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PEL TREMUOTO IN LUCANIA
salmo
Signore! I tuoi clementi occhi dechina
Su le ripe Lucane, ove la vita
Fra il terror si dibatte e la ruina!
Scapigliata una gente e sbigottita,
Ignuda fugge il tuo divin furore5
E per gl’infermi campi erra smarrita!
Un degli angioli tuoi manda, o Signore,
Che mova incontro ai trepidi fuggenti,
E temperi pietoso il tuo rigore!
Giù nei tonanti oceani latenti10
De l’universo foco omai ritorni
Questo indomato scotitor di genti!
Assai mirò di sconsolati giorni
La mia terra natìa, quando il ridesto
Vulture scosse i vaporanti corni:15
E un improvviso tremito rubesto
Melfi sovverse e i prossimi casali,
Cui fean polvere e sassi un vel funesto!
Assai ti piacque disfrenar di strali
Su quelle rupi! Assai corse di pianto20
Ai curvi d’Eraclea seni vocali!
Ecco pe’ monti di Lucania, o Santo,
Quanto novo dolor, quanto spavento,
Quanta strage diffusa in ogni canto!
Ier su quei monti, che pareano argento25
Radiante, cadea limpido il sole,
E l’aria era tranquilla e basso il vento:
E una luce di rose e di viole
Soavemente iva a ferir lontana
Borghi, rupi, foreste, archi e chiesuole;30
E muta per la varia erta montana
Salìa la sera, e la pace notturna
Su la industre scendea gente Lucana.
Ahi! la nova reddìa luce diurna,
E una grama schiarò gente tapina,35
Che fuggìasi tremante e taciturna!
Signore! i tuoi clementi occhi dechina
Su le rupi Lucane, ov’oggi impronti
Sì grande orma di lutto e di ruina!
Un profondo sospir misero i monti,40
Mentre sparso di stelle il ciel ridea,
E cupamente ribollir le fonti:
E un subitano mugghio indi correa
Di foresta in foresta, e torba l’onda
Spaventata fuggìa per la vallea!45
Le montagne balzâr su la profonda
Base commote, ed al tremor mugghiante
Da tre mari ondeggiò l’Itala sponda!
E che terror!... che morti in quell’istante!...
Tu solo, onniveggente occhio di Dio,50
Sovra tanti morenti eri vegliante!
Oh almen tu gli abbi miserante e pio
Ricevuti, o Signor, nel tuo perdono
Color, cui quella notte ultima uscìo!
De le muraglie rovinanti al tuono55
Subitamente ei si trovar tremanti
De l’eterna giustizia innanzi al Trono!
Non riguardare, o Dio, se deliranti,
Se impreparati li trovò la morte,
Se impreparati ei ti salir d’innanti!60
Non i supremi indugi ebbero in sorte,
Gli sfortunati! e non questa divina
Luce che i moribondi aman sì forte!
Signore! I tuoi clementi occhi dechina
Su le rupi Lucane, ove un deserto65
Popol t’invoca ne la sua ruina!
Di polvere e di pianto eccol coperto
Guatar da lunge i ruderi fuggiti,
O tornarvi tremante a passo incerto!
Sforza i cuori inclementi, e movi i miti,70
Sì che ai grami superstiti non manchi
Lo tetto e ’l pan, che a Te chieggon smarriti!
L’altrui pietade ne la tua s’infranchi,
E più splendida voli e generosa
In soccorso di lor miseri e stanchi!75
E ormai rapidamente e senza posa
Per l’elettriche fila ella balena
Calda nunzia di aita ed operosa!
De lo stesso elemento, onde sì piena
Sciagura uscìa, questa Pietà si vale80
E i lamenti raccoglie e li rimena!
Deh! sia l’aita a la miseria eguale!
Deh! se muto è l’amor, muovane almeno
La compresenza del terribil male!
Trema a tutti peranche il cor nel seno:85
Però che ancora di frequenti crolli
Dal Tronto al Lilibeo balza il terreno!
E qui, per questi profumati colli
Vanno insonni le notti, e ognun rigira
Gli occhi al Vesevo spaventati e molli!90
Al Vesevo che vampe anco respira
Più largamente, e i perduranti accusa
Del sotterraneo foco impeti e l’ira!
Che val, Signor, che tutta erri confusa
Per la città la gente e si addolori,95
Se al grido altrui, quanto al soccorso, è chiusa!
Che val che di pietà fremano i cuori,
Se la man de’ frementi ancor non piove
Sui rovesciati alberghi i suoi tesori!
Il soprastante orror sì poco move100
Il nostro cor, che la pietà vicina
Parne di cosa che si pianga altrove!
Signore! I tuoi clementi occhi dechina
Su le montagne mie! Converti gli occhi
Su quei mucchi di estinti e di ruina!105
Tu, Celeste Bambin, che, se li tocchi,
Fumano i monti, e tremano prostrati
Quasi mansi arïeti ai tuoi ginocchi!...
Tu volgi a le mie valli i tuoi rinati
Sguardi! chè in esse la zampogna è muta,110
Che i tuoi santi lenìa sonni beati!
La verginella che venìa vestuta
De’ suoi veli festivi al tuo fenile,
Fra le orrende macerie andò perduta!
Nel suo limpido sonno e giovanile115
La tua notte d’amor forse sognava
Quando morte le franse il cor gentile!
A quanti il tuo Natal, Gran Dio, raggiava
Nel divoto pensier, che no ’l vedranno
Doman! chè morte (e qual morte!) li grava!120
Che pietà desolata e quanto affanno
Su le capanne incomberà domani!
Quanto silenzio al tuo Natal quest’anno!
Signore! I tuoi potenti occhi sovrani
Su le mie valli fulminate inchina,125
E più lucenti i delubri Lucani
Risorgeran da la fatal ruina!
A’ 22 dicembre 1857.