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[Vita di Cola di Rienzo] (XIV secolo)
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Anni Domini MCCCXLII, uno fulguro nello campanile de Santo Pietro Maiure de Roma deo e arze tutto lo cucurullo. Fu nell’ora de vespero, quanno li calonici in coro cantavano lo offizio. Currevano anni Domini MCCCXLII quanno papa Benedetto lo bianco morìo e fu elietto papa Chimento sesto. Questo papa Chimento fu monaco nero e fu perzona de tanta sufficienzia che non avea paro. Era grannissimo teologo e fu bellissimo sermocinatore. Quanno esso teneva catreda per sermocinare overo desputare, tutto Parisci concurreva a vedere esso. Deh, como bello fu sermocinatore! Omo gallico moito largifluo, da si’ che in Studio fu era tanta soa larghezza, che allo despennere no·lli iognevano soie prevenne. Questo abbe tutti li gradi de dignitate. In prima fu monaco nero de santo Benedetto, conventuale, sottopriore; puoi fu decano; puoi fu priore; puoi fu fatto abbate; puoi fu fatto vescovo; puoi arcivescovo de Ruen; puoi cardinale de titolo de santo Nereo e Achilleo; puoi, uitimo, fu creato papa. Que abbe a dicere? Ca se grado se trovasse alcuno maiure, anche l’àbbera desiderato. Como questo papa creato fu, così lo cucurullo dello campanile de Santo Pietro Maiure fu abrusciato, como ditto ène. A questo papa venne l’ambasciata de Roma moito onorabile, dodici perzone: sei secolari, sei clerici. Capo loro fu Stefano della Colonna e·llo commannatore de Santo Spirito. Questi dodici ambasciatori lo pregaro, da parte de Dio e dello puopolo de Roma, che·lli piacessi de venire a visitare la sede dello sio vescovato de Roma. Anche lo pregaro che·lli concedessi la indulgenzia generale dello iubileo, che tornassi ciento anni a numero de cinquanta; perché la etate ène breve, pochi ne viengo a numero de ciento. A questi ambasciatori a po’ dìe lo papa respuse. E imprimamente provao che·lla petizione loro era iusta, e provao per dodici rascioni che esso era tenuto de venire a visitare lo sio vescovato, la citate romana. Quanto allo secunno, concedéo lo quinquagesimo iubileo in Roma, generale remissione de peccati, pena e colpa alli pentuti e confiessi; delle connizioni dello quale iubileo infra se dicerao. In tiempo de questo papa, anni Domini MCCCXLII[I], in dìe de santa Anna, fu cacciato de Fiorenza missore Gottifredo, conte de Brenna, duca de Atena, signore perpetuale de Fiorenza; e folli fatta moita onta e moito despiacere e detuperio e danno; e fuoro muorti uomini e loro carne fu manicata. La quale novitate fu per questa via. Fiorentini compararo Lucca da missore Mastino della Scala e entraro in possessione. Pisani, turbati de questo mercato, fecero intorno a Lucca uno esmesurato e memorabile assedio; iente da cavallo numero , iente da pede numero Intorno all’oste fecero fossati e steccata, torri de lename spessi. Anche carvoniaro e stecconiaro la strada la quale vao da Pisa a Lucca; dura miglia dieci. E questo fecero perché liberamente omo isse a l’oste con fodero e con arnese, senza impedimento. Durao lo assedio mesi Allora, per mantenere lo assedio, fecero la gabella che se chiama Seca. In breve sconfissero Fiorentini e levaroli de campo, e non lassaro succurrere missore Malatesta, capitanio de Fiorentini, con grascia. Anche fecero una cosa notabile; ché missore Malatesta ionze la sera con fodero e con granne iente ad uno fiume, lo quale se dice Serchio, appresso a Lucca. De notte Pisani fecero uno fossato esmesuratamente luongo e largo fra lo Serchio e·lla citate de Lucca, longhezze , latezze Tutto questo lavoriero fu espedito in notte una. Quanno la matina missore Malatesta, paratis omnibus copiis tam ad pugnam quam etiam ad grasciam, transivit aquam