< Confessioni d'un scettico
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XII XIV


XIII.


6 aprile 18....


Conosci tu la fraude che la natura collocò nel sentimento dell’uomo perchè si dimentichi in un’ora di sogno la catena che lo stringe alle sue leggi scettiche? Oh! benedetta fraude dell’amore nella quale ci lasciamo sdrucciolare tutti in un’ora ebbra dell’infinito! Chi non provò quell’ora non ha vissuto giammai. Il desiderio ci dissuggella per entro le sue fontane; un molle abbandono, una tenerezza vaga, una inquietudine inconscia, una voluttà languida, come se la vita ci apparecchiasse qualcosa d’inaspettato e di nuovo. Le potenze fino allora chiuse in una specie di sonno inerte, si disserrano risvegliate e commosse da un tepore dolce che le compenetra e le sverna in un riso sereno. Quel riso che ci esulta nell’anima rinnovellata noi lo riflettiamo nelle cose rinfrescandole nella gaudiosa primavera che ci cresce di dentro. Un ideale indistinto ancora ci si porge d’innanzi come visione fuggitiva; gli organi ci si commovono e ci si dischiudono come se aspirassero una vita più alta e più intensa. Son quelle le sacre settimane in cui la natura ci apparecchia per le sue nozze; ella ci sospende intorno al cervello un’aura d’illusione che ci affascina. La voce della sirena eterna che siede in mezzo alle cose ci chiama così soavemente che la resistenza si fa vana.

In una di quelle settimane tu m’apparisti, e l’ideale indistinto mi si dispiegò tutto nel tuo volto di donna. L’universo, in quel punto, mi si trasfigurò nel riso de’ tuoi occhi, e ciò ch’io vidi, ciò ch’io sentii in quel cielo saffico dell’amore, è una storia ineffabile che porto segnata nella miglior parte di me come testimonianza certa d’una visione dileguata per sempre.

Quante volte rinchiudendomi nelle memorie del cuore sospirai dietro a quel sogno! quante volte nelle notti insonni mi risorgevi d’innanzi a consolarmi il deserto della ragione! quante volte sulla via dolorosa del vero implorai come refrigerio un bacio della tua bocca! Ti ricordi le ore in cui posandoti in grembo la mia testa affaticata dal dubbio contemplava Dio sul tuo volto? Ti ricordi i silenzi arcani, la voluttà delle lagrime, l’ ardor del desiderio, il naufragio estatico degli organi pregni di vita? Ahimè! tutto ciò disparve, e nessuna forza può ridonarmi quelle ore di Dio!

Fu sogno che la natura sollevò in un istante trastullandosi nel mio cervello; essa ordì pietosamente le fila gracili della beltà per attirarmi nella sua fraude. Ed io la ringrazio se m’ha sottratto, almeno per un istante, alla cappa di piombo del dolore umano; se m’ha dischiuso, almeno in visione, il suo cielo; se distillò nel mio cuore le gioie nascoste ch’ella serba per i suoi devoti; se nel tuo volto mi discoprì l’infinito. Sognai, lo confesso, ma in quel sogno attinsi la poesia della vita, la virtù d’interrogare il vero, ed il coraggio di adempierne in me stesso i suoi santi decreti. Addio.




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