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14.
I prigionieri
Quando Randolfo volle rendersi conto di ciò che era avvenuto, tutto era tranquillo attorno a lui.
Le grida di guerra degl’indiani erano cessate; la natura aveva ripresa la sua serena tranquillità e solamente un piccolo uccello saltellando fra i rami di un albero mezzo carbonizzato, rompeva il silenzio col suo grazioso cicaleccio.
I selvaggi erano scomparsi assieme alle due fanciulle.
Randolfo che si trovava ancora disteso al suolo, con le braccia e le gambe strettamente legate, volle tentare uno sforzo per liberarsi dalle corde, ma una larga mano gli piombò sulla gola mentre una voce ruvida gli gridava minacciosamente:
— Lungo Coltello, stia tranquillo o farai conoscenza colla scure di Pankiskaw. Io sono un grande e rinomato guerriero.
Randolfo alzò penosamente la testa e vide, seduto presso un cespuglio, un vecchio indiano d’aspetto feroce il quale posava lo sguardo ora sul prigioniero ed ora sulla scure che gli pendeva alla cintura.
Randolfo non ancora rimessosi dalla terribile emozione provata, voleva rivolgere qualche altra domanda al vecchio guerriero per meglio sapere cosa era successo, ma questi non gli lasciò aprire la bocca.
Tese verso di lui il pugno come per minacciarlo, dicendogli:
— Se il Lungo Coltello parla, è uomo morto. Pankiskaw è un grande guerriero che uccide sempre con un colpo di scure sul cranio.
Obbedendo a quella rude ingiunzione, Randolfo si lasciò ricadere al suolo, immergendosi in tristi pensieri.
Egli fu bentosto strappato dalla sua immobilità da un sordo fracasso che pareva prodotto dal galoppo di numerosi e pesanti animali. Dapprima credette che passasse una torma di bisonti, poi suppose che si trattasse d’una banda di cavalli soverchiamente carichi e galoppanti su di una via cosparsa di pietre.
Il suo cuore, senza sapere il perché, cominciò a battere fortemente ed il suo pensiero volò a Morton.
Guardò l’indiano e lo vide nascondersi presto dietro ad un cespuglio. Se quei cavalieri fossero stati suoi compagni, avrebbe agito diversamente.
Forse la scomparsa improvvisa degl’indiani, aveva avuto uno scopo molto più serio di quello che il giovane s’immaginava.
— Qualche cosa sta per succedere — mormorò Randolfo. — Se questo vecchio indiano si nasconde, deve avere il suo motivo.
Impaziente di conoscere quei cavalieri che passavano a così poca distanza, alzò il capo. L’indiano, invece di minacciarlo, questa volta lo aiutò dicendogli poi con un’ironia crudele:
— Tu credevi che quei cavalieri sorprendessero il vecchio Pankiskaw. No, Lungo Coltello! Pankiskaw è un grande guerriero e gli uomini bianchi sono tutti ignoranti.
Stava per continuare le sue bravate, ma già Randolfo non lo ascoltava più.
Egli guardava attentamente il luogo ove si trovava. Scorgeva ancora la collina dominante la palude, però non riusciva a scoprire il fiumicello.
Guardando invece più oltre, a breve distanza vide alzarsi molte piante d’alto fusto e che prima non aveva notate.
Osservando meglio vide gl’indiani celati dietro agli alberi in atto di spiare qualche cosa.
Si alzò più che poté e si mise a contarli. Non erano più di tre dozzine: però altri dovevano essere nascosti nelle vicinanze.
— Chi aspettano? — si chiese. — Se sono imboscati, devono aver veduto dei nemici. Che i cavalli passati poco fa presso di me fossero montati da uomini bianchi? Che siano guidati da Morton?
Era a questo punto dei suoi pensieri quando vide inopinatamente sbucare fra le piante parecchi cavalieri bianchi, guidati da un uomo di statura straordinaria.
Riconobbe subito quel capo: era Harry Linthon, il figlio del capitano.
La paura di vederli sorpresi dagl’indiani imboscati, gli fece dimenticare ogni prudenza e senza occuparsi del vecchio indiano né curarsi delle sue minacce, si mise a gridare con tutta la forza che aveva nei polmoni:
— Vi è un’imboscata! Guardatevi, Harry!
Non poté dire di più. Il suo guardiano gli serrò violentemente la gola e gli puntò il coltello, gridando che se non taceva glielo avrebbe cacciato nel petto.
L’avvertimento di Randolfo non era andato perduto. Harry ed i suoi compagni, una quindicina in tutti, erano balzati dai cavalli, prendendo i fucili e le pistole.
Harry si volse verso i suoi, dicendo:
— Miei amici! Vi sono due fanciulle nelle mani delle pelli-rosse e noi dobbiamo liberarle per l’onore nostro.
«Andiamo: cacciamoci in mezzo a questi cespugli e facciamo uscire i miserabili che vi si nascondono.»
Quelle parole furono come il segnale dell’attacco. I suoi compagni, lasciati i cavalli, si fecero animosamente innanzi per scovare i nemici imboscati.
Le pelli-rosse, vedendoli avanzarsi, spararono sei o sette colpi di fucile senza lasciare i loro nascondigli.
Harry si mise a gridare:
— Amici, mentre che alcuni di noi montiamo a cavallo per tirare sopra i cespugli, voi fate fuoco abbasso. Mostrate a loro che voi siete valorosi.