diluculo, non potens transire ex impedimento valli, miratus stupefactusque retrocessit meavitque, per ripam fluminis ascendens, deditque circuitum miliaribus decem ferme, ibique improvise pisanum exercitum invasit. Tum vero, facta resistenzia factoque ingenti Florentinorum impetu, fessi Florentini terga dederunt. Multi cadunt, multi capiuntur. Vix Malatesta cum aliquibus evasit. Omnis eorum copia militibus preda fuit. Alla fine Pisani venzero Lucca per forza de fame. Fi’ allo dìe presente la tiengo. Fiorentini, vedennosi così confusi, chiamaro per capitanio de guerra e signore missore Gottifredo, conte de Brenna, duca de Atena; imperciò che era omo savio e potente, della casa de Francia. Quanno missore Gottifredo abbe recepute lettere, forte fu alegro. Sallìo a cavallo con soa iente, da cinqueciento cavalieri, con salmaria e granne arnese. Ritto per lo camino ne veo. Entra nella citate de Fiorenza e a pacifico senza tumuito, de concordia dello Consiglio, recipéo la signoria perpetuale. Ora comenza a reiere lo duca. Fortemente guida. La prima cosa che fecessi fu che esso trasse de presone missore Pietro Zaccone delli Tarlati, signore de Arezzo, e sì·llo liberao de cattivitate, là dove era perpetualmente deputato. Ora vedesi le granne e ricche ambasciate che li venivano per tutta Toscana. In Arezzo mise la signoria. Abbe Pistoia, San Miniato, Vulterra e Prato. Apparecchiavase tutta Toscana avere, duca essere voleva de Toscana. Con Pisani stette queto, sì che molesta de·llà non se sentiva. Resse assai aspero e bona spene a Fiorentini daieva. Puoi che abbe receputa la signoria, liberamente significao in diverzi paesi la soa gloria. Fra li quali mannao uno vescovo de Francia a Filippo re in Parisci, sio parente. Lo vescovo disse como lo duca avea la signoria de Fiorenza. A ciò respuse lo re Filippo e disse: «Piaceme assai». Puoi domannao e disse: «Hao fatta novitate alcuna Gottifredo lo duca?» Respuse lo vescovo e disse: «Hao mutate le porte, ca hao serrate le porte vecchie e fatte le nove, e sopre le novelle porte hao fatte belle torre e aite». Disse lo re: «Di’ a Gottifredo conte de Brenna che Filippo de Valosi lo prega che esso se studii de essere signore delle coraiora delle iente e non delli torri». L’aitra ambasciata fece uno cavalieri, lo quale gìo allo re Ruberto in Napoli, de chi ditto ène de sopre. Anche non era de questa vita passato. Annunziao lo cavalieri allo re la nobile signoria de sio parente, lo duca Gottifredo. Respuse lo re e disse: «Noi bene vorramo che Gottifredo da tanto fussi». Puoi domannao: «Dove posa lo duca? Posa in Santa Croce?» Respuse lo cavalieri e disse: «No. Anche posa nello bello palazzo delli Anziani». Lo re scrullao la testa e disse: «Non fao bene. Va’ e dilli che repona li priori de Fiorenza in sio palazzo e in soa nobilitate. Renna la onoranza allo puopolo». Questo duca fu signore mesi dieci, puoi fu de Fiorenza detoperosamente cacciato. Le cascioni perché fu cacciato fuoro queste. In prima usava grannissima crudelitate. Senza remedio occideva la iente. Avea con seco uno officiale, lo quale se diceva conservatore, missore Guiglielmo de Ascisci. Cavalieri e iudice era. Questo missore Guiglielmo era uno roscio venenoso. Quanno manicava, faceva denanzi a sé senza misericordia martoriare le perzone e facevale smembrare e morire dello martorio. Avea uno sio figlio cavalieri, iovine de dodici anni, moito agnelica creatura, ma semplice. Quanno l’omo era posato dello martorio, questo sio figlio lo faceva sostenere e diceva: «Deh, dalli un aitro crullo per mio amore! Aizalo su!» A moiti questo fece, donne moiti ne moriero. Peio era lo patre che Dionisi tiranno de Cecilia. Ora procede lo crudele conservatore e taglia teste, appenne, occide senza