< Che cosa è l'arte?
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Lev Tolstoj - Che cosa è l'arte? (1897)
Traduzione dal russo di Anonimo (1904)
L'arte vera
IV VI


Capitolo V.


L’arte vera.


Ma come avvenne che l’arte non religiosa, un tempo appena tollerata, nella nostra età sia stata favorita a condizione che ci procurasse piacere?

Ecco in breve come sì può spiegare il fatto. La stima dell’arte, cioè di quanto valgono i sentimenti che essa propaga, dipende dal concetto che ci formiamo della vita e del suo significato, e di quello che in essa ci par buono o cattivo. E la scienza che distingue il buono dal cattivo porta il nome di religione.

Il genere umano avanza nel progresso innalzandosi da un concetto inferiore, parziale e oscuro della vita, ad altri più elevati, più comprensivi, più chiari. In codesto movimento del progresso, come in tutti i movimenti, gli uomini sono guidati da certi loro capi, che intendono meglio degli altri il significato della vita; e tra codesti precursori ce n’è sempre qualcuno, che ha espresso il suo concetto personale più chiaramente, o più fortemente degli altri, tanto a parole quanto coll’esempio. La determinazione impressa al significato della vita da qualche uomo simile, accompagnata dalle tradizioni, dalle superstizioni, dalle cerimonie, che circondano sempre la figura dei grandi, è il costitutivo essenziale delle religioni. Esse rispecchiano il concetto che si formano della vita gli uomini migliori e più intelligenti d’una data età e d’una data società, il quale finisce per essere irresistibilmente adottato dalla società intiera. Perciò in tutti i tempi le religioni valsero a darci la misura dei sentimenti umani. Quelli, per cui l’uomo s’accosta all’ideale proposto dalla religione, e che armonizzano con esso, vengono ritenuti buoni, e cattivi quegli altri che allontanano l’uomo dall’ideale della sua religione.

Laonde se, come presso gli antichi Ebrei, la religione fa consistere il fondo della vita nell’adorare un Dio solo e sottomettersi alla sua volontà, i sentimenti di obbedienza alla legge divina son riputati buoni, e danno luogo all’arte buona, rappresentata dalle profezie, dai salmi, dall’epopea della Genesi. E si considera come arte cattiva tutto ciò che si oppone a quell’ideale, come a dire l’espressione d’un culto verso divinità straniere, e gli altri sentimenti incompatibili colla legge di Dio.

Invece nel caso dei Greci, quando la religione spiega il significato della vita riponendolo nella felicità terrena, nella forza e nella bellezza, si considera arte buona quella che esprime l’allegrezza e l’operosità della vita, e cattiva quella che ispira sentimenti di mollezza o d’avvilimento. Il significato della vita essendo riposto, come presso i Romani, nel collaborare alla grandezza della nazione, o, come presso i Cinesi, nel rendere onore ai maggiori, e perpetuare il loro genere di vita, si reputerà naturalmente arte buona quella che esprime la gioia del sacrifizio personale per il bene della nazione, oppure il rispetto verso gli antenati e il desiderio d’imitarli; e cattiva ogni arte che bandisca sentimenti opposti. Quando poi il significato della vita sta, come presso i buddisti, nel liberare l’uomo dal giogo dell’animalità, sarà buona l’arte che innalza l’anima deprimendo la carne, e cattiva quella che preconizza sentimenti atti a favorire le cupidigie materiali. In ogni età e in ogni società vige un senso religioso, comune a tutti, del buono e del cattivo, e serve di stregua a giudicar del valore dei sentimenti espressi dall’arte. Così avveniva presso gli Ebrei, i Greci, i Romani, i Cinesi, gli Egiziani, gl’Indiani; e così fu anche tra i primi cristiani.

Il Cristianesimo dei primi secoli non riconosceva per arte buona che le leggende, le vite dei santi, i sermoni, le preghiere, gl’inni, tutto quello che esprimeva l’amore per Cristo, l'ammirazione per la sua vita, il desiderio d’imitarlo, la rinunzia ai piaceri del mondo, l’umiltà, la carità; e tutte le opere artistiche ispirate a sentimenti di godimento individuale erano ritenute cattive e perciò condannate; sovrattutto la plastica non era ammessa che col valore di simbolo, ed era condannata tutta l’arte pagana. Così facevano i primi cristiani, che concepivano la dottrina di Cristo, se non del tutto nel suo vero senso, almeno sotto una forma diversa da quella corrotta e paganizzata, che rivesti più tardi la medesima dottrina.

Ma a lato di quel Cristianesimo a poco a poco se ne formò un altro, dipendente dalla Chiesa e più prossimo al paganesimo che non alla dottrina di Cristo. E codesto Cristianesimo di Chiesa conseguentemente alle sue dottrine cominciò a stimare ben altrimenti le opere d’arte. Poichè, ai principii essenziali del vero cristianesimo, che sono lo stretto rapporto di tutti gli uomini con Dio, la perfetta uguaglianza e fraternità di tutti gli uomini, l’umiltà e l’amore in luogo della violenza, avendo sostituito una gerarchia celeste analoga alla mitologia pagana, avendo introdotto nella religione il culto di Cristo, della Vergine, degli Angeli, degli Apostoli, dei Santi, anzi anche delle loro imagini, diede vita a un’arte che esprimeva alla meglio questo nuovo ideale.

