< Avventure di Robinson Crusoe
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Daniel Defoe - Avventure di Robinson Crusoe (1719)
Traduzione dall'inglese di Gaetano Barbieri (1842)
Secondo sbarco di selvaggi più formidabile del primo
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Secondo sbarco di selvaggi più formidabile del primo.



S
e per una parte era a credersi che la burrasca avesse condotti a mal termine alcuni dei fugati selvaggi, v’era per l’altra luogo a temere che fosse rimaso un bastante numero di costoro per andare ad informare i propri compatriotti di quanto avevano tentato, e di quanto ad essi era occorso per eccitarli ad una seconda impresa di simil natura, spalleggiata da una forza d’uomini cui non si potesse resistere; perchè già, quanto al numero degli abitanti dell’isola co’ quali combatterebbero, al di là delle poche cose intese dal disertore selvaggio, poteano sapere ben poco di più; e costui essendo già stato ucciso non era più in caso certo di ratificare con la propria bocca ciò che aveva affermato.

Erano trascorsi cinque o sei mesi dopo il narrato avvenimento senza che i coloni avessero più contezze di selvaggi, onde i primi principiarono a sperare che costoro o si fossero rassegnati al primo mal esito o avessero rinunziato all’espettazione di averne un migliore, quando d’improvviso si videro invasi da una flotta composta di non meno di ventotto canotti pieni di selvaggi armati d’archi e di frecce, di clave, di spade di legno e simili ordigni da guerra; apparecchio sì formidabile, che pose nel massimo trambusto quell’intera piccola popolazione.

Poichè costoro avevano effettuato il loro sbarco di sera e nella parte più orientale dell’isola, i coloni ebbero tutta la notte per consultarsi fra loro sul partito più opportuno a prendere. E primieramente videro che se dal tenersi ben celati dipendeva la sola loro D’improvviso si videro invasi da una flotta composta di non meno di ventotto canotti pieni di selvaggisalvezza in passato, ciò si avverava tanto più ora che il numero dei nemici era sì sterminato. Tornarono dunque ad atterrare le case fabbricate di nuovo dai due poveri inglesi, trasportando i loro armenti nella mia vecchia caverna; che ben s’immaginavano che, appena fosse giorno, i selvaggi sarebbero venuti in quel campo a rinovare la caccia antica, ancorchè questa volta fossero sbarcati due leghe lontano di lì. In secondo luogo, trasportarono nello stesso nascondiglio gli armenti custoditi in quella che io chiamava mia casa di villeggiatura, appartenente allora agli Spagnuoli: in somma fecero sparire quanto poteano ogni indizio atto a dar sospetto che vi fossero abitanti nell’isola; poi la mattina di buon’ora si posero in agguato con tutta la loro forza nella piantagione de’ due Inglesi, aspettando quivi che i nemici arrivassero.

Come aveano congetturato, accadde. I nuovi invasori, lasciati i canotti alla spiaggia orientale dell’isola, s’avviarono lungo la costa alla volta dell’alloggiamento scelto dai coloni in numero di duecento cinquanta circa, come ad occhio sì potè giudicare. L’esercito coloniale era piccino da vero, e per maggiore disgrazia non armato nemmeno a proporzione del suo piccolo numero. Il suo ammontare era in circa il seguente.

17 Spagnuoli
5 Inglesi
1 Il vecchio Venerdì, o sia il padre di Venerdì
3 Schiavi: quelli presi in compagnia delle donne selvagge, e che diedero prove della maggior fedeltà
3 Altri schiavi che viveano con gli Spagnuoli.

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Per armare tutta questa gente vi erano:

11 Archibusi
5 Pistole
3 Schioppi da caccia
5 Moschetti: quelli che tolsi ai marinai ammutinati e da me ridotti a suggezione prima della mia partenza dall’isola
2 Spade
3 Vecchie alabarde.

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Nessuno degli schiavi ebbe moschetto o arma da fuoco: ciascuno ricevè o un’alabarda o una specie di bastone a due punte, ad ognuna delle quali era legato un acuto chiodo ed un’azza a fianco; d’un’azza parimente fu provveduto ogn’altro combattente. Non vi fu modo d’impedire a due di quelle donne il mettersi in linea di battaglia. Armatesi queste di archi e frecce che gli Spagnuoli raccolsero nell’ultima battaglia avvenuta fra selvaggi e selvaggi da me precedentemente descritta, ebbero anch’esse ciascuna un’azza.