misericordia. E che più, li buoni populari de Fiorenza vestuti con vari e con panni onorati appiccava denanti alle loro case. Appiccao Nardo de Cenne vascellaro, lo quale fu delli più avanzarani populari de Fiorenza per soa ricchezza; ad onne tratto prestava allo Communo ciento milia fiorini. Moiti fuoro li aitri. Puoi questo signore usava moita avarizia. Onne moneta de iente struieva e consumava onne perzona. Tutta la moneta traieva de mano alli mercatanti. Aveva con seco uno pessimo e crudele omo, fiorentino de nativitate; ma era stato anticamente cacciato perpetuale per le soie faizitate e inganni. Questo fu ià sio compagnone in arme, in viaii. Avealo redutto in stato, in grazia soa e de Fiorentini. Sere Errigo Fegi avea nome. Questo sere Errigo Fegi era sopre la gabella e era tanto sottile spirito in trovare moneta, che là donne esso traieva lo fiorino aitri non poteva traiere lo vaco dello miglio. Tutta dìe devisava gabelle. Mai non vedesti sì diabolico spirito. Più era questo sottile nella gabella che non fu Aristotile nella filosofia. Per la cui introduzzione onne guadagno, onne capitagna entrava in Communo. Per questo li mercatanti se reputavano deserti. Puoi questo duca usava moita lentezza in fatti de Fiorentini. Sopre Pisa non faceva cosa nulla de novitate. Lassao perdere Lucca e l’onore de Fiorenza non recuperava. Li staii, li quali teneva missore Mastino per la compara de Lucca, non recoglieva, anche li lassava stare senza menzione. Suoi sollati facevano li moiti deviti per Fiorenza, non pacavano. Esso ne mannava tutta la moneta in sio paiese. Treciento milia fiorini ne fuoro tratti, li quali fuoro per mare derobati a Monaco, lo forte castiello fra Genova e Marzilia. Puoi se apparecchiava a fare uno nobile castiello. Forte faceva murare drento dalla citate. Lo palazzo delli priori voleva comprennere. Queste connizioni consideranno li citatini de Fiorenza forte se duoglio della signoria. Secretamente cercano via de darela per terra. Male se pò per la granne forestaria la quale avea. Lo primo che questa coniurazione fece sentire fu uno corazzaro, lo quale gìo allo duca, como cenava, e disse: «Voi devete essere muorto». Lo duca: «Da chi?» «Dallo puopolo». «Quanno?» «Lo dìe de santo Iacovo». «In que muodo?» «Quanno cavalcarete per la terra, verrao uno currieri contrafatto e porierao a voi lettere. Mentre che le leierete, verrao uno e stennerao sio arco turchesco e percoteraote de una frezza. Dallo lato starrao uno con uno spontone. Dallo aitro verrao uno con uno stuocco. Puoi se gridarao: ’Puopolo, puopolo!’». Disse lo duca: «Questo da chi sai?» Disse lo corazzaro: «Da mea mogliera». La moglie lo sapeva da una femina de preite. La femina dello preite venne e·llo preite e stette presente lo corazzaro. No·llillo sappe provare. Lo corazzaro fu tenagliato per Fiorenza con tenaglie refocate. Puoi, po’ esso, veniva lo preite a cavallo in una mula con chierica rasa, con corona de oliva in capo, con guanti de camoscio in mano. Vaco sonanno tromme e trommette. Lo corazzaro fu per la canna appeso. Onne iente temeva de tale ioco. La prima festa che venne, armao tutta soa forestaria e in mieso de doi suoi nepoti a bello galoppo tutta Fiorenza curze. Denanti a sé menava li nuobili de Fiorenza desarmati. Ora cresce l’opera dello castiello. Uno sabato, da vespero, currevano anni Domini MCCCXLII[I], appresso dello palazzo de priori fu fatta una meschia. Subitamente voce veo: «A l’arme, a l’arme! Puopolo, puopolo!» Tutto lo puopolo de Fiorenza fu armato. Fuoro alle mano lo puopolo colli sollati. Li sollati fuoro perdienti. Lassano li cavalli nello piazzale dello palazzo delli priori e per le valestra tutti ne entraro lo palazzo. Quattordici centinara de perzone se renchiusero