Codesto Cristianesimo era di certo lontanissimo dalle dottrine di Cristo, e inferiore persino al concetto che avevano della vita certi Romani, quali furono gli Stoici, o l’imperatore Giuliano; ciò nondimeno fra i barbari che l’accoglievano, rappresentava sempre alcunchè di superiore al loro antico culto di dei ed eroi nazionali, di spiriti buoni e cattivi. E l’arte rampollata da questa religione esprimeva l’amore per la Vergine, per Gesù, per i Santi e gli Angeli, la cieca obbedienza ai dogmi, la paura delle pene d’inferno, e la speranza dei gaudii celesti; e ogni arte in opposizione con quella era creduta cattiva.

Quell’arte, sebbene fondata sopra un tralignamento del Cristianesimo, era arte vera, poichè corrispondeva al concetto religioso degli uomini tra i quali fioriva. Gli artisti del medio evo attingendo i loro sentimenti alla sorgente popolare, e rendendoli coll’architettura, colla pittura, colla musica, colla poesia o col dramma, erano veri artisti, e le loro opere, secondo l’ufficio delle opere d’arte, trasfondevano i loro sentimenti in tutta la comunità che lì circondava.


Così procedettero le cose, finchè le classi nobili, ricche e colte della società europea cominciarono a dubitare che non fosse vero il concetto della vita espresso nel Cristianesimo ufficiale. Allorchè dopo le crociate e il culmine della potenza dei Papi, quelle classi poterono attingere al senno degli autori classici, e riconobbero, da una parte il buon senso e la chiarezza degl’insegnamenti greci, dall’altra l’incompatibilità della dottrina ecclesiastica colle massime di Cristo, trovarono impossibile continuare a credere nella dottrina della Chiesa. Tuttavia rimasero in apparenza ligie alle forme ecclesiastiche, ma solo per inerzia o per conservare la loro influenza sul popolo, che nulla aveva perduto dell’antica fede e obbedienza. In realtà il Cristianesimo ecclesiastico aveva cessato d’essere la dottrina religiosa comune a tutti i cristiani. E le classi più colte si trovarono nella condizione dei Romani colti prima del Cristianesimo; non ammettevano più la religione delle turbe, senza essere in possesso di alcun’altra fede, che potesse sostituire per loro la dottrina della Chiesa, che avevano abbandonata.

Il solo divario era che i Romani, perduta ogni fede nei loro imperatori divinizzati, non potevano rifarsi alle mitologie ingarbugliate che avevano preceduto la loro, e furono costretti a crearsi un concetto nuovo della vita, mentre gli uomini del Rinascimento, dubitando del Cristianesimo ecclesiastico, non avevano da cercar lontano per trovare una dottrina migliore. Bastava che sfrondassero dalla dottrina di Cristo le alterazioni che la Chiesa aveva prodotto in essa. E così per l’appunto fecero parecchi, non solo i riformatori, Wiclef, Huss, Lutero e Calvino, ma eziandio i seguaci del Cristianesimo non ufficiale, i Paoliniani, i Bogomili, i Valdesi e altri. Però codesto ritorno al Cristianesimo primitivo non avvenne che da parte di gente umile e priva d’ogni potere temporale. Ci furono sì dei ricchi che, come Francesco d’Assisi, ammisero la dottrina di Cristo nel suo pieno significato e con tutte le sue conseguenze, e le sacrificarono i loro privilegi sociali. Ma la maggior parte delle persone appartenenti alle classi più elevate, sebbene alienate alle dottrine della Chiesa, non vollero nè poterono seguire quell’esempio, perchè l’essenza del vero Cristianesimo consisteva nell’ammettere la fratellanza e quindi anche l’uguaglianza di tutti gli uomini, cosa che avrebbe distrutto i privilegi che erano avvezzi a godere. E questi membri delle classi superiori, papi, re, duchi, e tutti i grandi della terra, rimasero così senza vera religione, e si contentarono di conservare le forme esteriori d’una religione, le cui dottrine giustificavano i privilegi cari a loro. E furono precisamente costoro, che essendo dotati di potere e di ricchezza pagavano e dirigevano gli artisti. E tra costoro appunto, si noti bene, sorse un’arte novella, che si misurava non più secondo la sua capacità a esprimere i sentimenti religiosi del tempo, ma secondo la bellezza, cioè il piacere che poteva procurare. Codesti ricchi e potenti, essendo oramai nell’impossibilità di credere a una religione riconosciuta falsa, come pure di ammettere il vero Cristianesimo che condannava il loro modo di vivere, furono senza volerlo ricondotti al concetto pagano che riponeva nel piacere personale il significato della vita. Allora tra le classi più elevate sorse quello che è chiamato il Rinascimento delle lettere e delle arti. Infatti l’età del Rinascimento rappresenta un periodo di scetticismo completo nelle classi superiori. Privi com’erano di fede religiosa, e di ogni norma per distinguere l’arte buona dalla cattiva, gli uomini di quelle classi adottarono la stregua del piacere personale. E una volta ammesso che il piacere, in altri termini la bellezza, fosse il criterio, si trovarono contenti d’aggrapparsi al concetto artistico — in fondo grossolano — dei Greci antichi. La loro nuova teorica dell’arte defluì direttamente dal loro nuovo modo d’intendere la vita.


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