< Avventure di Robinson Crusoe
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Daniel Defoe - Avventure di Robinson Crusoe (1719)
Traduzione dall'inglese di Gaetano Barbieri (1842)
Colloquio co’ prigionieri
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Colloquio co’ prigionieri.



I
o divisava dunque, come ho detto, di non rischiar nulla prima dell’imbrunire: ma alle due circa dopo il mezzogiorno, avendo perduti affatto di vista i miei galantuomini che si erano internati vagando nel folto delle boscaglie, dal caldo eccessivo dell’ora argomentai che si fossero sdraiati per dormire. Que’ tre poveri sgraziati, angosciati troppo dalla condizione in cui si trovavano per poter prendere sonno di sorta alcuna, cercavano ciò non ostante una specie di riposo seduti all’ombra di un grand’albero lontano a un dipresso un quarto di miglio da me, e fuor di vista, sembrommi, alle cagioni della loro sventura. Su tal fondamento risolvei di mostrarmi ad essi, per conoscere una volta lo stato delle cose. M’incamminai tosto nella figura che vi ho descritta, seguendomi ad una buona distanza Venerdì armato come me, ma non quanto me in lampante figura di spettro. Feci il possibile per accostarmi loro senza che mi vedessero prima di udirmi parlare, e quando mi credei abbastanza vicino, gridai loro ad alta voce e in lingua spagnuola:

— «Nobili signori, chi siete?»

Balzati subito in piè allo strepito che feci, li rese dieci volte più sbalorditi il cattivo stampo della mia figura. Non mi risposero nulla del tutto, ma credei vedere in essi la disposizione di battersela di lì, quando dissi loro in inglese:

— «Gentiluomini, non vi smarrite al vedermi. Forse vi sta vicino un amico, quando meno ve lo aspettavate.

— Bisognerebbe ben dire che ci fosse mandato proprio dal cielo, disse gravemente uno dei tre facendomi di cappello, perchè la nostra condizione non è capace d’aiuto umano.

— Mio signore, risposi, tutti i soccorsi vengono dal cielo; ma io non conosco i casi vostri; vorrei che col raccontarmeli mi poneste in grado di aiutarvi. Certo le apparenze mostrano che soggiaciate a gravi sventure. Io vi ho veduti sbarcare, e quando sembrava supplicaste gli uomini brutali che vi avevan in loro potere, notai che un di coloro teneva un’arma sollevata in atto d’uccidervi.»

Il pover’uomo col volto tutto bagnato di lagrime, e guardandomi attonito, mi domandò:

— «Sto io parlando a Dio o ad un uomo? Siete voi un uomo o un angelo?

— Non vi mettete di queste idee, gli risposi. Se Dio avesse mandato ud angelo per soccorrervi, quest’angelo sarebbe in migliori panni e meglio armato che non mi vedete; pure sbandite da voi la paura, sono un uomo, un Inglese disposto ad assistervi: vedete che ho unicamente un servo; ma abbiamo armi e munizione. Sol raccontatene liberamente in che cosa possiamo giovarvi: il caso vostro qual è?

— Il nostro caso, signore, è troppo lungo per poterlo narrare per esteso, finchè i nostri assassini rimangono in tanta vicinanza di noi; ma per dir tutto in poco, io era capitano di quel bastimento là: la mia ciurma mi si ammutinò contro; a stento prevalse il partito di non uccidermi, e finalmente mi hanno lanciato su questa spiaggia abbandonata, in compagnia dei due che vedete: l’un d’essi era il mio aiutante, l’altro un passeggiero. Qui non aspettavamo altro che la morte, perchè credevamo questo luogo disabitato, e tuttavia non sappiamo che cosa pensarne.

— Dove sono adesso, chies’io, que’ cialtroni che v’hanno trattato così?

— Stanno giaciuti là in fondo, e m’accennò con la mano una folta boscaglia. Mi trema il cuore per la paura che v’abbiano veduto o udito parlare; in tal caso non la schiviamo di essere ammazzati tutti.