in quello bello palazzo. Allo torno le strade fuoro sbancate de banche de macellari. La notte lo primo che·nne escìo de palazzo fu uno iudice sommoniaco — missore Simone de Norcia avea nome — solo, armato de tutte arme. Sentuto che fu dalle guardie, non li vaize sio defennere, fu occiso. Doiciento fiorini avea seco. Fu partuto in quattro parte. Ad onne Anziano ne fu presentata una parte. Erano fatti quattro Anziani populari, li quali fussino sopre tutte cose. Fatto dìe, lo puopolo commatte lo palazzo. Iettano fuoco alla porta. Non vaize loro reparo, né con acqua né con aitro argumento. Tutta la porta fiariava e fu consumata. Alquanti dìe se tenne lo duca renchiuso con soa iente in quello palazzo. Alla fine lo fetore dello sterco e della orina granne era. Meglio veniva de morire che morire de fetore. Non potevano campare. Granne mormorazione faco li sollati allo duca. In questo se tratta patti. Lo puopolo stao fore allo palazzo, armato; crudamente grida. Puoi chiamano che volevano lo conservatore in mano, lo crudele missore Guiglielmo de Ascisci. Ciò vedenno lo duca, che per aitra via non poteva campare, commannao che missore Guiglielmo essissi fòra. Poni cura que fece lo crudele patre per volere campare. Voize che sio figlio issi denanzi da esso per mitigare, muorto lo figlio, la ira dello puopolo sopre de si. Quanno lo iovinetto figlio patris precepto vao denanti, appriesso della porta, como l’aino allo maciello, bene conosce soa morte, bene conosce la poca pietate dello patre. Volve la testa e dice: «Ahi patre, dove me manni?» Dice lo patre: «Va’ securamente». Como fu alla porta, fu receputo dallo irato puopolo nelle ponte delle spade. Uno preite fu lo primo che·lli smembrao lo vraccio colla spalla e disse: «Ecco la mea parte. Io non voglio più messa cantare». Sacci ca questo iovinetto despiacere allo preite fece. Tal taglia, tal mozza. Milli vocconi ne fuoro fatti. Po’ lo figlio veo lo patre moito onoratamente vestuto con vari. Uno calice d’ariento avea ’naorato in mano colla ostia. Male volentieri veniva; ma quelli de drento lo premevano, quelli de fòra lo tiravano. Così lo tagliano como foglia menutelle. La carne soa e dello figlio fu portata per Fiorenza e fu vennuta a peso e fu arrostita; e fu chi ne manicao. Sacci ca forte aveano patiti questi, quanno recipeano cutale mesure. Allo duca non fu fatto male nella perzona, ca·llo conte Simone de Casentino collo Communo de Siena trattao li patti e sì·llo trasse, salva la perzona, de sio palazzo de notte con da cinquanta perzone. Questo fu lo dìe de santa Anna. Puoi lo menao in sio contado e sì·lli fece renunzare la signoria de Fiorenza. Allora cavalcao lo duca e venne a Bologna poveramente, tutto derobato. Da Bologna se partìo e gìone in sio paiese. Granne detoperio abbe, granne abbe danno. Più de CCCC perzone de suoi sollati ce fuoro morte e derobate. Missore Ianni de Braio e missore Caucassaso, doi suoi granni baroni e parienti, fuoro a fierro muorti. Missore Ceretieri delli Visdomini, sio consiglieri, fugìo e aizao la più corta. Sere Errigo Fegi, lo sottile gabellieri, fu preso in abito de frate bianco umiliato e sì fu spogliato nudo. Era grasso e gruosso più che uno terribile puorco. Fu sparato e fu appeso per li piedi. Granne destrazio li zitielli facevano de lui, iettavanolli prete e loto e percoteanollo con bastoni. Fiorenza fu retornata a puopolo, lo stato pacifico e communo. Lo duca ne gìo in Francia, in sio paiese. Alla fine morìo nella vattaglia la quale fu fatta fra lo re de Francia e·llo re de Egnilterra; nello quale stormo Iuvanni re de Francia fu presone, como se dicerao. Currevano anni Domini MCCC Questo duca de Atena fu occiso in quella vattaglia. Tal fine abbe lo duca de Atena signore de Fiorenza.