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Niccolò Machiavelli - Clizia (1525)
Atto primo
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Palamede, Cleandro
- Palamede
- Tu esci sì a buon’ora di casa?
- Cleandro
- Tu, donde vieni sì a buon’ora?
- Palamede
- Da fare una mia faccenda.
- Cleandro
- Ed io vo a farne un’altra, o, a dire meglio, a cercarla di fare, perché s’io la farò, non ne ho certezza alcuna.
- Palamede
- È ella cosa che si possa dire?
- Cleandro
- Non so, ma io so bene che la è cosa, che con difficultà si può fare.
- Palamede
- Orsù, io me ne voglio ire, che io veggo come lo stare accompagnato t’infastidisce; e per questo io ho sempre fuggito la pratica tua, erché sempre ti ho trovato mal disposto e fantastico.
- Cleandro
- Fantastico no, ma innamorato sì.
- Palamede
- Togli! Tu mi racconci la cappellina in capo!
- Cleandro
- Palamede mio, tu non sai mezze le messe. Io sono sempre vivuto disperato, ed ora vivo più che mai.
- Palamede
- Come così?
- Cleandro
- Quello ch’io t’ho celato per lo adrieto, io ti voglio manifestare ora, poiché mi sono redutto al termine che mi bisogna soccorso da ciascuno.
- Palamede
- Se io stavo mal volentieri teco in prima, io starò peggio ora, perché io ho sempre inteso, che tre sorte di uomini si debbono fuggire: cantori, vecchi ed innamorati. Perché, se usi con uno cantore e narrigli uno tuo fatto, quando tu credi che t’oda, e’ ti spicca uno «ut, re, mi, fa, sol, la», e gorgogliasi una canzonetta in gola. Se tu sei con uno vecchio, e’ ficca el capo in quante chiese e’ truova, e va a tutti gli altari a borbottare uno paternostro. Ma di questi duoi lo innamorato è peggio, perché non basta che, se tu gli parli, e’ pone una vigna che t’empie gli orecchi di rammarichii e di tanti suoi affanni, che tu sei sforzato a moverti a compassione: perché, s’egli usa con una cantoniera, o ella lo assassina troppo, o ella lo ha cacciato di casa, sempre vi è qualcosa che dire; s’egli ama una donna da bene mille invidie, mille gelosie, mille dispetti lo perturbano; mai non vi manca cagione di dolersi. Pertanto, Cleandro mio, io userò tanto teco, quanto tu arai bisogno di me, altrimenti io fuggirò questi tuoi dolori.
- Cleandro
- Io ho tenute occulte queste mie passioni infino ad ora per coteste cagioni, per non essere fuggito come fastidioso o uccellato come ridiculo, perché io so che molti, sotto spezie di carità, ti fanno parlare, e poi ti ghignano drieto. Ma, poiché ora la Fortuna m’ha condotto in lato, che mi pare avere pochi rimedii, io te lo voglio conferire, per sfogarmi in parte, e anche perché, se mi bisognassi il tuo aiuto, che tu me lo presti.
- Palamede
- Io sono parato, poiché tu vuoi, ad ascoltar tutto, e così a non fuggire né disagi né pericoli, per aiutarti.
- Cleandro
- Io lo so. Io credo che tu abbia notizia di quella fanciulla, che noi ci abbiamo allevata.
- Palamede
- Io l’ho veduta. Donde venne?
- Cleandro
- Dirottelo. Quando, dodici anni sono, nel 1494, passò il re Carlo per Firenze, che andava con uno grande essercito alla impresa del Regno, alloggiò in casa nostra uno gentile uomo della compagnia di monsignor di Fois, chiamato Beltramo di Guascogna. Fu costui da mio padre onorato, ed egli, perché uomo da bene era, riguardò ed onorò la casa nostra; e dove molti feciono una inimicizia con quelli Franzesi avevano in casa, mio padre e costui contrassono una amicizia grandissima.
- Palamede
- Voi avesti una gran ventura più che gli altri, perché quelli che furono messi in casa nostra ci feciono infiniti mali.
- Cleandro
- Credolo; ma a noi non intervenne così. Questo Beltramo ne andò con il suo re a Napoli; e, come tu sai, vinto che Carlo ebbe quel regno, fu constretto a partirsi, perché ’l papa, imperadore, Viniziani e duca di Milano se gli erano conlegati contro. Lasciate, pertanto, parte delle sue gente a Napoli, con il resto se ne venne verso Toscana; e, giunto a Siena, perch’egli intese la Lega avere uno grossissimo essercito sopra il Taro, per combatterlo allo scendere de’ monti, gli parve da non perdere tempo in Toscana; e perciò, non per Firenze, ma per la via di Pisa e di Pontremoli, passò in Lombardia. Beltramo sentito il romore de’ nimici, e dubitando, come intervenne, non avere a fare la giornata con quelli, avendo in tra la preda fatta a Napoli questa fanciulla, che allora doveva avere cinque anni, d’una bella aria e tutta gentile, deliberò di tôrla d’inanzi a’ pericoli, e per uno suo servidore la mandò a mio padre, pregandolo che per suo amore dovessi tanto tenerla, che a più commodo tempo mandassi per lei; né mandò a dire se la era nobile o ignobile: solo ci significò che la si chiamava Clizia. Mio padre e mia madre, perché non avevano altri figliuoli che me, subito se ne innamororono.
