< Canti (Sole)
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Sulla tomba di Alessandro Poerio
Romanza Il Cantico dei Cantici recato in versi

SULLA TOMBA
di
ALESSANDRO POERIO




Poi che la patria carità v’ispira,
     Si compia, alme bennate, il vostro intento:
     Altar di gloria, di vendetta e d’ira
     S’alzi al guerrier di Mestre un monumento.
     Devoto al culto dell’Ausonia lira,5
     Io mesco alla vostr’opra alcun concento;
     Io presso al marmo sepolcral mi assido,
     E a voi, figli d’Italia, innalzo un grido.

Bella è la tomba del guerrier; divina
     Perpetua luce marzïal vi splende:10
     Il navigante di lontan la inchina,
     Per essa il prode di valor si accende:
     La rispettano i Nembi e la Rovina,
     Più cara il Tempo ai posteri la rende;
     Ch’ove ne sperda le colonne infrante,15
     Ne fa sacra la polve al viandante.

Bella è la tomba del guerrier: prudenti
     Vecchi le fan corona alla tard’ora;
     Leggono in essa i giovinetti ardenti
     Pel paese natal come si mora.20

     Presso la tomba del guerrier non senti
     Quella mestizia sepolcral, che accora;
     Ivi la morte d’ogni orror si spoglia
     E mille petti ad incontrarla invoglia.

La morte è carca di spaventi e pene25
     Quando per morbi i nostri letti invade,
     Ma quando presta e inopinata viene
     Sovra la punta di cozzanti spade;
     Un sovrumano incanto in sè contiene,
     Quasi fanciulla d’immortal beltade;30
     Fra l’armi esulta scapigliata e ride,
     E nel delirio de’ trionfi uccide.

O fratelli nell’ira e nella speme,
     Dunque l’opra risponda al vostro intento,
     Perchè d’un prode le reliquie estreme35
     Abbian di eletti marmi un monumento.
     Balda sovr’esso e sconsolata insieme
     Segga Italia in guerrier paludamento,
     Colle insegne del braccio e del pensiere
     Croci, seste, volumi, arpe e bandiere.40

Ma non sia questo, Itala gente, il solo
     Onor renduto a chi morìa pugnando.
     Finché d’Italia le marine e il suolo
     Servono ai campi del tedesco brando,
     E noi staremo a consumarne in duolo45
     Piangendo sempre e monumenti alzando,
     L’onor del pianto, de le tombe il culto
     È a noi vergogna ed agli estinti insulto.


Nelle felici età, quando più forte
     La virtù greca e l’ira ardea nei cuori,50
     Rimanevan le donne entro le porte
     L’urne de’ prodi a coronar di fiori:
     Gli uomini chiusi in trionfal coorte
     Uscian gli estinti a vendicar di fuori;
     Poscia tornando dal sanguigno agone55
     Cingean quell’urne e v’appendean corone.

Sia delle donne il pianto: a noi le spade
     Splendan nel pugno, a noi parli vendetta:
     Forse matura non tornò l’etade?
     Che si spera, o speranti, e che si aspetta?60
     Speriamo or noi che l’Itale contrade
     Difenda Iddio coll’immortal saetta?
     Cogli operosi è Dio, nè volge il guardo
     Sull’affanno del pigro e del codardo.

Potea d’un cenno dal Caos profondo65
     Chiamar la terra, e sette dì pur volle:
     Potea redimer con un guardo il mondo;
     E diede sangue sul nefando colle:
     Onnipotente, Ei sobbarcossi al pondo
     De la fatica, e imporporò le zolle;70
     E noi misero fango, abbietti vermi,
     Vogliam francarne sonnolenti e inermi.

Di forza i lombi Ei non ne cinse invano,
     Non ne die’ braccia a trascinar catene;
     Nè vanamente questo incendio arcano75
     Di libertà ne pose entro le vene;

     Nè invan, morendo, apprese al germe umano
     Che sol per sangue in libertà si viene;
     Nè invan nel mare de’ consigli sui
     Ne die’ quest’alma, che somiglia a Lui.80

Se noi, credenti, come siam, nel Cristo,
     Sarem da meno d’un pagan guerriero,
     De’ forti il Dio, pria che sottrarne al tristo
     Servaggio, onde abbiam grave anche il pensiero,
     In fondo al Ciel dagli Angeli fia visto85
     Gli occhi ritrar dal nostro vitupero;
     Onde novellamente Ei non si penta
     D’aver fatta la Terra, indi redenta.

Più che altri, noi, se languirem codardi,
     Stancata avremo la Pietà Divina:90
     Abbiam tre mari e l’Alpi a baluardi,
     Abbiam le glorie dell’età latina,
     E l’isole e i vulcani e i più gagliardi.
     Geni e del mondo la città regina;
     Siam confortati da un April perenne,95
     Dell’Occidente abitiam l’Edenne!...

Or dove son gli Arcangeli pugnanti
     Sulle porte di questo Eden divino?
     Ove i forti leon schierati innanti
     A questo Esperio incantator giardino?100
     Qui non ascolti che querele e pianti,
     E rampogne al Tedesco ed al destino!...
     Ma con quest’armi in che potran giovare
     E l’isole e i vulcani e l’alpi e il mare?