— Quel Lungo Coltello è un gran pazzo — disse il guerriero che vegliava su Randolfo. — Pankiskaw gli prenderà la capigliatura.
Il combattimento era cominciato con molto slancio da parte degli uomini guidati da Harry.
I nemici non si potevano scorgere, essendo sempre nascosti in mezzo ai cespugli, sicché quella lotta era ben diversa da quella che si suole impegnare sui nostri campi di battaglia.
Non erano masse contro masse che combattevano; ognuno faceva da sé, lottando per proprio conto.
I colpi di fucile si seguivano con poca fortuna perché anche gli indiani non potevano bene scorgere i loro avversari.
Il momento della lotta ormai doveva ben presto diventare decisivo. Gli uomini bianchi erano entrati nel bosco e s’avvicinavano al luogo ove si nascondevano gl’indiani.
I compagni di Harry combattevano tenacemente, tenendo testa agli avversari.
Tutto d’un colpo tre indiani uscirono dai loro nascondigli e si gettarono rapidamente contro gli uomini bianchi credendo di sgominarli colla loro improvvisa comparsa.
Randolfo tremò a quell’atto d’audacia insensata che doveva essere il prologo d’un combattimento corpo a corpo ove gl’indiani avrebbero forse trionfato, mercé il loro numero.
Appena i tre indiani si mostrarono, tre colpi di carabina partirono, mandandone due a terra. Il terzo poté fare ancora alcuni passi colla scure in mano, però una quarta palla lo raggiunse facendolo cadere morto.
Gli uomini bianchi subito approfittarono di quel primo vantaggio.
— Coraggio! — gridò Harry. — Una buona scarica e andiamo a liberare quelle povere fanciulle.
Randolfo udendo quelle parole fiere cominciò a sperare. Gl’indiani non si erano più mostrati. Si udivano invece urlare ferocemente, esasperati per la perdita dei loro tre fratelli.
L’urto stava per avvenire.
Gl’indiani, dopo d’aver urlato, si scoprirono slanciandosi con rabbia estrema contro gli assalitori.
Gli uomini di Harry non diedero indietro.
Un fuoco ben nutrito partì da tutte e due le parti. I bianchi, resi audaci dal primo successo, s’avanzarono incontro ai nemici senza però troppo esporsi, sapendo quanto siano terribili gl’indiani nei combattimenti corpo a corpo.
Randolfo vedendo quegli uomini combattere, non poteva tenersi fermo.
L’odore della polvere lo inebbriava e avrebbe dato volentieri mezzo del suo sangue per prendere parte a quella sanguinosa lotta.
I compagni di Harry intanto, attaccando con grande ardimento, avevano riportato un altro vantaggio.
I loro avversari molto maltrattati dai fucili degli scorridori della prateria, avevano cominciato a perdere terreno.
In mezzo agli spari Randolfo udì il bravo figlio del capitano a gridare con voce forte:
— Avanti, compagni! Ancora qualche colpo di carabina, poi impugnate le asce ed i coltelli. Avanti!
Le pelli-rosse avevano cominciato a ritirarsi verso i loro primieri rifugi, non potendo resistere all’urto degli scorridori.
La battaglia pareva che dovesse terminare subito quando un avvenimento inatteso venne a strappare agli scorridori il frutto di tanta bravura.
Una voce si era udita gridare in mezzo ai cespugli.
— Avanti, correte addosso a quei rettili e fate sentire a loro la punta dei vostri coltelli ed il filo delle vostre scuri. Per la mia morte! Avanti!
A quelle parole Harry s’era arrestato. Aveva riconosciuta la voce di Ralph, l’Alligatore del Lago salato.
— Ralph qui! — gridò. — Il mariuolo è con gl’indiani!
Mentre cercava con gli sguardi il ladro di cavalli, credendo in buona fede che quel povero uomo si fosse alleato con le pelli-rosse per vendicarsi della caccia datagli dagli uomini del forte la notte che aveva rubato il cavallo di Randolfo, una scarica partì fra i cespugli.
Le pelli-rosse, approfittando dello stupore di Harry e dei suoi uomini, avevano fatto fuoco quasi a bruciapelo.
Il figlio del capitano Linthon e due dei suoi compagni caddero a terra insanguinati.
Ralph, che doveva trovarsi nascosto a breve distanza, senza curarsi dei colpi di fucile, corse verso il povero Harry. Il ladro di cavalli aveva le lagrime agli occhi.
— Io sono la causa della vostra morte — gli disse. — Perché arrestarvi invece di caricare gl’indiani?...
— Vi credevo con loro — rispose Harry, gemendo.
— Io non vi abbandonerò.
Vedendo in quel momento passare Baio, il cavallo di Randolfo che era uscito allora dal bosco, lo fermò, poi più pronto del pensiero afferrò Harry e lo mise sulla sella, quindi montò anche lui.
— Fuggiamo — disse.
E mentre gl’indiani mettevano in rotta gli scorridori che erano rimasti demoralizzati per la perdita del loro capo, l’Alligatore scomparve in mezzo agli alberi.
Randolfo aveva assistito a quella scena col cuore angosciato. Il suo dispiacere però toccò il colmo quando vide il suo valoroso Baio allontanarsi verso il fiume.