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Canti patrii - Le tre fanciulle
Canti patrii - Per un giuoco di palla nella valle di Fumane Canti patrii - I tre fiumi

LE TRE FANCIULLE.


          «Servitium tulimus crudele et barbara jussa.»
                              G. Fracastoro, In morte del Torriano.

A B. B.



I.

     Morían l’autunno e il giorno; ed io sedea
S’una eminente pietra
Al passo de la tetra
Via che mena a la selva. Una serena
Primizia di crepuscolo scendea
Su la valle profonda,
Dove flotta del glauco Adige l’onda;
Mentre ancora sul monte
Scintillavano i vetri
D’un paesel lontano,
E il sol dall’orizzonte
Saettava sul piano
Purissimo del Garda
Una striscia d’instabili splendori,
Quasi magico ponte, onde le nostre
Mutue speranze varchino e i dolori
Da la veneta sponda a la lombarda.
     Poscia di sotto a un padiglion di foco
Tremolando la spera

Calava a poco a poco;
Calar pareva dietro a la pendice
D’un de’ tuoi monti fertili di spade,
Niobe guerriera de le mie contrade,
Leonessa d’Italia,
Brescia grande e infelice.
Accese nuvolette di corallo
Rideano ancor per gli ampi
Spazi del cielo; ma col mesto riso
Del moribondo pio
Che accenna col sereno occhio un addio,
Movendo al paradiso.

II.

     E dal sentier che adduce
Giù da la selva io vidi
A la quieta luce
Venire una fanciulla
Pur sotto il fascio de le legne altera;
Bruna la faccia e il crine
E la pupilla nera,
Come frutto di spine.
Ella piangea. — “Dimmi l’affanno, o bella
Fanciulla, che ài nel core.”
Io le richiesi; ed ella
Risposemi: “Signore,
Ieri legato al par d’un omicida
M’ànno condotto a la prigione il padre,
Perchè lo colser là, con la sua fida
Canna che fulminava una pernice.

Io penso all’infelice,
Io penso a la cadente avola mia.”
E più non disse, e seguitò la via.

III.

     E dal sentiero alpino
Ch’esce dal bosco, io vidi
Al lume vespertino
Venire una seconda
Fanciulla carca in su la testa bionda
D’un fastello odoroso di ginepri.
Come il fuggente crin dei serafini
Che dal pennello uscíano di Correggio,
L’inanellato e sciolto
Volume de’ suoi crini
Carezzava con vago
Ondeggiamento lo sfiorito volto:
E del color del lago
Là dove è fonda al par de la marina
La queta onda turchina,
Era la tinta de le sue pupille
Meste, perchè piangea.
“O boscaiola bella,
Dimmi l’affanno che t’offende il core.” —
Io le richiesi; ed ella
Risposemi: “Signore,
Al limitar del mio povero ostello
Ieri saliva il cupido esattore:
Tutto mi tolse; i panni de la festa,
Le coltrici del letto, e fin l’anello
Che mi lasciò, siccome

Un talismano che mi serbi onesta,
Innanzi di morir la madre mia.”
Mise un sospiro e seguitò la via.

IV.

     E dal sentier che guida
Giù da la selva io vidi
A la tremola luce de la sera
Scender soletta un’altra boscaiola:
Scendere la costiera
Con orma così lieve
Da somigliar a spirito che vola.
Gli occhi cerulei in su quel bianco viso
Pareano due pervinche in su la neve;
Due rosette pronostiche di morte,
Fiorivano talora all’improvviso
Accese in mezzo de le guance smorte;
Nè so perché compresso,
Avesse intorno il suo fardel di stipe
Con rami di cipresso e di mortella.
Ella veniva tacita e piangea.
“Povera montanina tapinella,
Dimmi la cura che ti fiede il core.” —
Io le richiesi; ed ella
Risposemi: — “Signore,
Volgon due lune, dal paterno ostello
Mi rapîro un fratello
Ch’era il mio amore. E poi
Che gli ebbero recisa
La bella chioma, al fianco
Gli cinsero una spada,

E ricoverto d’una bianca assisa
L’àn balestrato in barbara contrada,
Dove mi dicon che la donna slava
Ai lividi mariti
I lini ancor di sangue italo intrisi
Deterge a un fiume che si chiama Drava;
E ier mi giunse la crudel novella
Che sconsolato ei muore
Pel desio de’ suoi cari
Paesi e de’ suoi lari,
Pel desiderio de la sua sorella,
Consunto dall’amore.” —
E tacque, e pianse, e divorò la via.
A me di dentro l’anima ruggía;
E seguitando con lo sguardo il passo
Di lei che discendea
Per un sentier d’inaridite foglie,
Vidi raggiante giù nella vallea
Farsele incontro l’angiol del Signore,
L’angelo che raccoglie
Lo spirto de gli estinti
Consunti dall’amore,
Il quale, aprendo il nitido mantello
Fiorito di giacinti,
Le fea veder che sotto si posava
La benedetta, colta in su la Drava
Anima del fratello.

V.

     “O peregrino Spirito cortese,”
Dissi movendo al loco

Dov’era quel celeste che m’intese,
“Tu messagger, che salirai tra poco
Per iscala di stelle a la serena
Maestà dell’Eterno, e tu gli reca
Queste tre pure, ardenti
Lagrime d’innocenti,
Raccolte adesso ne la valle bieca:
E digli, che da secoli si piange
In questa patria; che dal mar, dal monte
E da la indarno fertile pianura,
Per quanto abbraccia l’italo orizzonte,
Esce perpetua un’aria di sventura;
E un grido di preghiera
D’un popolo che spera
Veder cessato il disonesto oltraggio
Del deforme servaggio.
Digli, che scende da le rezie rupi
Da troppo lunga etade
Nata su campi d’infeconde arene
Una gente mendica
Maestra di catene,
Che trepida e superba, e con le spade
In pugno, si nutrica
Qui de le nostre biade
Avidamente. E digli
Che l’oro invola dai palagi, il pane
Da gli abituri, i figli
Dal sen materno; e multa
I nobili sospiri;
Ai generosi insulta
Coi ceppi e coi martíri,
E sul palco li uccide
Perfidamente, e ride.

Cortese messaggiero,
Salito ai cieli, interroga l’arcana
Divinitade, e se all’Italia è avversa,
Deh! fa’ ch’io sappia il vero:
Poi, rifacendo il calle,
L’ingiocondo tuo volo a questa valle
Subitamente volgi;
Vedrai dentro una porta
Deposto il frale di persona morta;
E tu di sotto l’ale
Clementi la mia stanca anima accogli.”


Sant’Ambrogio, 11 dicembre 1857.
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