Guerra ovunque si grida: e guerra è questa?...105
     Pochi fra tanti milion d’ignavi,
     Pochi forti, sol pochi! alzan la testa,
     E in disperata guerra imitan gli avi.
     Guerra fatal, più che il servaggio infesta,
     Che in disugual certame annienta i bravi.110
     O cresca, o cessi, onde non tolga a noi
     Finanche il germe produttor d’eroi.

Guerra fatal per cui malignamente
     Grida il Tedesco dileggiante e bieco:
     — Tutto, codesta nazion demente,115
     Per ricacciarmi nei miei monti, ha seco;
     Pur nel suo grido teatral fidente
     Spuntar s’avvisa i brandi miei coll’eco!
     Gridi a sua posta: io la combatto e rido,
     E a le sue mense vincitor m’assido. — 120

Così, per Dio, quest’irrisor non disse
     Sui campi di Legnano al tempo antico,
     Quando la barba per furor si scisse,
     Vinto fuggendo, il fulvo Federico.
     Allor, composte le fraterne risse,125
     Forte Italia s’alzò contro al nemico,
     E volle e vinse! Oggi seguendo altr’orme,
     Or piange, or grida, or pargoleggia, or dorme.

Oh vitupero! — E fosse questo almanco
     Il sol fra tanti, onde siam carchi e brutti,130
     Siccome popol per gran guerra stanco,
     Ineccitati da cotanti lutti,

     Alternamente dal Britanno al Franco
     Siam libertade a mendicar ridutti;
     E tanto il nostro intendimento è cieco,135
     Che v’ha chi speri a redentor l’Austrieco.

Ahi perchè tali! Con dimesse fronti,
     Quasi colà non sian figli d’Adamo,
     Sogguardando oltremari ed oltremonti,
     Ivi la nostra libertà speriamo:140
     Ed esser ivi le inesauste fonti
     Del nostro mal per lunga età sappiamo:
     Lo sa Venezia, la città di Giano,
     Firenze, Pisa, e più di lor Milano!

Quante volte per Dio, de’ padri spenti145
     Fin dai sepolcri non gridò la voce:
     Da libertà straniera, Italia, astienti;
     Chè questa passa, come vien, veloce,
     Chè lo stranier per variar d’eventi,
     Ti toglierà, ti rimporrà la croce.150
     Ei se conviengli, oggi ti gitta un pane,
     Se nuoce a lui, tel niegherà dimane!

Io non insulto ai forti. — Anche il Britanno
     Palpiti generosi alberga in petto:
     Soccorrevole il Franco al nostro affanno155
     Talor die’ segni di fraterno affetto —
     Ma le vicende umane in guisa vanno,
     Che sempre al protettor serva il protetto:
     Guai per un popol lungamente oppresso,
     Se non invoca a protettor sè stesso!160


Allor che giorni splenderan divini,
     Ed una patria ed una lingua avremo,
     Nè più sul mondo esisteran confini,
     Lo stranier soccorrente abbracceremo.
     Ed ove anch’oggi per celesti fini165
     Ei sovvenir ne debba in tanto stremo,
     Tutti armati ne trovi e combattenti
     Onde a un tempo ne aiuti e ne paventi.

E sian menzogne le memorie antiche;
     E serva lo straniero al nostro dritto.170
     Che? Per terra non sua l’aste nemiche
     Ei sfiderebbe in marzial conflitto,
     E noi dal grembo delle nostre amiche
     Vedremlo in campo agonizzar trafitto?
     Ben l’universo griderìa sdegnato175
     Che fu giusta con noi l’ira del fato!

Tolga tant’onta Iddio. Se ancor non hai,
     Popol d’Italia, alcun coraggio in seno,
     Pretendi men dagli altri; e il merto avrai,
     Che dessi ai giusti sventurati almeno:180
     Cessa dai gridi e dai perpetui lai;
     Senza essi fora la vergogna meno!
     Fra l’ire almanco di tua sorte infida,
     Ti compianga la terra e non t’irrida!

Non siasi indarno tanto sangue effuso185
     Da pochi ardenti, generosi eroi!
     Oh pel guerrier, che in quest’urna fia chiuso,
     Figli d’Italia, io mi rivolgo a voi!

     Ch’egli non abbia a maledir deluso
     Al sangue sparso pei fratelli suoi!190
     L’eroe più sconsolato egli non sia
     Fra i martiri di Grecia e d’Ungheria.

Quest’Italia dorò degl’innocenti
     Suoi sonni il sogno: a questa Italia aderse,
     Adulto nella vita, i suoi concenti:195
     D’Italia pianse ne le sorti avverse:
     Tutto sfidò per lei: tutt’i tormenti
     Che sa crear la tirannia, sofferse:
     E sempre in lei tenne pensiero e ciglio
     Fra gli orror de la guerra e dell’esiglio.200

Ei non volò fra l’armi, uso com’era,
     Penna ed arpa trattar, perchè cadesse
     Sotto ai suoi colpi l’inimica schiera,
     E in lui la patria il suo campion si avesse;
     Altra speranza il mosse, e lusinghiera205
     Fra l’armi e il sangue perigliante il resse:
     Sperò che fosse la sua morte ardita
     Al cor dei pigri incitamento e vita.

