< Avventure di Robinson Crusoe
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Daniel Defoe - Avventure di Robinson Crusoe (1719)
Traduzione dall'inglese di Gaetano Barbieri (1842)
Navigazione alla costa d’Africa
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Navigazione alla costa d’Africa.



R
imasi nondimeno qualche tempo in questa incertezza sul partito al quale mi sarei attenuto; ma l’invincibile contrarietà a rimpatriare continuava sempre a prevalere; e mentre io m’interteneva in questa discussione con me medesimo, la ricordanza dei precedenti disastri svaniva del tutto, e svanita questa, svanì del pari ogni mia tendenza al ritorno; onde finalmente lasciatane ogni idea, non pensai più che ad intraprendere un viaggio. Quella malaugurata manía che mi portò la prima volta fuori della casa paterna, che spinse la mia mente in un desiderio vago e mal inteso di far fortuna, che s’impossessò di me al segno di rendermi sordo a tutti i buoni consigli, alle preghiere e perfino ai comandi del padre mio, quella stessa malaugurata manía presentò alla mia scelta il più sgraziato degl’intraprendimenti: mi posi a bordo di una nave destinata alla costa dell’Africa, o, come sogliono chiamar ciò gli uomini di mare, ad un viaggio nella Guinea.

Fu una grande sventura la mia, che in tutte queste spedizioni io non m’imbarcassi mai come soldato di marina. Avrei, per dir vero, sofferto patimento più che comune, ma avrei ancora imparati i doveri e gli ufizi d’un marinaio, ed avrei potuto a tempo divenire bosmano o tenente, se non capitano; ma essendo sempre stato il mio destino quello di attenermi al peggio, così feci anche in tale occasione, e trovandomi tuttavia provveduto di danaro e ben vestito, volli andare a bordo in qualità di gentiluomo viaggiatore; con che non ebbi da far nulla nella nave, ma non imparai nemmeno nulla.

Avea avuta la fortuna, fu la prima in mia vita, d’incontrarmi a Londra in un eccellente compagno; fortuna che non occorre sempre a giovani scapestrati e spensierati qual m’era io a que’ giorni; chè certo il demonio, generalmente parlando, non si scorda di tendere insidie di buon’ora alla gioventù. La mia prima conoscenza adunque era stata con un capitano di nave che veniva dalla costa della Guinea e che, avendo avuto ottimo successo nel primo viaggio, era risoluto di tornarvi. Egli prese diletto alla mia conversazione che non era in quel tempo affatto disaggradevole, e udito da me che avea voglia di vedere il mondo, mi disse:

— «Se vi piacesse di venire in mia compagnia, non dovreste soggiacere a veruna spesa; sareste il mio commensale e compagno; e se poteste portare qualche merce con voi, ne ritrarreste tutti quei vantaggi che può offrire il commercio; e tali forse da vedervi incoraggiato a maggiori cose in appresso.»

Accettata subito la proposta, ed entrato in istretta amicizia col capitano, che era veramente un onesto e lealissimo uomo, m’imbarcai con esso, portando meco una piccola mercatanzia che, grazie alla disinteressata onestà dell’amico mio capitano, accrebbi piuttosto considerabilmente; perchè avrò portato meco un valore di circa quaranta sterlini in quelle bagattelle e cianciafruscole che il capitano stesso mi consigliò di comprare. Questi quaranta sterlini io gli aveva messi insieme mercè l’aiuto d’alcuni miei congiunti, co’ quali mi manteneva in corrispondenza, ed i quali, cred’io, arrivarono ad indurre mio padre, o per lo meno mia madre, a contribuire questa somma per la mia prima prova.

Fu questo il solo viaggio fortunato fra tutte le avventure della mia vita, e lo dovei all’integerrima onestà dell’indicato mio amico, sotto del quale acquistai in oltre una sufficiente cognizione dei principî della matematica e della nautica: imparai a valutare il corso di una nave, a prender la misura delle altezze, in somma a conoscere quelle principali cose che non può non sapere un marinaio; poichè egli prendeva diletto ad istruirmi, com’io ad imparare. In una parola, questo viaggio mi fece ad un tempo marinaio ed esperto nelle cose del commercio; onde portai a casa dal mio viaggio cinque libbre e nove once di polve d’oro, che mi fruttarono in Londra circa trecento sterlini; ma ciò mi empì sempre più la testa di quelle chimere d’ingrandimento, che furono in appresso la mia generale rovina. Ciò non ostante anche in questo viaggio ebbi le mie disgrazie, soprattutto quella di essere continuamente malaticcio e di avere sofferta una violenta febbre maligna, prodotta dal caldo eccessivo del clima; perchè il nostro principale commercio si facea sopra una costa che tenea una latitudine dai quindici gradi al nord fino alla linea.



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