- Palamede
- Innamorato te ne sarai tu!
- Cleandro
- Lasciami dire! E come loro cara figliuola la trattorono. Io, che allora avevo dieci anni, mi cominciai, come fanno e fanciulli, a trastullare seco, e le posi uno amore estraordinario, il quale sempre con la età crebbe; di modo che, quando ella arrivò alla età di dodici anni, mio padre e mia madre cominciorono ad avermi gli occhi alle mani, in modo che, se io solo gli parlavo, andava sottosopra la casa. Questa strettezza (perché sempre si desidera più ciò che si può avere meno) raddoppiò lo amore, ed hammi fatto e fa tanta guerra, che io vivo con più affanni, che s’io fussi in inferno.
- Palamede
- Beltramo, mandò mai per lei?
- Cleandro
- Di cotestui non si intese mai nulla: crediamo che morissi nella giornata del Taro.
- Palamede
- Così dovette essere. Ma dimmi: che vuoi tu fare? A che termine sei? Vuo’la tu tòr per moglie, o vorrestila per amica? Che t’impedisce, avendola in casa? Può essere che tu non ci abbia rimedio?
- Cleandro
- Io t’ho a dire dell’altre cose, che saranno con mia vergogna, perciò ch’io voglio che tu sappi ogni cosa.
- Palamede
- Di’ pure.
- Cleandro
- E’ mi vien voglia, disse colei, di ridere, ed ho male! Mio padre se n’è innamorato anch’egli.
- Palamede
- Chi, Nicomaco?!
- Cleandro
- Nicomaco, sì.
- Palamede
- Puollo fare Iddio?
- Cleandro
- E’ lo può fare Iddio e’ santi!
- Palamede
- Oh! questo è il più bel caso, ch’io sentissi mai: e’ non se ne guasta se non una casa. Come vivete insieme? che fate? a che pensate? tua madre, sa queste cose?
- Cleandro
- E’ lo sa mia madre, le fante, e famigli: egli è una tresca el fatto nostro!
- Palamede
- Dimmi: infine, dove è ridotta la cosa?
- Cleandro
- Dirottelo. Mio padre, per moglie, quando bene e’ non ne fussi innamorato, non me la concederebbe mai, perché è avaro, ed ella è sanza dota. Dubita anche che la non sia ignobile. Io, per me, la torrei per moglie, per amica, ed in tutti quelli modi ch’io la potessi avere. Ma di questo non accade ragionare ora. Solo ti dirò dove noi ci troviamo.
- Palamede
- Io l’arò caro.
- Cleandro
- Tosto che mio padre si innamorò di costei, che debbe essere circa uno anno, e desiderando di cavarsi questa voglia, che lo fa proprio spasimare, pensò che non c’era altro rimedio che maritarla ad uno che poi gliene accomunassi, perché tentare d’averla prima che maritata gli debbe parere cosa impia e brutta; e, non sapendo dove si gittare, ha eletto per il più fidato a questa cosa Pirro, nostro servo, e menò tanta segreta questa sua fantasia che ad uno pelo la fu per condursi, prima che altri se ne accorgessi. Ma Sofronia, mia madre, che prima un pezzo dello innamoramento si era avveduta, scoperse questo agguato, e con ogni industria, mossa da gelosia ed invidia, attende a guastare. Il che non ha potuto far meglio, che mettere in campo uno altro marito, e biasimare quello; e dice volerla dare ad Eustacchio, nostro fattore. E benché Nicomaco sia di più autorità, nondimeno l’astuzia di mia madre, gli aiuti di noi altri, che, sanza molto scoprirci, gli facciamo, ha tenuta la cosa in ponte più settimane. Tuttavia Nicomaco ci serra forte, ed ha deliberato, a dispetto di mare e di vento, fare oggi questo parentado, e vuole che la meni questa sera, ed ha tolto a pigione quella casetta, dove abita Damone, vicino a noi e dice che gliene vuole comperare, fornirla di masserizie, aprirgli una bottega, e farlo ricco.
- Palamede
- A te che importa che l’abbia più Pirro che Eustacchio?
- Cleandro
- Come, che m’importa? Questo Pirro è il maggiore ribaldello che sia in Firenze, perché, oltre ad averla pattuita con mio padre, è uomo che mi ebbe sempre in odio, di modo ch’io vorrei che l’avessi più tosto el diavolo dell’inferno. Io scrissi ieri al fattore, che venissi a Firenze: maravigliomi ch’e’ non venne iersera. Io voglio star qui, a vedere s’io lo vedessi comparire. Tu, che farai?
- Palamede
- Andrò a fare una mia faccenda.
- Cleandro
- Va’, in buon’ora.
- Palamede
- Addio. Temporéggiati il meglio puoi, e, se vuoi cosa alcuna, parla.
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