Ma — poeta guerrier — quando cadevi
     Innanzi all’ira dei tedeschi acciari,210
     E nel nome d’Italia il dì perdevi
     Ai suoi cieli converso ed ai suoi mari,
     O poeta guerrier, tu non sapevi
     Quanto noi siam del nostro sangue avari,
     Tu non sapevi che devota ai marmi215
     Italia abborre la battaglia e l’armi!


Or che parlo più d’armi e di battaglia?
     Noi siam di tutto avari e ingenerosi!
     Delle donne e dei figli or sol ne caglia,
     Di campi arati e dei tesauri ascosi:220
     Importa forse che doman ne assaglia
     Il Tedesco sprovvisti e inoperosi?
     Quando verrà, nei suoi rapaci artigli
     Porrem le donne, le derrate e i figli.

E liberi sarem! Mora frattanto225
     Di Venezia la schiera e invan ne chiame!
     Spasimi senza pane e senza pianto,
     Qual fosse di pirati un’orda infame.
     Già su quel popol dai travagli affranto
     Più che il nemico acciar puote la fame.230
     A noi danze e teatri, a noi tesori,
     A quel popol guerrier fame e dolori!

Freme il Canuto Eroe1 poggiato ai fianchi
     Dell’alato Leon, medita e freme:
     La man cacciando nei capelli bianchi,235
     Guarda d’Italia le sciagure estreme.
     E perchè i suoi d’alcun conforto infranchi
     Talor dà segni di novella speme;
     Ma chi può dir le angosce e l’infinito
     Profondo lutto di quel cor tradito?240

Canuto Eroe! Quando sarai sotterra
     Martire illustre della nostra fede;

     Quando fia vana, anzi fatal, la guerra,
     Di splendido sepolcro avrai mercede!
     Altro omai non sa dar l’Itala terra245
     Che tombe, incensi e mortuarie tede;
     Son queste le sue guerre e i suoi trofei:
     E il dican tanti che morir per lei.

Ma tu dura, o guerrier! — Venezia dura;
     E noi di nuova carità provvedi:250
     Tu che ti avesti nella tua ventura
     Tutte le gemme d’Oriente ai piedi;
     Per quest’Italia, che di te non cura,
     Mendicando pel mondo un pan già chiedi!
     Eroina del mar! Siegui i tuoi fati;255
     Nè ricordar sul tuo cammin gl’ingrati.

Se potesse l’orror per gl’inuditi
     Nuovi misfatti d’una gente ingrata
     Chiamar gli estinti dagli eterni liti
     A ragionar nella favella usata,260
     Fra questi marmi a monumento uniti
     Di Poerio verrìa l’ombra sdegnata;
     Nè resister potrebbe un’alma sola
     A le saette della sua parola.

— Io non chieggo sepolcri, io non pretendo265
     Onor di marmi, nè di laudi ho sete:
     Se per voi vuolsi rimertarmi ergendo
     Ai miei mani un sepolcro, e voi l’ergete:
     Io grazia alcuna d’un tal don non rendo,
     Che voi stessi, o m’inganno, a vil tenete:270

     Qual merto ha l’urna d’un guerrier fra vivi,
     Che son dell’armi e della guerra schivi?...

Tutta Italia riarda in una fiamma,
     Non dia mai posa all’invasor protervo,
     Compia col ferro di tant’anni il Dramma,275
     Non sia più patto fra tiranno e servo:
     Ove palpiti un uom, ch’abbia una dramma,
     Di sangue in petto e ne le braccia un nervo
     Prenda l’armi e combatta! E allor quest’ossa
     Superbiran dalla marmorea fossa!280

Guerra, guerra, per Dio, guerra mortale,
     Insistente, feroce, unica, estrema!
     Ogni città sovrana, ogni casale
     L’ultima stilla del suo sangue sprema!
     Come Ocean per turbine ferale,285
     Quant’è l’Italia si convella e frema!
     Un impeto concorde! Un trar di spade!
     E libere saran queste contrade!

E chi per sesso e per età mal puote
     Nella campal giornata empier le file,290
     I suoi tesauri generoso or vuote
     Per chi combatte la potenza ostile;
     Preghino Iddio le vergini devote,
     O s’armi anch’essa la beltà gentile:
     Ognun renda la vita al suol natio,295
     Ai posteri la fama, e l’alma a Dio!

S’altro desio vi muove, io maledico
     A questa tomba, che per me si eleva!

     Pria che venga il Tedesco e l’impudico
     Femmineo amplesso e il vostro acciar riceva,300
     Abbattete quest’urna; ond’ei nemico
     Non vi si segga, ed irrisor vi beva!
     Onde la pipa ei non accenda a queste
     Funeree lampe che su me poneste!

  1. Guglielmo Pepe.

Note

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