< Avventure di Robinson Crusoe
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Daniel Defoe - Avventure di Robinson Crusoe (1719)
Traduzione dall'inglese di Gaetano Barbieri (1842)
Casa sul lido e casa di villeggiatura
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Casa sul lido e casa di villeggiatura.




T
ornato dal mio viaggio e postomi a meditare con grande soddisfazione su la fertilità della scoperta valle e su l’amenità della sua situazione, più riparata in oltre dall’impeto de’ turbini e copiosa d’acqua dolce e di legna, dovetti conchiuderne che da vero io era venuto a stanziarmi nella più trista parte di tutta quell’isola; per le quali considerazioni io cominciava già a divisare di abbandonare l’alloggiamento scelto da prima e metterne uno, ben difeso siccome questo, se pure fosse stato possibile, in quella fertile amenissima parte di paese.

Su questo disegno spaziai a lungo con la mia mente, perchè per qualche tempo rimasi innamorato di quella bellezza di situazione per dir vero seducentissima, ma guardandoci più da vicino osservai come ora mi trovassi proprio su la riva del mare, ove non era per lo meno impossibile che succedesse alcun che di vantaggioso per me. Di fatto quella stessa mala sorte che qui mi spinse avrebbe potuto condurci a sua volta qualch’altro sgraziato; e ancorchè ci fosse poca probabilità che ciò avvenisse, l’andarmi a rinserrare fra boschi e montagne nel centro dell’isola era un confermare la mia cattività e un rendere non solo improbabile, ma impossibile il riscattarmene; laonde decisi di non dovere risolutamente sloggiare dal luogo ove allora io mi trovava. Ciò non ostante io era sì invaghito dell’altro, che vi passai gran parte del mio tempo in tutto il rimanente del mese di luglio e, se bene fermo nella determinazione già presa di non rimovermi dal primo alloggiamento, mi costrussi nella valle una specie di piccolo frascato che circondai all’intorno della sua trincea di difesa, cioè d’una doppia palizzata alta quanto potei e colma di sterpame nell’intervallo dei due steccati. Entro questo io dormiva con tutta sicurezza le due e le tre notti di seguito, nè vi entrava se non salendo con una scala da ritirare in dentro la palizzata, come faceva nella mia antica abitazione: con ciò io m’immaginai di essere venuto ad avere due case, l’una sul lido, l’altra di villeggiatura. Questa nuova costruzione mi tenne in faccende sino al principio del nuovo mese.

agosto. Terminata ora la mia nuova fortificazione, cominciava a godere del frutto dei miei sudori, quando le piogge sopravvenute mi costrinsero a rannicchiarmi nella casa vecchia; perchè, se bene nella casa nuova, come nell’altra, mi avessi fatta una tenda con un pezzo di vela, io non vi avea ciò non ostante la protezione del monte contro ai temporali, nè la grotta entro cui rintanarmi ne’ casi di piogge più che ordinarie.

1. Col principio di questo mese, come dissi, aveva terminato il mio frascato, nè pensava omai che a godere di tutti questi miei comodi.

3. Oggi ho trovato perfettamente secchi i grappoli d’uva che aveva appiccati alle piante, eccellentemente soleggiati ed ottimi da vero al gusto. Mi diedi pertanto a spiccarli dagli alberi, e buon per me l’aver fatto così; altrimenti le piogge che sopraggiunsero me gli avrebbero mandati a male e con essi la migliore mia provvigione del verno, perchè ne ebbi una scorta di dugento grappoli. Appena tolti giù, ne portai una gran parte alla casa vecchia entro la mia grotta; ma principiò dal più al meno ogni giorno a piovere (ciò fu ai 14 agosto) sino alla metà di ottobre; e alle volte con tanta violenza che per parecchi giorni non ho potuto fare un passo fuori della mia grotta.

In questa stagione ebbi la sorpresa di vedermi cresciuto in famiglia. lo aveva avuto tempo prima il dispiacere di perdere una gatta fuggitami di casa o forse morta, come allora pensai. Non me ne ricordava più, quando a mio grande stupore me la vidi tornare a casa con tre gattini: avvenimento tanto più sorprendente per me in quanto, se bene sul finire d’agosto avessi ammazzato un gatto salvatico, com’io lo chiamava, mi sembrò per altro d’una specie affatto diversa dai gatti europei. Or questi gattini apparivano affatto spettanti alla razza de’ nostri gatti domestici; e d’altra parte i miei due gatti erano femmine entrambi, onde non capiva nulla. Certo è che poco appresso in vece di avere tre gatti mi trovai sì infestato da una popolazione di tali bestie, che fui costretto a sterminarle, come avrei fatto di cimici o di scorpioni e a tenermele lontane da casa più che potei.


Dal 14 al 26 agosto non fece altro che piovere, onde non poteva quasi affatto movermi di casa, chè era divenuto paurosissimo di prendere l’umido. Durante questa prigionia principiai a trovarmi alle strette nelle mie vettovaglie; ma arrischiatomi un paio di volte ad uscire, la prima ammazzai una capra, la seconda, ai 26 dello stesso mese, presi una grande testuggine di mare che fu una lautezza per me. I miei pasti erano ora regolati come segue: un grappolo d’uva secca per la mia colezione; pel mio pranzo un pezzo di capra o di testuggine arrostita, chè sfortunatamente non aveva alcun recipiente entro cui preparare veruna sorta di lesso o stufato; due o tre uova di testuggine per la mia cena.

Nel tempo parimente di tal prigionia cui la pioggia mi costringea, impiegai due o tre ore di ciascun giorno nell’allargare la mia grotta. In un fianco di questa scavai tanto che venni a riuscire del monte e ad aprirmi una porta posta fuori della mia trincea per la quale poteva entrare e venir fuora a mio talento. Pure non mi trovai troppo contento di essermi messo così allo scoperto, perchè di riparato come io viveva in una perfetta chiusura, adesso al contrario io mi trovava più indifeso. Ad ogni modo non sapeva persuadermi che in quest’isola vi fossero viventi da far paura; i più grossi che avessi veduti erano capre.

30 settembre. Eccomi ora arrivato all’infausto anniversario del mio tristo approdare in quest’isola. Contate le tacche del mio stipite, vi trovai di esser rimaso trecento sessantacinque giorni. Distinsi questo giorno con un solenne digiuno, dedicandolo unicamente ad esercizi di pietà, prosternandomi a terra con la più sincera umiliazione, confessando a Dio le mie colpe, riconoscendo la giustizia de’ suoi giudizi adempiutisi sopra di me, e pregandolo ad usarmi misericordia pei meriti di Gesù Cristo. Non avendo preso alcuna sorta di refezione per dodici ore, solo al tramontare del giorno mangiai un pezzetto di biscotto ed un grappolo d’uva secca, terminando la mia giornata come l’aveva incominciata. In tutto questo tempo erano state trascurate da me le domeniche, perchè, priva su le prime d’ogni sentimento di religione la mente mia, io non facea nissuna differenza tra un giorno e l’altro della settimana. Ma ora tornai a tenere il registro dei giorni, siccome aveva divisato su le prime, e partendo dal principio di essere rimasto qui un anno, lo divisi in settimane, notando con un segno suo proprio ogni settimo giorno, cioè ogni domenica; benchè trovai in fin del conto di aver perduto uno o due giorni nel mio computo. Poco appresso, essendo cominciato a mancarmi l’inchiostro, mi ridussi a valermene con maggiore risparmio, ed a notare soltanto gli avvenimenti più memorabili della mia vita senza continuare un giornale espressamente per l’altre cose.




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