Il governatore spagnuolo, di cui ho parlato le tante volte, comandava l’intero esercito; sotto di lui Guglielmo Atkins cui, se bene uom da temersi per la sua mariuoleria, non si potea negare il pregio d’un indomabil coraggio. I selvaggi venivano innanzi come leoni, e per maggiore calamità dei coloni, questi secondi non avevano per sè il vantaggio della posizione. Solamente Guglielmo Atkins, utilissimo, siccome ho detto, in simili casi, fu collocato con sei uomini dietro una fitta siepaglia, a guisa di posto avanzato e con istruzione di lasciar passare la prima fila nemica, di far fuoco su quella di mezzo; poi, ciò eseguito, di eseguire la sua ritirata con ogni prestezza possibile, girando attorno al bosco e venendo a porsi dietro agli Spagnuoli, il cui agguato veniva protetto da un folto gruppo d’alberi posti dinanzi a loro.

Quando i selvaggi furono sotto il tiro, si sparpagliavano in bronchi da tutte le bande senza nessun principio d’ordine. Guglielmo Atkins ne lasciò passare circa una cinquantina, poi veduti venire in folla gli altri, ordinò a tre de’ suoi compagni di sparare i loro archibusi carichi con sei o sette palle del calibro delle più grosse da pistola. Quanti selvaggi uccidessero o ferissero, nol seppero; ma la costernazione e lo stupore nato fra questi non è atto a descriversi: rimasero atterriti non si può dir quanto all’udire un sì spaventoso rimbombo e al vedere tanti dei loro quali uccisi, quali storpiati, senza capire donde le botte venissero. In mezzo a questo loro sbalordimento, Guglielmo Atkins ordinò agli altri tre una seconda scarica sul più fitto di quella bordaglia, poi una terza ai primi che in men d’un minuto aveano tornato a caricare le loro armi.

Se, a norma degli ordini che avea ricevuti, Guglielmo Atkins si fosse ritirato dopo la prima scarica, o se il rimanente del piccolo esercito gli fosse stato da presso per fare un fuoco continuo, i selvaggi sarebbero stati posti allora allora in una rotta la più compiuta, Combatteano tanto ad ultimo sangue che quantunque avessero più di cinquanta morti o feriti da loro, venivano faccia a faccia in colonna. perchè il terrore nato fra essi derivava principalmente dal credersi percossi dalla folgore del cielo, e dal non vedere da che altro potesse procedere la loro strage. Ma alcuni fra i selvaggi situati più in lontananza, accortisi che il fuoco veniva dalla terra, presero alle spalle i fulminanti. Egli è vero che Atkins fece fuoco anche su loro per due o tre volte, e ne ammazzo circa una ventina, ritirandosi indi il più presto alla meglio che potè; ma, oltre all’essere ferito egli stesso con uno de’ suoi, un Inglese rimase morto sotto le frecce selvagge, come vi rimasero più tardi uno Spagnuolo e uno degli schiavi indiani che veniva in compagnia delle donne guerriere. Non può dirsi quanto fosse valoroso questo povero schiavo, e come si battesse da disperato: prima di cader morto aveva ucciso di propria mano cinque selvaggi senza avere altre armi fuor d’un bastone a due punte e d’un’azza.

Ridotto a tale stremo il posto avanzato, ferito Atkins e morti due altri, si ritirò ad un’altura del bosco, e anche gli Spagnuoli dopo tre scariche su quelle masnade furono costretti fare lo stesso, perchè il numero di costoro era sì sterminato, e combatteano tanto ad ultimo sangue, che quantunque avessero più di cinquanta morti ed altrettanti feriti dei loro, venivano faccia a faccia ai coloni, sfidando il pericolo e scoccando un nugolo di strali; e si notò che gli stessi feriti, se non erano resi inabili affatto a combattere, erano resi più feroci dalle stesse loro ferite, e combattevano con più indomita gagliardia.

I coloni nel ritirarsi lasciaronsi addietro lo Spagnuolo e l’Inglese rimasti morti. Giunti i nemici ove giacevano questi cadaveri, tornarono, per così esprimermi, ad ammazzarli nella più maladetta maniera, perchè da veri selvaggi che erano, si valsero de’ loro bastoni e spade di legno per fracassarne le braccia e le teste. Poichè s’accorsero che i nostri si erano ritirati, non pare che pensassero ad inseguirli, perchè si posero in circolo mandando due volte quel grido che sembra essere per costoro il segnale di riportata vittoria; ma poco appresso ebbero il rammarico di vedere parecchi dei loro feriti cadere e morire unicamente in forza del sangue che perdevano, e che non aveano l’abilità di ristagnare.