— Hanno essi armi da fuoco con loro?

— Sol due archibusi, un de’ quali lo lasciarono nello scappavia.

— Va bene, gli dissi allora. Lasciate a me la cura del rimanente. Vedo che sono ancora tutti addormentati, nè vuol essere cosa difficile l’accopparli tutti. Ma non sarebbe meglio se ci limitassimo a farli nostri prigionieri?»

Mi disse come in quella masnada vi fossero due mascalzoni ai quali non era cosa priva di pericolo l’usar compassione; ma quanto agli altri non dubitava, che assicurandosi di loro non si facessero tornare al dovere. Interrogatolo chi fossero i due indegni di misericordia, mi rispose che in quella distanza non li sapeva discernere; ma che, qualunque spedizione io avessi creduto fare, egli si metteva affatto sotto i miei ordini.

— «Se è così, soggiunsi, ritiriamoci in luogo ove non possano nè vederci nè udirci, a fine di non destarli, e lì prenderemo altre risoluzioni.»

Prestatosi di tutto buon grado al mio consiglio, tornò indietro meco fino dove la foltezza degli alberi a tutti que’ cialtroni ci nascondea.

— «Badatemi, signore, così allora gli parlai. Se comprometto me stesso per la vostra salvezza, siete voi disposto a fare due patti con me?»

Non aspetto ch’io gli spiegassi la natura di questi patti per rispondermi che egli e il suo vascello, se veniva ricuperato, si sarebbero posti interamente ed in ogni cosa sotto i miei comandi e il mio governo; e che se il bastimento non si fosse potuto riavere, egli era pronto a vivere con me e a morire per me in qualunque parte del mondo avessi voluto mandarlo. Lo stesso promisero gli altri due.

— «Va bene, diss’io; i miei due patti son questi. Primieramente, finchè rimarrete qui non v’arrogherete mai veruna autorità, e se metto armi in vostra mano le rassegnerete ad ogni mio volere, nè le adoprerete mai in pregiudizio di me o di chi dipende da me in quest’isola, ove durante il vostro soggiorno in essa vi lascerete governare da me; in secondo luogo, se il vostro vascello venisse ad essere ricuperato, trasporterete sovr’esso me ed il mio servitore franchi da spesa.»

Egli mi diede quante sicurezze l’astuzia o la buona fede umana può immaginare, per convincermi che avrebbe mantenuti tali patti da lui trovati ragionevoli oltre ogni dire, e che per giunta in tutte le occasioni e finchè fosse rimasto al mondo, m’avrebbe provato di riconoscere come mio dono la propria vita.

— «Or bene dunque, diss’io: eccovi tre moschetti con polvere e palle per voi; ditemi adesso, che cosa credete meglio a farsi?»

Rinovatemi tutte quelle manifestazioni di gratitudine a che era capace, si mostrò risoluto a regolarsi in tutto e per tutto col mio parere. Dopo avergli rappresentata la gravità del rischio che stavamo per affrontare, gli dissi creder io il miglior d’ogni partito quello di far fuoco in massa sovr’essi mentre dormivano; che se poi non rimaneano tutti uccisi alla prima scarica, e i sopravvissuti offrissero di sottomettersi, avremmo potuto a questi usare compassione; ma che intanto bisognava mettersi nelle mani della Providenza per l’esito del primo colpo.

Mi rispose con molta moderazione che, se avesse potuto farne di meno, egli avrebbe veramente rifuggito dall’ucciderli; ma che se avessimo lasciato fuggire que’ due incorreggibili ribaldi, dianzi accennatimi siccome gli autori della congiura, costoro, senza dubbio, tornati a bordo del vascello, avrebbero ricondotta addietro l’intera ciurma per distruggerne tutti.

— «In tal caso, soggiunsi, la necessità e l’autenticazione legale del mio consiglio, perchè e questa la sola via di salvare le nostre vite.»

Pure vedendo durare in lui la ritrosia allo spargimento del sangue, gli dissi d’innoltrarsi co’ suoi compagni e di prendere gli espedienti che allora sarebbergli sembrati i più adatti.

