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5.
Smarriti
Telie aveva seguìto cogli sguardi la via presa dal ladro di cavalli ed aveva notato che si dirigeva verso il guado della riviera bassa.
Sapendo che Ralph conosceva a menadito quella grande foresta, supplicò nuovamente Randolfo di abbandonare quel sentiero e di prendere l’altro che ella riteneva meno pericoloso e non ancora percorso dalle orde indiane.
Randolfo però che aveva completa fiducia nel capitano e che si era proposto di seguirne i consigli, si rifiutò ancora.
— Io mi ricordo benissimo quello che mi disse Linthon — rispose a Telie. — È forse perché avete veduto quel miserabile ladro di cavalli dirigersi verso il guado della riviera bassa che vorresti costringermi a cambiare via?
— No, è perché qui si deve trovare lo spettro della foresta.
— Io non credo affatto al vostro terribile Scibellok, mia giovine. Sono frottole, ve lo dico io.
Poi senz’altro aggiungere e non volendo più oltre prolungare quel dibattito, si rimise in marcia seguendo il sentiero che doveva condurlo al guado della riviera alta.
Si erano rimessi in cammino da alcuni minuti, quando il negro Tom scorse sul terreno molle del sentiero delle impronte di numerosi cavalli e che parevano fossero state fatte di recente.
Chi poteva aver percorso quella via e di notte? Solamente degl’indiani; almeno tale era la convinzione di Telie. Però Randolfo fu d’avviso contrario e non volle ancora arrestarsi.
Dopo quel primo incidente, ne accadde un secondo ben più allarmante. Tutto d’un colpo una scarica nutrita era rimbombata nella foresta, dietro al piccolo drappello, e poco dopo attraverso i cespugli ed i tronchi degli alberi si era veduto passare, a galoppo sfrenato, un uomo di alta statura che montava un cavallo bianco.
Quantunque quell’apparizione fosse stata rapidissima, Randolfo aveva potuto scorgere, per qualche istante, l’uomo che lo montava.
Era una specie di gigante, coi capelli lunghi e sciolti e armato di un lungo fucile.
Randolfo fu pronto a puntare il fucile, gridando:
— Creatura infernale, fermatevi o vi farò assaggiare le palle della mia carabina!
Il cavaliere si fermò e alzando pure il fucile, rispose:
— Largo o vi uccido tutti!
— Ci prendete forse per indiani?
— Gran Dio! — gridò allora lo sconosciuto. — Sareste voi dei bianchi, dei cristiani? Eh! Sì, non m’inganno io! In nome del cielo non avanzatevi e tornate subito. Dove volete andare voi?
— Al guado — rispose Randolfo.
— Tornate subito, imprudenti. Non sapete che la foresta pullula d’indiani? Ne avevo sei dietro di me e non ne ho ucciso che uno solo. Guardatevi dagli altri.
— Ne siete ben certo? — chiese il giovane uomo che dubitava ancora delle parole dello sconosciuto.
— Avete torto a dubitare — disse Telie. — Lo sapevo anch’io che le pelli-rosse si trovavano nei pressi del guado superiore. Spero nondimeno che noi saremo ancora in tempo per ritornare al guado inferiore.
— Ritorniamo subito — rispose Randolfo con agitazione.
— Addio! — gridò in quel momento lo sconosciuto, riprendendo la corsa.
Il piccolo drappello fece subito un dietro fronte, ritornando sui suoi passi.
Randolfo cominciava a diventare inquieto ed a pentirsi di non aver seguìti i consigli della valorosa giovane.
Sapeva di saper contare completamente su Tom, non così sulle due giovani, valorose e risolute senza dubbio, però incapaci forse di sostenere un attacco da parte dei terribili guerrieri rossi.
Mentre stavano ritornando, udivano ancora dietro di loro il galoppo sfrenato d’un cavallo che si avvicinava rapidissimamente.
Randolfo fece fermare il drappello e armare le carabine, credendo che si trattasse di qualche indiano. Un grido di gioia gli sfuggì quando vide invece ricomparire lo sconosciuto.
— Ancora voi? — gli chiese.
— Ho pensato che potevo esservi utile, — rispose il cavaliere, — e sono ritornato. Voi avete due ragazze da difendere e mi metto anch’io della partita.
