< Confessioni d'un scettico
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XXVI.


30 maggio 18....


Nell’universo si compie una tragedia scettica e ciascuno di noi ne prova gli effetti. C’è l’evoluzione nella vita ma c’è pure l’intermittenza; c’è la necessità delle leggi ma c’è la contingenza dell’accidente che ne scema, ogni tanto, l’efficacia; c’è l’ideale per cui l’essere si manifesta nelle sue forme più alte e più vere, ma per una forma che approda all’esistenza ne periscono mille e mille nei naufragi cosmici che le balestrano per l’infinito. Sai tu di quanti sepolti si compone il continente dei vivi? sai tu le rovine accumulate per le vie dell’universo? che siamo noi se non un avanzo di mondi perduti? non si rechiamo nei nostri organi stessi le testimonianze dei disastri patiti dalla natura prima d’arrivare alla nostra fauna, che ci pare la corona dell’universo mentre non è che il transito breve ad altre faune migliori e destinate, pur esse, a trasmutarsi nella circolazione della materia?

Nelle più alte cime dell’evoluzione storica in cui la natura si fa vera tu hai l’euritmia dilettosa delle attività serene che la specchiano nell’ideale; ma di sotto a quel paradiso olimpico tu hai la guerra degli esseri che si conquistano un’ora di vita attraverso i pericoli dell’accidente. Il maggior numero dei semi non impregna le flore e le faune ma si disperde su tutte le vie dello spazio; per ogni parto che saluta la luce tu hai un’ecatombe di aborti che muoiono in cuna. Nessuno dei nostri organi ci si scocca maturo e pieno d’attività simultanee ma si forma poco a poco nell’esperienza delle faune anteriori alla nostra.

La legge d’evoluzione non è certa che a grandi distanze; e se tu la interroghi un po’ da vicino ti si mostra, ogni tanto, attraversata dai molti accidenti che la disviano, la sospendono, l’abbreviano. Da ciò le intermittenze della natura e della storia; da ciò la guerra tragica della vita ed il prevalere ben tardo delle idee sui sentimenti. La legge è un effetto nel quale cospirano elementi diversi; quindi le resistenze degli accidenti, benchè non la vincano del tutto, pure ne scemano l’efficacia, e qualche volta l’arrestano per molti secoli riducendola ad uno stato latente. Le forme superstiti del medio evo che s’accampano ancora nel mondo contemporaneo, non le comprendi e non le spieghi altrimenti. La gran legge dell’eredità che ha tanta parte nella vita storica è pur essa una legge scettica. Nol vedi? ella trasmette le demenze e le colpe come le attività creatrici del pensiero; dilomba le nazioni ne’ ginecei ascetici come le ristora nelle scuole scientifiche. Anche oggi, dopo tre secoli di scoperte, credi tu che il medio evo sia cancellato per sempre dalla ragione e che qualche nuova ecclissi del sentimento non l’attraversi di nuovo ingombrandola nella sua via? guai a noi se non feconderemo nel nostro cervello le virtù più sane ricevute cogli organi, esercitandole in un lavoro concorde, e trasmettendo all’avvenire energie nuove che rinfreschino i danni del passato!

La natura ritroverà le sue parti migliori senza di noi; s’adempieranno senza di noi le sue leggi terribili e sacre; ma noi spariremo con disonore, e i nostri organi fatti inerti e vili si spegneranno nell’impotenza, il più grande castigo che tocchi ad un popolo risorto da ieri. E se mi cerco d’intorno, sento, più d’una volta, vacillare la mia fede, tanta è la vergogna intellettuale che grava il volgo dei cervelli.

Amari giorni ci attendono se non ci affrettiamo a disviare l’imminente pericolo. La salute non ci vien più da qualche Dio sconosciuto ma dobbiamo crearsela in noi stessi con ostinata fede, con santità d’olocausti, con gioia di forti che si conquistano la pace scettica della ragione maturata nel vero. Addio.

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