Poichè il governatore spagnuolo ebbe raccolto tutto il suo piccolo esercito sopra un’eminenza, Atkins, benchè ferito, avrebbe voluto che si marciasse di nuovo, e si facesse in una volta fuoco sovr’essi; ma il governatore gli fece questa osservazione:

— «Signor Atkins, voi vedete come i feriti di quella gente combattono. Non è egli meglio aver pazienza sino a domani mattina? Tutti que’ feriti medesimi saranno assiderati, fatti mansueti dalle ferite stesse; molti infiacchiti dal grande sangue perduto. Avremo che fare con un minor numero di ncmici.»

Il consiglio era buono, ma Atkins con lieto viso rispose:

— «Voi dite bene, signore; ma domani sarò nel caso di que’ feriti ancor io, e perciò vorrei andare a combattere, finchè ho tuttavia il sangue caldo.

— Non vi mettete pensiere di ciò, signor Atkins, soggiunse il governatore. Voi vi siete comportato da valoroso, e avete fatta bene la vostra parte: faremo la parte nostra per voi ove non possiate esservi; ma io giudico meglio l’aspettare a domani mattina.»

Così di fatto erasi risoluto; ma il bel chiaro di luna di quella notte avendo resi accorti gli assaliti dell’enorme trambusto in cui erano gli aggressori, affaccendati tutti attorno ai loro morti e feriti, e il fracasso stesso che veniva dal campo ove s’erano trasferiti per dormire indicando quanto costoro fossero scompigliati, si cangiò di proposito. Fu dunque deciso di piombar loro addosso in quella notte medesima, specialmente ove si fosse offerta un’opportunità di far ciò d’improvviso, e quando meno quella gente se lo aspettava. L’opportunità capitò, perchè uno degl’Inglesi nella cui piantagione incominciò la battaglia, fece fare una giravolta ai compagni tra i boschi e la spiaggia occidentale, poi una subitanea voltata verso la parte meridionale, onde si trovarono vicini al luogo ove la massa de’ selvaggi era più folta, prima che questi avessero avuto tempo di vederli o sentirli arrivare. Otto coloni allora sparando in una volta nel bel mezzo di quella ciurma, ne fecero un macello, poi mezzo minuto dopo altri otto vi fecero piovere addosso tal grandine di pallini che da vero non vi fu scarsezza di feriti o di morti, e tutto ciò mentre quegli sgraziati non capivano da qual parte venisse il flagello, nè sapevano a qual parte salvarsi.

Tornati a caricare speditamente i loro moschetti, i coloni si divisero in tre corpi con intenzione di far fuoco tutti in una volta e da tre lati su l’inimico. Ciascuno di tali corpi era composto d’otto persone, vale a dire ventidue uomini e le due donne che combatteano da disperate. Le armi da fuoco vennero ripartite ugualmente fra questi tre battaglioni, come pure le alabarde e i bastoni. Si avrebbe voluto far restare addietro le donne, ma queste si protestarono risolute a morire in compagnia de’ loro mariti. Così ordinato quel piccolo esercito, sbucarono fuor degli alberi affrontando da tutte le bande il nemico, e mettendo alte grida finchè i lor polmoni gliel permetteano.

Non per ciò i selvaggi si sbandarono, ma crebbe ancora la lor confusione all’udire queste grida che partivano da tre lati in una volta. Si capì che non si sarebbero ristati dall’accettar la battaglia, se avessero veduto il nemico, perchè appena questo fu in maggior vicinanza di loro, vennero scagliate diverse frecce, una delle quali ferì il povero vecchio Venerdì, ma non mortalmente. I coloni per altro non lasciarono ad essi gran tempo, perchè fecero fuoco sopra loro tre volte, poi piombarono loro addosso co’ calci de’ moschetti, con le spade, co’ bastoni a due punte, tanto che finalmente que’ miseri sbaragliati, mettendo tremende grida, si diedero a fuggire da tutte le parti e come meglio poteano per salvare le proprie vite.

I coloni erano perfino stanchi di questa strage, avendo già in due combattimenti uccisi cent’ottanta nemici all’incirca. I loro avanzi, tratti fuor di sè dalla paura, correvano all’impazzata per traverso ai boschi e su i poggi con tutta quella speditezza che il terrore infondeva in essi, e che dall’agilità delle loro gambe era permessa; e, poichè i coloni non si diedero grande pensiere d’inseguirli, poterono finalmente raccogliersi alla spiaggia, ove erano sbarcati, e dove stavano aspettandoli i loro canotti.


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