< Commemorazione di Carlo Darwin
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Parole d’introduzione lette dal dott. Edoardo Fairman
Discorso

PAROLE D’INTRODUZIONE

lette

dal Dott. EDOARDO FAIRMAN





Signore e Signori,


È nell’animo nostro che il dimostrare gratitudine e venerazione verso coloro che più si sono adoperati nella ricerca della verità sia il primo indizio di un forte amore agli studi. Per questo, e perchè pensammo che a tutti sarebbe sembrato bello e gentile che noi giovani, nati ieri alla scienza, reverentemente onorassimo chi in quella spese tutti gli anni suoi, e seppe di tanto accrescerla, di tanta luce illuminarla, deliberammo di celebrare questa commemorazione, cui voi con sì squisita cortesia siete oggi intervenuti, e alla quale cresce solennità la presenza de’ nostri amati maestri, dà supremo decoro la parola eloquentissima e dotta dell’illustre prof. Mantegazza. Deve essere certamente pietoso spettacolo questo, — di vedere noi giovani lacrimanti sulla tomba d’un vecchio come persone che han perduto la loro guida sicura, l’alto esempio a cui mirare nel tentativo faticoso di raggiungere i sublimi ideali balenati tra i sogni ambiziosi di gloria o nei momenti in cui più forte e possente sentimmo il desiderio della scienza; — di vedere noi commossi dimostrar gratitudine alla memoria d’un grande, quasi a simbolo che, se anche i grandi debbon pur cedere alla dura necessità della morte, il loro pensiero non muore, ma vien raccolto e custodito dalle nuove generazioni come il seme che si sparge pe’ campi formatore di organismi novelli. Ma oltrechè un reverente ricordo dell’indefesso scienziato, la nostra cerimonia vuol essere una risposta all’accusa di apatia e di scetticismo che è vezzo lanciare sul viso della gioventù odierna. Anche noi, o Signori, abbiamo i nostri santi entusiasmi, anche in noi si agita inquieto un desiderio di perfezione, un bisogno prepotente d’idealità; il quale si esplica negli studi laboriosi, nel culto della scienza, nell’ammirazione reverente per tutti quelli che a viso aperto, onesti e valorosi, combatterono le grandi battaglie del pensiero. Gioia e tormento nostro è questo viaggio che da tanti secoli l’umana intelligenza fa — attraverso a regioni sempre nuove — alla ricerca del vero; e quando taluno nel faticoso cammino, fattosi nostro duce, ci trae a una vetta luminosa e di là ci addita più larghi orizzonti, irradiati di fulgida luce, lasciate che dal cuor nostro prorompa caldo e vivace l’inno della riconoscenza e del plauso!

Aver dischiuso si vasto campo alla scienza, aver dato al pensiero così valido impulso, costringendo tanti intelletti a scendere in lizza, a rinvigorire le forze loro nella battaglia che egli impegnò, sono tali meriti insigni che — si accettino o si rifiutino le ultime conseguenze del suo sistema — non possono non venire riconosciuti al Darwin da quanti ne hanno seriamente meditate le opere. La paziente analisi del naturalista è ivi messa a contributo per dar vita e vigore ad una sintesi meravigliosa, che pervade oggimai l’edificio intellettuale moderno, e infusa nel corpo della scienza ne agita la gran mole e vi spira per entro, — spirito nuovo e animatore. Potevamo noi lasciare che fuggisse dal mondo una tale intelligenza senza lamentarne il tramonto, potevamo serbarci indifferenti quasi non ci fossimo accorti che tanto uomo ci aveva abbandonati per sempre?