In mezzo a questo discorso udimmo qualcuno di coloro dar segno di esser desto, nè andò guari ne vedemmo due camminare. Chiesi al capitano se fossero quelli i capi della congiura, mi rispose di no.

— «Bene, dissi allora, quelli là potete lasciarli fuggire; pare che la Providenza gli abbia svegliati a fine di salvarli. Ora, se gli altri vi sfuggono, è colpa vostra.»

Eccitato da queste parole prese su un dei moschetti che gli aveva dati, e postasi una pistola nella cintura e armati con gli altri due moschetti i suoi due compagni, s’avviò insieme con essi che lo precedevano d’alcuni passi. Un po’ di romore fatto da questi svegliò uno di quegli sgraziati, il quale saltato in piedi e voltatosi a guardar chi veniva, gridò agli altri perchè si destassero. Ma allora era troppo tardi, perchè il suo grido fu contemporaneo al fuoco fatto su loro da due moschetti; che il capitano non senza consiglio tenne in ozio la propria arma. I suoi compagni avendo riconosciuti i due principali capi della trama ne presero sì aggiustatamente la mira che un di loro rimase morto di colpo, l’altro gravemente ferito a stento potè rizzarsi in piedi urlando e chiedendo aiuto al rimanente della banda. Ma il capitano gli fu addosso dicendogli che non era più in tempo di chiedere aiuto agli uomini; dimandasse piuttosto a Dio il perdono della commessa ribalderia; ciò detto, col calcio dello schioppo gli assettò tal colpo che non parlo più. Lì ne rimanevano tre altri, un de’ quali leggermente ferito.

In questo mezzo era arrivato io, e quando costoro se la videro sì brutta, e capirono inutile ogni resistenza, si diedero ad implorare mercede. Il capitano promise di risparmiare le loro vite, semprechè gli avessero data una sicurezza di detestare il tradimento di cui si erano fatti colpevoli, e giurassero di prestargli fedele assistenza nel ricuperare il suo bastimento e nel ricondurlo alla Giammaica donde era partito. Costoro gli fecero quante promesse poteva desiderare,

ed egli si prestò volentieri a crederle e a far loro grazia della vita, al qual perdono io non ostai: sol misi la clausola che dovessero aver legati piedi e mani finchè rimanessero nell’isola.

Intanto io mandava Venerdì coll’aiutante del capitano laddove era lo scappavia con ordine d’impossessarsene e di sguarnirlo di remi e vele, com’essi fecero. In questo stesso tempo i due uomini saltati in piedi prima dell’assalto e, che per loro buona fortuna si erano scostati in compagnia di un terzo dalla brigata, eccitati dal frastuono de’ moschetti tornavano addietro. All’accorgersi che il capitano prima loro prigioniere, era divenuto il loro conquistatore, si sottomisero eglino pure ad esser legati; onde fu compiuta la nostra vittoria.

Rimaneva ora che il capitano ed io ci facessimo la scambievole comunicazione delle nostre avventure. Primo io a raccontargli tutta quanta la mia storia, m’ascoltò con un’attenzione che confinava coll’estasi, massime all’udire in qual portentosa maniera mi trovai provveduto di munizioni e di vettovaglie. E da vero, perchè la mia vita è un’intera raccolta di maraviglie, chi non sarebbe rimasto compreso di stupore come fu egli? Ma quando fu al momento di trasportare dai miei casi ai suoi propri la mente, quando pensò che la mia salvezza pareva quasi preordinata per operare la sua, gli sgorgarono copiose lagrime dagli occhi, nè fu più buono per un pezzo a dire una parola.

