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Voltaire - Candido (1759)
Traduzione dal francese di Anonimo (1882)
Istoria della vecchia
capitolo 10 capitolo 12

11. Istoria della vecchia


"Io non son stata sempre cogli occhi cisposi e orlati di scarlatto, il mio naso non è sempre andato a ritoccarsi col mento, nè sempre serva stata son io. Io son figlia di papa Urbano decimo, e della principessa di Palestrina. Fui fino all’età di quattordici anni allevata in un palazzo, a cui tutti i castelli dei vostri baron tedeschi avrian potuto servir di stalla; e valeva più un de’ miei abiti che tutte le magnificenze della Vesfalia. Crescevo in bellezza, in grazia, e in talento, in mezzo a’ piaceri, agli ossequi ed alle speranze, e inspiravo già amore: quali occhi! quali palpebre! quai ciglia! quali fiammelle scintillavano dalle mie pupille, e oscuravano il fulgore delle stelle! come diceanmi i poeti del luogo.

"Io fui promessa in isposa a un principe sovrano di Massa di Carrara. Che principe! impastato di dolcezza e di vezzi, pieno d’uno spirito brillante, e d’un fervido amore. L’amavo qual suole amarsi ne’ primi amori, con idolatria, e con trasporto. Le nozze eran già preparate, con una pompa e una magnificenza inaudita; non si trattava che di feste, di scarrozzate e di burlette in musica a tutto pasto; e si fecero per tutta l’Italia de’ sonetti sul mio soggetto, di cui non ve ne fu pur uno di passabile. Ero presso al momento della mia felicità, quando una vecchia marchesa che era stata cicisbea del mio principe, invitollo a prender la cioccolata da lei. Morì egli in men di due ore fra orribili convulsioni; ma questo non è nulla. Mia madre disperava, e pur molto meno afflitta di me, volle per qualche tempo involarsi a un sì funesto soggiorno. Aveva ella una bellissima terra presso Gaeta; c’imbarcammo in una galera del paese, dorata come l’altar di san Pietro, ed ecco che un corsal salettino ci dà addosso, e ci abborda. I nostri soldati si difesero da soldati papalini, si misero tutti in ginocchione, gittando le armi, e chiedendo al corsale un’assoluzione in articulo mortis.

"Furono immediatamente spogliati ignudi come tanti scimmiotti; così mia madre e le nostre damigelle d’onore, e così pur io.

"Non starò a dirvi quanto sia cosa dura per una giovine principessa l’esser condotta schiava al Marocco; voi comprendete benissimo quel che dovemmo soffrire nel bastimento del corsaro. Mia madre era ancora bellissima, le nostre damigelle d’onore, le nostre semplici cameriere aveano più vezzi di quel che possa trovarsene in tutta l’Africa. Io poi ero un incanto, ero la bellezza o la grazia medesima ed ero fanciulla...

"Marocco nuotava nel sangue allorchè vi arrivammo; cinquanta figli dell’imperatore Muley-Ismaele avean ciascuno un partito che produceva in effetto cinquanta guerre civili di neri contro neri, di zaini contro zaini, e di mulatti contro mulatti, ed era un continuo macello in tutta l’estensione dell’impero.

"Fummo appena sbarcate, che alcuni neri di una fazione nemica a quella del nostro corsale si presentarono per involargli la preda. Dopo l’oro e i diamanti eravamo noi quel che egli aveva di più prezioso. Io fui testimone d’una zuffa qual mai non può vedersi nei nostri climi d’Europa. I popoli settentrionali non hanno il sangue troppo bollente, nè il furor per le donne nel grado ch’è ordinario nell’Africa. Par che gli Europei abbiano latte nelle vene laddove è vetriolo e fuoco quel che scorre nelle vene agli abitanti del monte Atlante e dei paesi vicini. Si combatteva col furor de’ leoni, delle tigri, de’ serpenti della contrada a chi ci avrebbe a possedere. Un moro prese mia madre pel braccio destro, il luogotenente del mio capitano la riteneva per il sinistro, un soldato l’afferrò per una gamba, un de’ nostri pirati la ritenne per l’altra, e in un momento tutte le nostre donne trovaronsi nell’istessa guisa tirate da quattro soldati. Il mio capitano mi teneva nascosta dietro a lui, avea impugnata la scimitarra, ed uccideva tutto quel che opponevasi al suo furore. Finalmente vidi tutte le nostre italiane, compresa mia madre, sbranate, trucidate e tagliate a pezzi dai mostri che se le disputavano. Gli schiavi miei compagni, coloro che li avevan presi, soldati marinari, negri, bianchi, mulatti, e finalmente il mio capitano, tutto restò ucciso, ed io rimasi esangue sopra un mucchio di cadaveri. Simili scene seguivano, come è noto, in tutta l’estensione di più trecento leghe, senza si mancasse intanto alle cinque preghiere quotidiane ordinate da Maometto.

"Mi sbarazzai a gran fatica dalla folla di tanti cadaveri sanguinosi ammonticchiati l’uno sull’altro, e mi trascinai sotto un grand’albero d’arancio sul margine d’un ruscelletto vicino. Mi vi abbandonai svenuta dallo spavento, dalla stanchezza, dall’orrore, dalla disperazione e dalla fame. Non andò guari, che i miei sensi oppressi s’abbandonarono a un sonno che aveva più del deliquio che del riposo. Ero in quello stato di debolezza e d’insensibilità fra la morte e la vita, quando sentii qualcuno che mi toccava stranamente. Apersi gli occhi, e vidi un uomo bianco, e di buon aspetto, che dicea sospirando fra’ denti: oh che sciagura d’esser... quel che sono!



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