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Platone - Critone (IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Francesco Acri (1925)
Capitolo IV
Capitolo III Capitolo V

Critone. Sia pure; ma, Socrate, forse che ti metti pensiero di me e degli altri amici, che, uscendo tu di qua entro, i calunniatori non ci molestino, dando voce che ti abbiam furato noi; tanto che poi noi fossimo costretti a perdere tutte le nostre sostanze, o, se non altro, molti danari, o vero a patire per sopraggiunta alcuno guajo più grosso. Se hai questa paura, mandala a parte; imperocchè egli è giusto che, per salvarti, noi ci mettiamo in questo pericolo, e anco in uno maggiore, se bisognasse. Va’ là, dammi bene retta, non far di tuo capo1.

Socrate. Di questo mi metto pensiero io, e di tante altre cose.

Critone. E di questo non ti dei metter pensiero, non hai da aver paura; che alla fine non domandan poi gran cosa quei tali che pigliano a scamparti e trarre fuori di qua2. E poi, non vedi? come si vendono a buon patto cotesti calunniatori, e che non c’è bisogno di molto denaro per turar loro la bocca? A te basterà quel che ho io, mi figuro: e se ti sa male che io spenda del mio3, qui sono questi forestieri pronti a spendere del loro; e a questo fatto Simmia il Tebano se n’è messo allato dei denari; e anco Cebete e assai altri son lì pronti4. Dunque, questa paura non ti tenga che non ti salvi, e neanco la ragione che tu contavi in tribunale, che uscito, cioè, di Atene, non sapevi più che far di tua vita: perchè fuori di qua sono molti luoghi, dove, se tu vai, ti porranno amore; e caso che tu voglia andare in Tessaglia, là c’è miei ospiti, che ti stimeranno assai, e procureran bene che tu viva securamente e non sii molestato da nessuno5.

  1. Se Socrate si schermisce, svia il discorso, insomma non vuol fuggire, evidentemente si sacrifica per risparmiare imbarazzi, e forse pericoli, a lui, Critone. — Critone non sa trovare spiegazione diversa. Già è stranissimo che Socrate non voglia mettersi in salvo; lo farà perchè preferisce il male suo al pericolo dell’amico. Così tutte le persone limitate non concepiscono che si rinunzi all’egoismo se non per altruismo; che possano esserci doveri, impersonali doveri, che non giovano nè a noi nè ad alcuno, ma son doveri egualmente, è cosa che non son capaci d’intendere.
  2. Altro argomento impagabile di Critone: «Non devi preoccuparti ch’io mi sbilanci troppo; non chiedono poi molto per farti fuggire». Il che significa che, se ci fosse da squattrinarsi troppo, potrebbe magari essere il caso di rinunciare a salvar Socrate; ma salvarlo costa così poco!
  3. Di che può preoccuparsi Socrate? che lui Critone spenda troppo? Si potranno anche dividere le spese; così ciascuno ne risentirà meno.
  4. Simmia e Cebete, i due tebani che assistono all’ultima disputa di Socrate, e provocano, con le loro obiezioni, più ampi chiarimenti su la speranza socratica d’una vita di là, dove ci sia beatitudine pei buoni.
    Platone, che li mette in iscena nel Fedone, qui rende testimonianza della loro generosità, del loro disinteresse, della loro devozione al maestro. Ed anche all’amicizia di Critone, Platone rende omaggio; ma tant’è, quando s’è artisti come Platone, le persone che ci circondano restano caratterizzate così acutamente, che quel che hanno di più intimo - la loro maniera di pensare, di ragionare, di sentire - è ritratto, e resta lì, in rilievo, dinanzi a tutte le generazioni dei lettori avvenire.
  5. Platone è implacabile; ad ogni pennellata, l’incomprensione di Critone è più chiara. In tribunale, Socrate aveva detto: «Mi condannerò all’esilio? E forse mi condannereste voi a questa pena. Ma dovrei essere accecato dall’amore della mia anima, o Ateniesi, se fossi sì irragionevole che non potessi ragionare così: che se voi, che pure siete miei cittadini, non siete stati buoni di sopportare la mia conversazione e i miei discorsi, ma vi furon gravi e odiosi tanto, che cercate di liberarvene; come li sopporteranno gli altri? Oh no! E poi la bella vita che farei io, a questa età, tramutarmi sempre d’una città in altra, sempre cacciato via! Perchè so bene che dovunque vada, se io parlo, mi ascolteranno, come qui, i giovani: e se non li voglio, essi mi cacceranno via, persuadendo a ciò fare i vecchi; e se li voglio, mi cacceranno via i padri e parenti loro, per cagion di loro. Dirà forse alcuno: Ma non sei buono, Socrate, di vivere tacendo, stando quieto dopo andatone via da noi? Ma fare intendere ad alcuni di voi questo, è la più malagevole cosa: perchè se dico che questo è disubbidire all’Iddio, e che è impossibile che me ne stia quieto, pensando che io voglia ironeggiare non mi crederete voi; e se dico ch’è grandissimo bene a un uomo far ogni di ragionamenti su la virtù e quelli argomenti su i quali mi udivate conversare ed esaminare me e gli altri (la vita senza esame è indegna di uomo); se dico questo, tanto meno mi crederete voi. E pure così è, come dico; ma non è cosa facile persuadervene». Così Platone interpreta, nella sua Apologia di Socrate (XXVII-XXVIII), lo stato d’animo di Socrate. Ma Critone, di quel complesso discorso il cui nocciolo è che Socrate ha una missione divina, e non può venirle meno perchè una missione non si rifiuta ha colto solo la prima parte, che anche dalle altre città Socrate sarebbe scacciato, se la sua patria non ha potuto tollerarlo; e lo rassicuro: «In Tessaglia ho amici che non ti faranno torcere un capello». Giacchè per Critone Socrate, fra i Tessali, avrebbe dovuto finalmente mettere la testa a segno, e viver tranquillo in casa, senza attaccar discorsi e dispute coi cittadini. Ma appunto, Socrate aveva una missione, ragione, valore della sua vita: e Critone l’aveva visto per tanti anni girare, e per tanti anni sentito discorrere, ma di quella missione, di quel compito divino, non s’era mai accorto.

Note

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