< Confessioni d'un scettico
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VII IX

VIII.


22 marzo 18....


Vuoi tu ch’io narri la battaglia atroce che sostenni per conquistarmi la libertà dell’intelletto contrito dai gioghi celesti? chi vuol restaurare in sè stesso i danni patiti da una fede che lo divide dalla ragione e dalla scienza, e lo annega nelle visioni del sentimento ebbro d’assurdi, convien che s’apparecchi ad una guerra ostinata di cui gli rimarranno anche dopo la vittoria le cicatrici dogliose; convien che disfaccia ad una ad una le demenze che si accampano tenacemente nel suo cervello, e si cangiano in un abito dilettoso della ragione.

Le demenze della mia fede m’erano tanto care ed esercitavano in me tanta efficacia da non potermene distaccare senza che tutte le mie potenze si risentissero dello strazio. La religione cattolica costituisce un bel mondo fantastico che gira intorno al sentimento dell’uomo, lo affascina colle sue leggende, lo domina colla sua centralità, lo esalta co’ suoi misteri, per modo che la ragione obbediente s’addorme sotto il giogo di Dio, divenuto leggero e dolce. Ella ci trasferisce nel sovranaturale e nel miracolo, e ci avvezza a riguardare le cose attraverso un prisma d’oltretomba che le colora a sua somiglianza.

Provati a tor via dalla religione la sua parte fantastica ed ella ti si disfà tra le mani. La religione è un fenomeno che si produce fuor dalla scienza, e se la gitti, per così dire, in un’atmosfera scientifica tu la uccidi. Che resta omai del cristianesimo moderno dopo ch’ei fu costretto ad attraversare la filiera della ragione? Non ti parlo del cattolicismo papale giacchè tu ben sai ch’egli ha perduto ogni efficacia sugli spiriti educati al nuovo concetto della natura. Ei s’è concentrato nel suo passato che l’ha reciso per sempre dall’avvenire umano; sillogizzò con feroce logica i suoi dogmi, scavandosi il proprio sepolcro verso del quale si movono in pellegrinaggio i tartufi superstiti del medio evo. Ma il cristianesimo stesso da Lutero al Lessing, dallo Schleiermacher allo Strauss, dal Parcker al Renan, dallo Schwartz al Biedermann, senza pontefici, senza chiese, senza dogmi, può ben dirsi cangiato in un ideale romantico del sentimento ma non è più una religione; egli è un fenomeno storico sottoposto alle leggi stesse degli altri fenomeni. L’assurdo contro al quale repugna la scienza è il clima verace della fede. Il credo quia absurdum esprime il fenomeno profondo della religione meglio di tutti gli adultéri filosofici del mondo moderno. Oh! tu non sai forse la virtù dell’assurdo nella storia dello spirito umano; egli ci attira nelle sue reti e vi ci lega per modo che non ci vien dato spiccarsene se non dopo una lunga battaglia contro noi stessi. L’imperio ch’ei tiene pur oggi dopo tante vittorie scientifiche è immenso; e le religioni superstiti traggono di là quella efficacia che non avrebbero se fossero nate dalla ragione conscia di sè. Chi sa che nei laberinti del nostro cervello non s’annidi qualche occulta perversità d’organi che loro vieti per sempre la contemplazione sincera e sana del reale qual’è? perchè ci piace cotanto di pennelleggiare le cose col sentimento come se ciò ch’è dentro di noi costituisca la norma del vero? donde ci viene la brama infausta dell’assurdo in cui si perde e si annega ogni virtù di ragione? perchè sì tenace la resistenza dei fantasmi falsi, sì tarde e sì dolorose le conquiste scientifiche? perchè non è concessa che a pochi magnanimi l’epoptea redentrice del vero? perchè pur dopo la vittoria proviamo uno sbigottimento di noi stessi e ridomandiamo con lagrime il paradiso perduto? perchè mi commovo tutto e m’intenerisco a ripensare le settimane della mia fede, le ore tragiche del dubbio, ed il terrore che mi diè la nuova rivelazione scientifica? tu non sai forse quanto sia tormentoso l’interrogare quel Dio che ieri adoravi nel casto silenzio del cuore; il domandarci la prima volta: — perchè credo io? che è la natura? che è la grazia? che è Dio? a che la vita e la morte? a che la nemesi eterna di colpe trasmesse col sangue? a che la vendetta ed il sagrificio di un Dio? la caduta e la rinascita? —

Ahimè! il primo dubbio che ti trapela nello spirito annuncia sempre il dissolversi più o men presto della fede! è come un lampo che t’illumina gli abissi del pensiero sui quali affacciandoti provi quel ribrezzo doloroso che vien dalla solitudine nell’infinito. Quel cielo arcano che si sospendeva intorno a’ tuoi desideri si dilegua di subito come rapito dal vento del deserto; quelle speranze nudrite nelle dolci visioni dell’infanzia, consolate di lagrime virginali, benedette dalla pietà della madre che te le depose nel cuore, ti fuggono via come colombe esterrefatte dalla tempesta. Dal capo santo di Cristo ad uno ad uno tramontano i raggi della sua deità, e sulla croce abbracciata con sospiri ineffabili tu non vedi più il redentore del cielo e della terra, ma un martire della propria coscienza ebbra d’ideali impossibili. Il sovrannaturale co’ suoi terrori d’oltretomba, colle sue apocalissi messianiche, colle sue predestinazioni indeprecate, colle sue demenze ascetiche, co’ suoi cicli paradisiaci, ti si discioglie dall’intelletto, e ti trovi d’innanzi la natura co’ suoi gruppi meccanici, colle sue migrazioni eterne, colle sue leggi scettiche.

A quella rivelazione tragica mi si ribellò la parte di me stesso educata nelle speranze molli del cuore; l’avidità tormentosa ed acre che mi portava su tutte le vie della ragione mi cadde abbattuta come da subito colpo; io giacqui lungamente oppresso e come attonito della mia propria scoperta. Quella religione davanti alla quale s’era inchinata la mia mente come davanti ad un verbo infallibile, mi si mostrò niente più che un fenomeno della storia; quel Dio che adorai tanto non mi parve che l’eco della mia coscienza, ed io contemplava per l’ultima volta il crepuscolo d’un mondo che moriva per sempre.

Guardai quel crocefisso a piè del quale mia madre mi conduceva la sera ad inginocchiarmi ed a pregare insieme, e provai una tenerezza amara, un pentimento per doverlo abbandonare sì presto, uno strazio di memorie che mi s’affollavano intorno; mi chiusi il volto fra le mani, e stetti così muto ed impietrato in un dolore che non ha nome.

Oh! credi fa d’uopo che sia ben forte l’efficacia del vero se può dividerci da tante speranze, fortificarci nella battaglia d’un Getsemani atroce, avvezzarci a sorridere virilmente alla morte, sostenerci contro la guerra oscena di tanti codardi che antepongono al vero la pace. Addio.





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