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Magistratura
Libro secondo - Per un sonetto Libro secondo - La verità ha camminato

MAGISTRATURA


Delle donne e dei magistrati bisogna parlare con molta prudenza. Per poco che il discorso tenda verso la sincerità, bisogna troncarlo. Tutti sanno il vero, ma tutti evocano il rettorico spettro di quella vecchia e sozza moglie di Cesare la cui virtù, per consenso ipocrita, non può essere nemmeno sospettata.

Lasciamo a parte le donne dei cui peccati forse gli uomini sono responsabili e vediamo i magistrati, senza mancare di riguardo nè a loro, nè alla moglie di Cesare.

I recenti discorsi in Parlamento ne offrono l’occasione.

L’estate scorsa, io (chiedo scusa dell’io, ma non posso dire che fosse un altro) ed un amico mio assistevamo, e non per gusto nostro, ad uno di quei processi che si celebrano in certe sale piene di puzzo caldo, e di sudiciume che fermenta. Il presidente sonnecchiava e i giudici buttati sulle poltrone guardavano al soffitto, mentre il cancelliere, con la voce stanca e monotona leggeva un monte di cartacce.

L’amico si chinò al mio orecchio e disse: “Vedi, la religione, la giustizia, la libertà sono belle e sante astrazioni, ma chi deve renderle verità nella vita, sono gli uomini. Ora, guarda il presidente e i giudici. Essi sono gli arbitri dell’avere, della libertà, della riputazione di un uomo, che domani potrei essere anch’io. Ebbene, ti do la mia parola che se uno di quei signori domani chiedesse di entrare al mio servizio, direi subito di no”.

Le parole mi parvero amare, ma oggi stesso, qui, in un pubblico caffè, ho sentito due contadini che contendevano vivacemente, ed uno, a modo di ingiuria, ha gridato all’altro: “Sei ignorante come un giudice!” Avevo già sentito a dire: — “ubriaco come la giustizia!” — ma non credevo che la disistima per la magistratura fosse giunta al segno di farsi ingiuria nella bocca dei contadini!

Certo, c’è esagerazione, ma il sintomo è grave.

La giustizia è come la religione, che non ha ragione d’essere se non nella fede. E di questo discredito della magistratura non solo si impaurano i cittadini, ma gli stessi uomini che sono chiamati a disciplinarla e difenderla. Un concorso a pochi posti, con temi facilissimi, ha chiamato forse mille concorrenti e il risultato fu un disastro. Ciò radica sempre più nel concetto delle masse che la magistratura non sia che il rifugio dei legulei che non trovano da difendere un ladro di galline, e questa dolorosa convinzione si legge troppo chiaramente tra le righe dei resoconti parlamentari, come si sente a troppo chiare note nei discorsi d’ogni giorno, fino tra i contadini.

Mi fu raccontato da persona sincera che, presentandosi un laureato all’esame di procuratore, non seppe rispondere o rispose un sacco di sciocchezze. Il capo degli esaminatori, maravigliato, gli chiese come diavolo, così ignaro della legge e della procedura, avesse osato di presentarsi all’esame. Ma il candidato maravigliato anche lui, rispose franco: “Ma non sa Ella che io non intendo di far l’avvocato? Voglio dedicarmi alla Magistratura!” E passò, non dico a pieni voti, ma passò.

La magistratura istessa sente questa sua deficienza che le menoma la fiducia del paese ed invoca, dove e come può, un rimedio a tanta miseria deplorabile e deplorata. Essa ragiona a un dipresso così: non entra in questa carriera poco stimata e peggio retribuita che chi non riesce ad altro. Retribuiteci meglio e i posti diventando invidiabili, come presso le altre nazioni civili, sarà possibile la selezione e alla magistratura aspireranno soltanto i migliori.

Certo, i giudici in Italia sono pagati male ed è giusta e legittima la loro aspirazione al meglio.

Il vile denaro, dopo tutto, è un buon garante della integrità e della indipendenza. Ma è lecito chiedere se crescendo il salario oggi ad un giudice bestia, si potrà farne un buon giudice domani? Certo no. Si rimane asini anche con un milione. Dunque?

Dunque bisognerebbe decidersi ad una epurazione. In Francia fu fatta più per ragioni di sicurezza politica che di competenza e in Italia, se si dovesse venirci, non si potrebbe dimenticare che il novantanove per cento almeno della nostra magistratura è clericale o clericaleggiante, con che guarentigia di imparzialità nei giudizi che sono intinti di politica, ciascuno vede. Ma nè i cervelli, nè i muscoli consentono a noi coraggio e forza bastanti per una epurazione augurata invano. Cresceremo le paghe alla meglio e i giudici saranno reclutati come s’è visto.

Così il presidente, che l’amico mio non avrebbe voluto nemmeno per servitore, passo passo, salirà in Appello o in Cassazione e i nostri contadini seguiteranno a ingiuriarsi, gridando: ignorante come un giudice!


14 Maggio 1904.
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