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IX.
25 marzo 18....
Oh! potessi rivelarti il «tempio sereno» dove abita il saggio dopo le battaglie tragiche sostenute per conquistarselo! Se il volgo fosse men codardo e si sbigottisse meno sulla via dolorosa che conduce a quel paradiso dei liberi, oh! come tutti volerebbero con l’ardor del desiderio a quelle sommità beate! con quanta virtù sdegnerebbero i gioghi dell’oltretomba per affacciarsi all’infinito vivente! con quanto impeto di fede rinnovellata domanderebbero alla santa natura ed alle sue leggi eterne quella redenzione nel vero ch’è la più alta salute della ragione!
Le religioni ci deviarono, più o men tutte, dalla natura appunto perchè sono concette fuor dalle sue leggi e contro le sue leggi. Le religioni costituiscono tutte una, direi quasi, carta fantastica su cui l’uomo registra le demenze degli organi credendole rivelazioni di Dio. Ma un concetto scientifico della natura disfà la tela penelopea del sentimento. Anche qui, come sempre, è la natura che ci salva, e lo studio delle sue leggi che crea nel nostro cervello quel clima storico nel quale il fenomeno delle religioni diventa impossibile. Discacciato il sovranaturale dalla natura e dalla storia, donde potrebbero omai rigermogliare le religioni che vi si fondano tutte? Dove collocherai tu il demiurgo dell’universo se un di là dall’universo non c’è? Se la vita è un fenomeno eterno dell’essere eterno, che ne farai d’un creatore che la tira dal nulla in un’ora del tempo? che ne farai d’una provvidenza che pianta le leggi nelle cose, le governa a suo talento, le interrompe ad ogni lagrimetta di supplicanti? che vuol dir la preghiera innanzi la necessità delle leggi meccaniche?
L’astronomia colle sue nebulose feconde, co’ suoi cieli costellati nello spazio immenso, co’ suoi spettróscopi rivelatori della chimica siderale, tolse via per sempre il paradiso di Cristo. La geologia colle sue flore e le sue faune preistoriche, co’ suoi strati antichissimi, testimoni di mille rivoluzioni sepolte, fe’ disparire l’inferno medievale come un sogno atroce di fantasie sciagurate. La fisiologia colle sue scoperte istologiche, co’ suoi gruppi di cellule, co’ suoi centri nervosi, distrusse il mito d’uno spirito impaludato, non si sa come nè donde, negli organi, e disciolse la fede che ci dipingeva gli Elisi uranici al di là della terra. Il cielo è dapertutto; la terra è pur essa una parte di cielo destinata a dissolversi in un incendio del sole; la fauna umana è l’effetto d’una evoluzione di faune anteriori che diverrà, pur essa, un fossile pietrificato nei nuovi ipogei sul quale eserciterassi, per ozio, la curiosità dei venturi.
Tu dunque vedi che le religioni sono impossibili omai per un cervello moderno educate alla scuola scientifica della natura. L’avvenire le discaccierà tutte dal suo seno, e vivrà solo superstite a tanti naufragi quell’ideale che ciascuna età si trasmette di mano in mano come lampana di vita nelle panatenee cosmiche le quali si rinfrescheranno ad ogni stagione del tempo.
Oh! dimmi, non è bella, non è grande la nuova rivelazione della vita purificata dalle ombre tragiche dell’oltretomba? il paradiso dei liberi che portano Dio nel proprio cervello e partoriscono la giustizia di secolo in secolo, come un’eredità sana di spiriti consociati nel bene, non ti pare più degno d’essere conquistato della beatitudine inerte del paradiso cattolico dove non si va che per grazia, nel quale non entra la maggior parte del genere umano predestinata alle gemonie di Satana? Chi non sa creare Iddio nella propria coscienza e ne aspetta le rivelazioni fuor dalle leggi della natura, non comprenderà mai la dilettosa virtù del sagrificio che si esalta e si feconda in sè stesso come in un cielo di spirito, non sentirà mai scaturire dal cuor mondo le acque della salute.
Io t’ho raccontato ciò che provai nelle settimane dolenti del dubbio, allorquando mi pareva che la ruina della mia fede tirasse con sè la ruina della vita, eppure avvezzandomi a poco a poco agli insegnamenti austeri della natura, sentii distillarmi nella coscienza redenta una pace nuova come di chi partecipa alle serene leggi dell’essere e si ristora nelle rivelazioni certe della scienza. Non v’è paradiso migliore di quello che la scienza dischiude agli intelletti vigilanti nel vero. Le gioie più sincere e più alte dell’uomo sono le gioie scettiche, cioè quelle che derivano dall’intuizione scientifica delle cose non colorate da nessun prisma romantico, non travestite da nessun dogmatismo, non adulterate da nessun mito del sentimento.
Quel giorno che il Dio di mia madre mi sparì dalla ragione, fu, non te lo nego, uno dei giorni più disperatamente amari della mia vita. Ora comprendo meglio le cose e non mi lagno più di quella perdita. Al di là dal crepuscolo d’un Dio che tramonta, mi si discopre l’infinito dell’essere colle sue leggi eterne; io m’esalto in quello spettacolo e respiro più liberamente in un altro Dio consanguineo, per così dire, alle cose che lo producono ad ogni stagione del tempo: egli è la primavera arcana degli spiriti che vi si svernano, in lui l’universo si specchia e si corona come nell’ideale di sè. Se tu provassi la gioia ineffabile del partorire Dio, dilatandolo in te stessa, e trasmettendone agli altri la scintilla creatrice, benediresti la natura che la risveglia negli organi e la storia che la promove e la moltiplica con l’esperienza dei secoli.
Eccoti la mia fede, il mio cibo, la vita mia. So che l’ideale, anch’esso, fuggirà dal mio cervello e si spegnerà co’ miei organi; so che un giorno sparirà dalla terra, raccogliendosi forse in altri cieli ed in altri cervelli. Eppure io v’ho consacrato il miglior sangue dell’anima, e morrò devoto impenitente dell’eterno divino che sorge dalle ruine tragiche dell’umano. Addio.
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