< Avventure di Robinson Crusoe
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Daniel Defoe - Avventure di Robinson Crusoe (1719)
Traduzione dall'inglese di Gaetano Barbieri (1842)
Stratagemma riuscito
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Stratagemma riuscito.



E
ra un bel pezzo che aspettavamo, e non senza grande impazienza e rincrescimento, che si levassero di lì, quando finalmente li vedemmo tutti dopo una lunga consulta saltare in piedi e avviarsi alla volta del mare. Parea gl’investisse sì tremendamente il timore de’ pericoli del luogo ove stavano, da non dover essi prendere altra risoluzione che quella di tornare nuovamente a bordo del vascello, di dare per perduti i compagni, dietro la qual notizia il bastimento avrebbe continuato il suo viaggio.

Io almeno, appena li vidi volgersi al mare, credei, e l’indovinai, che stanchi di questa inutile e paurosa ricerca, non ne volesser saper altro e si disponessero a battersela. Detto ciò al capitano, fu presto a persuadersene anch’egli e ad esserne costernato come di cosa che gli troncava di botto ogni concepita speranza; ma, senza smarrirmi per questo, divisai tantosto per farli tornare addietro uno stratagemma che andò a colpire perfettamente nel segno.

Diedi le mie istruzioni a Venerdì e all’aiutante del capitano di andar verso la piccola calanca di ponente, presso al luogo ove i selvaggi sbarcarono quando Venerdì fu riscattato da morte; troverebbero una picciola altura distante un mezzo miglio circa di lì.

— «Salitela, dissi loro, e di là mettetevi a gridare con quanta voce avete e tanto che i malandrini possano udirvi. Appena costoro vi risponderanno, voi ripetete le vostre grida. Stabilita questa corrispondenza di voci la continuerete senza lasciarvi vedere, e nel tempo stesso prenderete tal giravolta, che li conduca ben in dentro nell’isola e in mezzo ai boschi più che è possibile; poi per quegli scorciatoi che vi additerò tornerete a trovarci.»

Il tutto fu adempiuto secondo le mie intenzioni, e i nostri mariuoli stavano appunto per entrare nella scialuppa, quando Venerdì e l’aiutante si diedero a mettere i loro gridi. Gli udirono coloro, e contraccambiandoli cominciarono a correre lungo la spiaggia verso la parte donde le voci venivano, e corsero fintantochè furono fermati dalla calanca che, essendo alta l’acqua, non potevano attraversare con le loro gambe. Allora gridarono a quei della scialuppa che li venissero a traghettare com' io avea immaginato. La scialuppa venne, ed entrati che vi furono, notai come innoltratasi un buon tratto nella calanca, si fosse introdotta in un braccio d’acqua entro terra che presentava una specie di porto. Usciti allora della scialuppa presero seco uno de’ tre uomini posti a guardarla, e lasciatine in essa due soli, la legarono al tronco di un picciolo albero della spiaggia; e qui propriamente io li voleva!

Lasciato che Venerdì e l’aiutante del capitano continuassero a far ciò che io avea lor detto, e condottici gatton gattone fino al lembo della calanca, sorprendemmo le due sole guardie rimaste alla scialuppa, una di esse che vi stava entro, l’altra giacente sopra la spiaggia. Il secondo cialtrone tra il sonno e la veglia voleva saltare in piede, ma il capitano che mi precedea non gliene diede il tempo, gli fu addosso, e lo finì. Poi gridò all’altro della scialuppa che si arrendesse, o era morto.

Non ci volevano grandi argomenti a persuader ciò ad un uomo che si vedea solo contra cinque, e aveva dinanzi agli occhi il suo compagno accoppato; oltrechè costui (anch’egli si chiamava Robinson) era un di quei tre indicatimi dal capitano, che s’era messo piuttosto a malincuore nella congiura; onde ne riuscì agevole non solamente indurlo a cedere, ma farne in appresso un nostro fedel partigiano.

In questo mezzo Venerdì e l’aiutante del capitano condussero sì bene gli affari loro, che a furia di gridare e di farsi rispondere aveano di bosco in bosco, di collina in collina tirati que' galantuomini tanto in dentro dell’isola, che gli aveano incredibilmente straccati. Poi, quando si credettero certi che coloro non sarebbero più stati in tempo di tornare addietro alla scialuppa prima di notte, li piantarono là; chè anche i nostri erano stanchi discretamente, come dovemmo accorgercene, quando tornarono ad unirsi con noi.

Ora non ci restava altro a fare che aspettar l’ora bruna per piombar loro addosso e lavorare al sicuro anche con essi. Corsero parecchie ore dalla tornata di Venerdì dalla sua spedizione prima ch’eglino risolvessero d’avviarsi per raggiugnere la scialuppa; e molto prima che ci fossero, udimmo un di loro più innoltrato degli altri gridare ad essi che s’affrettassero, e questi rispondere di non potere correr di più, dolendosi d’essere storpi e rifiniti dai disagi sofferti prima: notizia consolantissima per noi.

