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X.
2 aprile 18....
Tu mi domandi: L’ideale che adori non è frutto di quel cristianesimo che dici tramontato per sempre dalla ragione? La sete dell’infinito che ti divora non isgorga forse da quella fontana di Dio? il cristianesimo, sottratto all’assurdo de’ suoi dogmi, non contiene ancora le più alte virtù del sentimento?
Oh! no, pur troppo, te lo confesso con dolore; il cristianesimo non è più, per me, che un gran fossile della storia, nè contiene alcuno di quei germi fecondi che gli promettano il dominio dell’avvenire. Tu non dêi rifabbricartelo coi frammenti superstiti del medio evo, non vagheggiarlo col prisma romantico del sentimento, non adulterarlo con simboli filosofici, per comprenderlo veramente qual’è. Tu vorresti sottrarlo all’assurdo dei dogmi, purificarne lo scoglio ascetico, rifecondarlo nella circolazione della scienza moderna, ma che ti rimane di lui se ne rimovi il sovranaturale in cui vive, il dogma in cui si organizza, l’assurdo in cui si afferma? se il cristianesimo non è che un fenomeno storico come gli altri fenomeni, non potrà costituire la religione eterna dello spirito, ma una forma del sentimento che ripugna ad un concetto scientifico della natura.
L’ideale, come s’è maturato nell’evoluzione storica del mondo contemporaneo e trasmesso come una eredità vivente nel nostro cervello, è ben più efficace e più sano che quello che ci venne dai ginecei medievali. L’ideale moderno è un frutto della natura che vi si rivela nelle sue parti più alte e più vere, non una limosina della grazia; la redenzione dello spirito umano liberato dai gioghi celesti è ben più vasta che non l’apocalissi messianica del regno di Dio; nè si ottiene per effetto di sacramenti arcani ma per virtù d’intelletto maturato nel vero; non atterrando sotto l’imperio del dogma la libertà scientifica, ma promovendone le potenze, fortificandone gli ardimenti, dilatandone le conquiste.
Tutto ciò che da tre secoli si scoperse di leggi fisiche e storiche, disfece non solo il concetto ascetico del cristianesimo ma il concetto stesso di religione, come un sistema trascendente di cause e di effetti. Un cristianesimo senza dogmi, cioè senza assurdi, un cristianesimo come forma della ragione, sarebbe impossibile. Provati a gittare un vino spumeggiante e nuovo negli otri vecchi ed ei ti scoppierà in poco d’ora traboccando diffuso per terra. Il mondo contemporaneo è più grande del cristianesimo, ei l’ha già oltrepassato per sempre. Chi lo mantiene convertito in un simbolo più o meno romantico, può ben ingannarti col nome, ma il cristianesimo senza un Dio individuale, senza apocalissi messianiche, senza redenzione dal peccato, senza predestinazione di grazia, senza rinascita della carne, senza oltretomba, senza chiesa, e senza Bibbia, non è che un’ironia superstite di sè stesso.
Lo Schleiermacher, l’Hegel, l’Arnold, lo Zeller, lo Schwartz, il Parcker, il Renan, il Reville, adorano nel cristianesimo un ideale del sentimento moderno ebbro dell’infinito, ed attribuiscono a lui le velleità filosofiche della loro ragione, restaurando nel secolo decimonono il controsenso simbolico degli stoici verso il politeismo antico. La Riforma germanica che spostò il cristianesimo nella coscienza, credendo di restaurarne i primi concetti, lo disfece del tutto. Lutero lo distaccò dal papato medievale, e Strauss lo distaccò dalla ragione moderna. Qual parte vuoi che gli resti nell’avvenire umano? Egli ha già perduta fin d’oggi ogni efficacia scientifica; sulle più alte cime della ragione contemporanea risplende un ideale nuovo che non viene da lui. L’ideale della vita non dimezzata fra la colpa ed il riscatto, fra la carne e lo spirito, fra la terra ed il cielo; ma una, concorde di attività cognate e libere, che si moltiplicheranno nel tempo col sagrificio sereno di tutti. Addio.
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