< Confessioni d'un scettico
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XXIII.


25 maggio 18....


Tu mi domandi ciò che mi pare dell’arte contemporanea, e s’io la credo tramontata per sempre col predominio scientifico del reale.

Nell’arte contemporanea c’è, non lo nego, una rivoluzione latente che ne cangia il contenuto e le forme. Noi ci sentiamo attirati verso un clima nuovo ed immenso che ci si apre d’innanzi; le grandi scoperte scientifiche della natura e della storia hanno spostato, per così dire, i poli della ragione. L’essere ci si rivela in un gruppo di moti che ascendono ad una forma più alta di sè stesso, ch’è quanto a dire all’ideale. Tra l’ideale ed il reale non v’è dissidio ma corrispondenza per modo che un ideale fuori del reale, un cielo fuor dalla terra è un controsenso.

Il realismo contemporaneo nell’arte non è che l’effetto del nuovo concetto scientifico delle cose. Ciascheduno di noi sa che egli è parte organica dell’universo, che la vita è una e si manifesta, si cangia, si trasmette nei fenomeni; che al di là del fenomeno, al di là del tempo, non v’è nessun centro di vita, che la vita germogliando dal moto, moltiplicandosi secondo le relazioni più vaste del moto stesso, non può nè comprendersi nè rivelarsi fuor dal reale. L’omuncolo della terra può ribellarsi alla costituzione meccanica dell’universo, come l’ha discoverto la scienza, ma ribellandosi alle leggi eterne dell’essere s’uccide nell’impotenza di sè.

Credi tu che l’arte si restauri con un ideale ripescato nei cimiteri ascetici? quel cielo a cui si volgono sospirando certi cristianelli annacquati che si dimezzano in seno la fede e la scienza, è disparito innanzi ai telescopi astronomici che ci svelarono l’infinito cosmico. Il nostro cielo verace è in mezzo di noi. Che è dunque l’ideale? non altro che la forma più alta del reale; non vien dal di fuori come una virtù piovuta negli organi moribondi, ma s’ingenera, si matura, si moltiplica perennemente negli organi che lo contengono e lo producono. È il nuovo Dio che ciascheduno porta in sè stesso ma che non siede in alcun cielo al di là della terra.

Se dunque il reale è sacro appunto perchè contiene l’ideale, cioè la miglior parte di sè stesso che si conquistò nell’esperienza degli organi, comprendi tu la paura di certi tartufi superstiti del mondo moderno, che annunziano disastri intellettuali e morali per il predominio del realismo nell’arte contemporanea? comprendi tu certe proteste novissime, quasi che incominci proprio il crepuscolo degli Dei e la ruina della convivenza sociale?

La protesta contro ciò che si dice, senza intenderlo, realismo contemporaneo non rimedia a nulla, mantiene un dissidio che dovrebbesi tor via, semina ipocrisie dannose, ed impedisce all’arte di rifecondarsi liberamente nelle grand scoperte della natura e della storia. La letteratura satanica che offende i vecchi fanciulli d’Arcadia afferma, a suo modo, la rivoluzione che si cova nell’arte; se tu vi senti il ruggito dello spirito liberato dai gioghi celesti, non vuol dire che l’ideale contemporaneo diventi satanico. No: satanica è la ribellione per conquistarselo, satanica la guerra sostenuta contro l’ascetismo medievale che sepellì la natura sotto le tetraggini del Calvario; satanico l’odio contro il giogo che s’aggravò per tanti secoli sul collo dell’uomo; ma di sotto alla ribellione del satana contemporaneo tu senti la fede inestinguibile della ragione; per ciò il Satana del Carducci è forse l’inno più idealmente vero dell’Italia contemporanea.

Dov’è l’orgia epicurea che ci si annunzia con un tono tra il compunto e lo sdegnoso da certi farisei del sentimento? Se in alcuni drammi ed in alcune liriche recenti lussureggia un po’ troppo l’escrescenza fantastica dell’osceno, ciò non rappresenta il realismo dell’arte, anzi ciò non è arte. Il realismo è la creazione organica di forme viventi, l’articolazione piena dell’ideale che si manifesta in esse e per esse. Non domandare all’arte una finalità morale che ripugnerebbe alla sua natura; l’arte non conosce altra finalità da sè stessa, cioè quella di creare forme viventi ed estetiche.

Non isbigottirti dunque di questo realismo che predomina omai nel pensiero contemporaneo; esso è l’effetto dell’evoluzione storica la quale creò nuovi centri nel nostro cervello. Il più dei poeti balbetta ancora l’evangelo dell’arte nuova e manda suoni irresoluti e discordi; ma la via regia è lì, non nella restaurazione d’un classicismo e d’un romanticismo defunti per sempre.

Il classicismo da una parte ed il romanticismo dall’altra rappresentano un’ideale impossibile, giacchè l’evoluzione storica gli ha oltrepassati per sempre. Quel contenuto non potrebbe riprodursi appunto per ciò che non corrisponderebbe al reale. Se dunque l’ideale non è una cosa che stia di per sè, ma la somma delle relazioni più alte del reale stesso, tu puoi vedere com’ei dipende da lui, si trasmuti con lui, s’infuturi con lui. Come forma organica del reale ne dissuggella le attività latenti innalzandolo ad uno stato più vasto dell’essere. Per ciò il reale fuori dell’ideale ti porgerebbe una materia senza la forma, ch’è quanto a dire, una materia fuori dell’arte.

Il realismo non uccide l’arte, come ripetono in coro gli apostoli della morale estetica, ma la ristora alle sorgenti dell’essere; non gli è d’uopo di domandare l’ideale fuor dalla natura, nè di salire sull’ippogrifo fantastico al paese uranico dei sogni, per discoprirvi lo spirito pellegrino dalla carne. Ei sa che la natura è sacra e che l’ideale si cova perennemente dentro di lei; sa del pari che l’ideale non è il Dio Termine del sentimento, ma che si trasmuta, pur esso, col tempo, e migra di forma in forma nel suo viaggio scettico per l’infinito. Addio.

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