Finalmente arrivarono alla scialuppa. È impossibile a dirsi qual fosse la confusione di costoro quando, trovata la scialuppa arrenata alla spiaggia pel calare della marea, s’accorsero de’ due compagni spariti. Arrivarono fino a noi le lor voci, quando si diceano l’uno all’altro con flebile accento ch’erano capitati in un’isola incantata; che o era abitata da uomini, e questi gli avrebbero trucidati quanti erano; o da demoni e spiriti, e questi gli avrebbero portati via e divorati. Gridarono di nuovo chiamando pe’ loro nomi i due compagni che doveano far guardia alla scialuppa; ma nessuna risposta. Poco dopo a debole lume di crepuscolo potemmo vederli correre attorno, far tutte le contorsioni della disperazione, talvolta entrar nella scialuppa per prendere alcun po’ di riposo, poi tornare ancor su la spiaggia e girare attorno e di nuovo entrare nella scialuppa, poi fuori: non sapeano che cosa si facessero.

I miei avrebbero voluto ch’io permettessi loro di piombare d’improvviso su que’ bricconi e coglierli tutti in una volta. Io invece desiderava assalirli con qualche vantaggio, per risparmiarli, o almeno ucciderne il minor numero che potessi; soprattutto poi mi stava a cuore di non rischiare la vita de’ nostri, perchè coloro erano ben armati. Per ciò solo risolvei d’aspettare per veder se si disgregassero alcun poco; e intanto, a fine di non perderne nessuno, feci avanzare la mia imboscata. Nel tempo stesso dissi al capitano e a Venerdì di andare carpone col ventre ben rasente terra, quatti in modo di non essere nè veduti nè uditi, e di averli a tiro il più che potevano prima di arrischiarsi a far fuoco.

Non erano rimasti in tal postura da quadrupedi lungo tempo, quando il guardastiva, che fu un de’ maggiori caporioni dell’ammutinamento, e che or mostravasi il più avvilito e scoraggiato di tutti gli altri, veniva, senza immaginarselo al certo, inverso ad essi con due suoi compagni. Il capitano uditolo parlare e quindi conosciutolo, era sì ansioso d’impadronirsi di questo ribaldo ch’ebbe a stento la pazienza d’aspettare d’averlo più vicino per essere sicuro del suo

colpo; perchè quantunque ne udivano la voce, non li vedeano però: pur questa pazienza la ebbe, e quando i mascalzoni furono a tiro di schioppo, il capitano e Venerdì rizzatisi su le proprie gambe, spararono. Il guardastiva rimase morto in botta; l’altro, attraversato il corpo da una palla, gli cadde vicino, nè morì che un’ora o due dopo; il terzo prese la fuga.

Appena udito il frastuono della moschetteria, mi feci innanzi con l’intero mio esercito ch’era adesso composto di otto uomini: di me, generalissimo; di Venerdì, mio luogotenente generale; del capitano e de’ suoi due compagni; de’ tre prigionieri di guerra, di cui lo stesso capitano si fidò tanto, che diedi loro le armi. Così andammo inverso a costoro: già da vero facea tanto scuro, che non potevano accorgersi del nostro numero. Allora dissi all’uomo che trovammo solo nella scialuppa di chiamarli per nome e di provare se poteva tirarli a parlamento, e con ciò forse ad una capitolazione: tentativo che riuscì secondo i miei desideri. Ma io ben m’avvedeva come nella condizione in che si trovavano in quel momento i miei galantuomini, non dovea parer vero ad essi di poter capitolare. Robinson dunque (vi ho detto che si nominava così) gridò a tutta voce:

— «Tommaso Smith! Tommaso Smith!

— Questo qua è Robinson? chiese Tommaso Smith, il quale bisogna conoscesse tosto l’altro alla voce.

— Propriamente io. Ma per amor di Dio! Tommaso Smith, mettete giù l’armi e arrendetevi, o siete tutti morti.

— A chi arrenderci? Ove sono questi ai quali dobbiamo arrenderci?

— Sono qui, rispose Robinson. Qui il nostro capitano in fronte a cinquanta uomini sta facendovi la caccia da due ore. Il guardastiva è rimasto ucciso; Guglielmo Fry è ferito; io prigioniero, e se non v’arrendete siete perduti.

— Ci daranno dunque quartiere? Tommaso Smith domandò. In tal caso ci arrenderemo.

— Andrò e sentirò... semprechè mi promettiate di arrendervi.»

E di fatto venne e ne fece proposta al capitano che rispose forte egli stesso:

— «Voi, Tommaso Smith, voi conoscete la mia voce; se deponete l’armi subitamente e vi sottomettete, avrete salve le vite tutti, eccetto Guglielmo Atkins.»

Guglielmo Atkins che era lì gridò tosto:

— «Per l’amor di Dio, capitano, datemi quartiere! Che cosa ho fatto io peggio degli altri? Sono stati tutti colpevoli come me.»

La qual cosa, per parentesi, non era vera; perchè sembra fosse Guglielmo Atkins il primo ad impadronirsi del capitano, quando cominciò la ribellione, e quello ancora che si comportò più tristamente verso di lui col legarne le mani e volgergli male parole. Ciò non ostante il capitano gli disse che doveva metter giù l’armi a discrezione e fidarsi nella misericordia del governatore; con che s’intendeva indicar me, perchè ognuno lì mi chiamava governatore.

In una parola, tutti misero giù l’armi, e supplicarono per le loro vite. Io mandai l’uomo che avea parlamentato con essi e due altri, che li legarono tutti. Allora il mio grande esercito di cinquanta uomini, che si riducevano ad otto (compresi, notate, i due prigionieri) andò ad impadronirsi degli uomini legati e della scialuppa. Io solo per allora mi tenni celato in disparte con uno de’ miei, e ciò per ragioni di stato.

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