— Chi siete voi?
— John Forting, scorridore di praterie — rispose il nuovo venuto.
— Io sono Randolfo Harringhen.
— Ho udito ancora il vostro nome. Voi siete del Messico.
— Sì.
— Nipote del maggiore?
— Sì, signor Forting.
— Sono lieto di avervi incontrato. Presto, non perdiamo tempo e cerchiamo di guadagnare il guado della riviera bassa.
— Vi sono molti indiani? — chiese Randolfo.
— Numerose orde stanno scorrazzando la prateria e le foreste — rispose lo scorridore. — Poco fa sono stato assalito da sei di quei furfanti e sono sfuggito con molta pena alla loro imboscata.
— Vi recavate al forte del capitano Linthon?
— Tale era la mia intenzione. Non essendo pratico di questi luoghi mi ero smarrito e non sapevo più ritrovare la via. Anch’io cercavo di raggiungere il guado della riviera bassa senza però riuscirvi. Avete voi qualche guida?
— Questa fanciulla asserisce di conoscere la via.
— Allora andiamo.
Telie si era messa alla testa della piccola carovana a fianco del vecchio Tom, cercando di dirigersi verso il guado.
L’oscurità era così profonda sotto quella immensa foresta vergine, da dubitare che ella potesse riuscirvi.
E veramente dopo qualche chilometro la giovanetta cominciò a dare segni di non essere ben certa della buona direzione.
Si arrestava spesso, guardava sotto le piante, scuoteva la testa ed esitava prima di rimettersi in marcia.
Randolfo se n’era accorto.
— Mi pare che voi siate imbarazzata sulla via da scegliere — le disse.
— È vero — rispose Telie, con voce tremante. — Io comincio ad essere molto inquieta. Già noi dovremmo trovarci sul sentiero da me conosciuto ed invece non sono capace di scoprirlo in alcuna direzione. Ormai ignoro dove sia.
Quella franca risposta spaventò Randolfo il quale credeva di aver trovato una guida sicura in Telie.
Più non rimaneva che affidarsi alla sorte e all’istinto dei cavalli per ritrovare il guado.
Telie nondimeno non disperava ancora. Cercò di orizzontarsi alla meglio e continuò ad avanzarsi colla vaga speranza di ritrovare il buon cammino.
Ad un tratto il suo cavallo mandò un sordo nitrito e si fermò sbuffando e dando segno di spavento. Egli si era arrestato presso un folto cespuglio che si rizzava fra due altissimi alberi.
Randolfo si fece avanti.
— Cosa avete, Telie? — chiese. — Il vostro cavallo mi pare spaventato.
— Deve aver sentito degl’indiani — rispose la ragazza. — Teniamoci pronti a qualche imboscata.
— Pazzie — rispose Randolfo. — Se vi fossero delle pelli-rosse in queste vicinanze ci avrebbero già assaliti.
In quell’istante Mary mostrò una massa oscura presso il cespuglio.
— Guarda — disse con voce tremante.
— Mi pare che vi sia un indiano — disse Forting.
— Morto?
— Lo credo, signor Randolfo.
— Voglio accertarmene.
Discese da cavallo, armò il fucile e s’avvicinò alla macchia.
Disteso sul dorso vi era il cadavere d’un colossale indiano.
La sua capigliatura era già stata strappata ed il sangue colava ancora, imbrattandogli il volto.
Attorno a quel guerriero si vedevano delle lance spezzate ed un’ascia scheggiata, appartenente forse allo sconosciuto vincitore.
Quel guerriero non doveva essere caduto senza un’aspra lotta. Tutto intorno l’erba era calpestata e si vedevano dei rami spezzati.
Mentre Randolfo guardava quel lugubre spettacolo, un trasalimento agitò il corpo dell’indiano, poi si udì una specie di sordo respiro. Le mani di quel disgraziato si appoggiarono al suolo e facendo uno sforzo, il corpo si sollevò.
Era l’ultimo sforzo. Il corpo quasi subito ricadde e la testa sanguinante dopo di essersi agitata qualche po’, rimase immobile.
Randolfo si curvò su di lui per accertarsi se era morto e vide sul petto del gigante due segni sanguinosi formanti una croce. Egli indietreggiò spaventato, esclamando:
— Il segno di Scibellok!