltre al barile di polvere umida lasciatovi nella mia prima spedizione. In una parola, io portai via tutte le vele dalla prima all’ultima. Unicamente fui costretto a tagliarle in pezzi, e portarne via quante poteva in una volta; che già non era da sperare che fossero più di verun uso come vele, ma come tela soltanto.
Ciò che soprattutto mi allegrò, si fu il trovare dopo cinque o sei di tali spedizioni, ed allorquando io non credea potermi aspettar più dal vascello alcuna cosa che facesse al mio caso, una gran botte di pane, tre bei bariletti di rum o acquavite, una cassa di zucchero e una botte di fior di farina; scoperta che mi fece tanto più estatico in quanto io aveva rinunziato ad ogni speranza d’altre vettovaglie che non fossero state guaste dall’acqua. Vôtata tosto la botte del pane, lo feci su partitamente con pezzi di vele tagliale a tal uopo, e tutta questa roba io mi portai intatta alla spiaggia.
Nel dì seguente feci un altro viaggio, ed avendo già spogliato il vascello di tutto quanto potea trasportarsi ed essere di uso, cominciai a far man bassa su le gomone, e pigliatomi primieramente a quella di tonneggio e tagliatala in pezzi ch’io fossi buono di movere, ne composi due gomone minori ed una ansiera2; m’impadronii parimente di tutti i ferramenti che potei staccare; indi fatti in pezzi il pennone di civada e l’albero di mezzana, mi procurai quanti pezzi di legno ci voleano per fabbricarmi una più grande zattera su cui caricare tutti questi pesanti materiali adunati; poscia m’avviai verso la spiaggia; ma la mia buona sorte cominciava ora ad abbandonarmi, perchè questa mia grande zattera era sì poco maneggevole e fatta grave dal suo carico, che appena entrato nella calanca3 d’onde aveva sbarcate tutte le altre mie masserizie, nè potendo io governarla con l’agilità onde aveva condotte le altre in buon porto, la mia enorme zattera si capovolse, ed io con essa nell’acqua. Non ci fu gran male, rispetto a me, per essere io vicinissimo alla riva; ma il mio carico andò la maggior parte perduto, principalmente i ferramenti, su cui faceva gran conto pei miei bisogni avvenire. Ciò non ostante al ritirarsi della marea ricuperai molto sartiame ed una parte di ferramenti, benchè ciò mi costasse una infinita fatica, avendo io dovuto, durante questa fazione, rimaner sempre tuffato nell’acqua. Dopo di ciò non tralasciai di tornare ogni giorno a bordo del vascello e di portarne pur via quanto poteva.
Erano tredici giorni ch’io mi trovava su questa spiaggia, e undici le volte ch’io aveva viaggiato a bordo del vascello, nel qual tempo ne avea levato via tutto ciò che un paio di mani d’uomo è atto a portare; e credo bene che avrei pezzo a pezzo portato via l’intero vascello, se mi avesse secondato la placidezza della stagione; ma, mentre io mi allestiva al mio dodicesimo viaggio, sentii alzarsi un vento che, per altro, a marea calante non mi distolse dal recarmi a bordo anche questa volta; e trasferitomi nella camera del capitano, benchè anche in questa avessi tanto frugato che il fare ulteriori indagini sembrava omai tempo perduto, pure scopersi uno scrignetto con tiratoi in uno de’ quali trovai due o tre rasoi, un paio di lunghe forbici, e dieci o dodici buoni coltelli e forchette; in un altro circa trentasei lire sterline, alcune monete d’Europa, altre del Brasile, alcune quadruple ed altre monete d’oro e d’argento.
Risi fra me stesso alla vista di questo danaro, e ad alta voce esclamai: «Robaccia, a che cosa sei buona? Tu non mi giovi a nulla, affatto nulla! non compensi l’incomodo di levarti da terra; un di questi coltelli val più di tutto questo tuo mucchio. Di te non saprei in che modo servirmi; dunque resti dove sei, ed affondati col resto del vascello; tu non sei tal creatura, che meriti le sia salvata la vita.» Nondimeno dopo una seconda considerazione la presi tutta questa robaccia, e l’avvolsi entro un pezzo di tela da vele.
Io m’apparecchiava a fabbricarmi una nuova zattera, quando vidi annuvolarsi il cielo e nel tempo stesso, fattasi sempre più commossa l’aria, un vento freddo cominciò a soffiar dalla spiaggia. Capii allora, quanto divenisse per me inutile il fabbricarmi una zattera, poichè spirando il vento dal lido tutto il mio pensiere doveva in quel memento consistere nel cercare di esser via di lì prima dell’alzarsi della marea, altrimenti la spiaggia non l’avrei raggiunta più mai. Postomi per conseguenza a nuotare, attraversai il canale frapposto tra il vascello e il banco di sabbia, nè ciò senza le sue buone difficoltà, cagionate in parte dal peso delle cose ch’io mi portava meco, in parte dall’agitazione dell’acque, perchè il vento incalzando sempre di più, la piena burrasca avea già preceduta la grossa marea.
Con tutto ciò raggiunsi la mia piccola tenda, sotto la quale mi coricai con tutte le mie sostanze dintorno a me, poste al sicuro. Il turbine infuriò tutta la notte, e la mattina guardando attorno vidi sparita ogni traccia del vascello; novità che mi sorprese alcun poco, ma mi condusse ad un tempo ad una soddisfacente considerazione; quella cioè di non aver perduto tempo od omessa veruna sorte di diligenza per trarre al lido quante cose del vascello stesso potevano giovarmi, onde ben poche altre mi sarebbe rimasto a raccorne, se ne avessi avuto il tempo.
Allora cessai affatto di pensare al vascello e alle sue pertinenze, o, se ci pensai, fu soltanto a que’ rimasugli del suo secondo naufragio che la marea avrebbe potuto portare alla spiaggia, come veramente qualche tempo appresso ce ne vennero diversi frantumi, ma di ben piccolo uso per me.
- ↑ Grande ondata.
- ↑ Fune che serve a tirar le barche ne’ canali della terra lungo le sponde.
- ↑ Piccolo seno di mare.