Quando finalmente non avemmo più nulla a raccontarci de’ nostri avvenimenti, condussi lui e i suoi compagni nelle mie stanze, ove gl’introdussi per l’ingresso dond’era solito venir fuori, cioè dal tetto, e quivi li ristorai con quelle provvigioni che mi trovava, additando loro ad un tempo tutte le industrie da me immaginate per sostentarmi durante la mia lunga, ben lunga dimora in quest’isola. Quanto mostrai, quanto spiegai a questi miei ospiti, li rendea stupefatti. Il capitano soprattutto non la finiva mai d’ammirare la mia fortificazione e l’ingegno di nasconderla ad ogni umano sguardo, mediante una piantagione d’alberi che ebbero venti buoni anni per crescere, e che col favore del clima cresciuti più rapidamente di quanto avrebbero fatto nell’Inghilterra, aveano formato un bosco folto ed inaccessibile da tutti i lati fuor di quello ove io m’avea riservato per mio uso un ingresso tortuoso, che per tutti gli altri sarebbe stato un labirinto. Non gli tacqui che se bene fosse qui la mia rocca signorile, aveva ancora, come i principi, la mia casa di villeggiatura, ore io potea ritirarmi ad un’occorrenza, e che gli avrei fatta vedere a suo tempo.

— «Ma per ora, soggiunsi, non dobbiamo intertenerci d’altro che del modo di ricuperare il vostro bastimento.

— Gli è quanto desidererei ancor io, qui soggiunse. Ma per arrivare a questo intento non so da vero che cappello mettermi. In quel bastimento là, vedete! vi stanno ventisei mariuoli, i quali dopo essersi impacciati in questa maladetta congiura, sanno benissimo di venir considerati dalla legge siccome rei di delitto capitale, onde la disperazione li farà ostinati nel condurre a termine il male che hanno cominciato. Capiscono troppo bene che, se si lasciano soggiogare, gli aspetta la forca o in Inghilterra o nella prima colonia inglese ove si approdasse. Non è dunque sano partito per noi, che siamo sì pochi, quello di assalirli.»

Mi diedi per qualche tempo a pensare su questo discorso che trovai sensatissimo; ma d’altra parte bisognava risolversi a qualche cosa: fosse poi studiare un’astuzia per sorprendere i nemici a bordo del bastimento, ovvero impedire che coloro facessero uno sbarco nell’isola e ne trucidassero tutti. E quest’ultima idea ne chiamò un’altra alla mia mente.

— «Mentre stiamo qui non facendo nulla, diss’io al capitano, la ciurma del vostro vascello, maravigliata di non veder tornare i compagni, manderà una nuova banda con l’altra scialuppa del bastimento alla spiaggia. Questa nuova banda probabilmente sarà meglio armata della prima e troppo forte da poterle resistere.

— Avete ragione» il capitano mi rispondeva.

Gli dissi intanto che la prima cosa da farsi era quella di sguarnire e rendere inabile a galleggiare la scialuppa che avevano condotto qui i primi arrivati, affinchè gli altri del bastimento non potessero più portarsela via. Detto fatto! Venuti alla scialuppa ne levammo l’armi che v’erano state lasciate entro, e quant’altre minuzie vi ritrovammo; cioè un fiaschetto d’acquavite, uno di rum, una piccola provvigione di biscotto, un fiaschetto di polvere, un gran pane di zucchero del peso di cinque libbre, avvolto in un pezzo di canovaccio, tutte cose capitate in buon punto per me, massime l’acquavite e lo zucchero, di cui non vedeva da molti anni il vestigio. I remi, l’albero, la vela, il timone erano già stati levati via prima, come è detto altrove. Portato tutto ciò alla spiaggia aprimmo un gran buco nel fondo della scialuppa acciocchè se fossero venuti in tal forza da non aver noi miglior riparo del tenerci nascosti, non riacquistassero almeno quella barca. Veramente, per dir le cose come sono, la mia fiducia di ricuperare il bastimento non era grandissima, mentre per altra parte, se l’avessi almeno vinta in ciò che gli usurpatori del vascello se ne fossero andati senza riprendere il piccolo legno di cui si tratta, non dubitava punto ch’entro di esso avessimo potato trasportarci all’isole Sotto-Vento, nel quale tragitto avremmo trovati in via i nostri amici spagnuoli, de’ quali al certo non m’era scordato.


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