Ognuno sa come al loro primo comparire le opere più meditate e laboriose del Darwin trovassero ben pochi estimatori giusti e spassionati, e di quanta mai satira sieno state ragione, e con quanta facilità se ne sparlasse anche da chi forse non aveva diritto alla critica, perchè inetto a comprenderle: e benignamente si largheggiava di compassionevole tolleranza per un grande ingegno — oh quanto all’evidenza! — traviato. Ora forse non più, ma tempo addietro era cosa sollazzevole molto volgere in ridicolo, esagerare o snaturare nelle liete brigate e nelle conversazioni vivaci i teoremi della dottrina darwiniana; — e quante grasse risate non si son fatte sulla povera scimmia diventata uomo, e sul povero uomo affratellato alle belve! quanta mai allegria non scintillò fuori viva e acuta coi sùbiti raffronti nei colloqui degli amici, e quanti mai motti arguti non nacquero improvvisi dall’attrito delle facili discussioni, e si ridissero poi, chissà per quanto tempo, delizia a chissà quante persone! E intanto chi pietosamente coi fanciulli scorgeva una patria immortale oltre le stelle, forse credeva di contaminare l’anima pura e gentile piegando l’umile fronte alla scienza nuova e ripugnava forte dalle dottrine allora nate.

Contro tal modo indegno d’esame, contro tali pii e pudichi timori vuole essere protesta solenne questa odierna commemorazione, chiarendo noi per essa come davvero sieno da tenersi in altissimo conto i pensamenti del Darwin e come — non potendo la verità che essere fonte di bene — le rivelazioni del pensiero, qualunque esse sieno, si debbano accogliere senza preconcetti o paure e con quel discernimento libero e tranquillo che o le riconosce false e le abbatte o le rende veramente durevoli. Nel nome del Darwin noi glorifichiamo un bello e forte programma, noi dispieghiamo ai venti la bandiera della rivendicazione intellettuale, del progresso scientifico. Ed oggi che tante ruine ingombrano il mondo, nel mesto crepuscolo di tante fedi — spesso troppo presto nate e troppo presto svanite — sarà di buono e lieto augurio questa manifestazione di giovani che con tanta concordia qui convengono ad affermare una idea! E c’era infine argomento a ricordare Carlo Darwin il trovarci per avventura in questa illustre città, che fu mai sempre maestra di sapere e di gentilezza, alta ammiratrice e veneratrice di tutte le grandi intelligenze, qualunque ne fosse la culla, e che coll’esempio giornaliero insegna quanto vi sia di nobile nel degnamente onorare le glorie vere.

Chiamato dalla fiducia de’ miei compagni a presiedere il Comitato organizzatore di questa commemorazione, ho creduto che fosse dover mio di esporre quali furono gli intendimenti nostri nel promoverla, e dichiararli qui apertamente acciò fossero a tutti manifesti. Tale modestissimo ufficio io ho inteso di compiere parlando fino ad ora e con quella più spiccia brevità che mi era possibile, giacchè mi fa fretta di venir presto tra voi, ascoltatore del professor Mantegazza; al quale solo spetta di discorrervi delle virtù e delle opere dell’uomo che vogliamo oggi ricordare. Non posso però lasciar questo posto senza prima render grazie in nome dei miei compagni e mio all’illustre scienziato che non isdegnò di essere oratore per noi e volentieri affratellò al baldo nostro slancio giovanile il suo alto sapere e che sebbene circondato da tante cure, sebbene tornato appena dalle recenti peregrinazioni, trovò modo di soddisfare al nostro desiderio e di rendere così pieno di dottrina e gradito questo nostro convegno. E sien pure rese grazie infinite a voi, o gentili signore, amati maestri, illustri personaggi, cortesi signori, che voleste onorarci con la presenza vostra. Non è a dire di quanto conforto ci sia stato l’avervi visto con tanta sollecitudine corrispondere al nostro invito: tal fatto ci lusingava di non avere indarno acceso un fuoco che non avrebbe attecchito, e ci fa sperare che i nostri entusiasmi sieno davvero santissimi e seri, perchè trovano un’eco nel vostro cuore.

Nota. È debito di giustizia che io qui dichiari come a comporre queste povere parole mi abbia giovato di consigli e di opera il mio compagno di studi e carissimo amico dott. Eugenio Marini, col quale intendo dividere il plauso che esse incontrarono.

E. F.

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