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Luglio - Addio
Luglio - L'ultimo esame


ADDIO

10, lunedì.

Al tocco ci ritrovammo tutti per l’ultima volta alla scuola a sentire i risultati degli esami e a pigliare i libretti di promozione. La strada era affollata di parenti, che avevano invaso anche il camerone, e molti erano entrati nelle classi, pigiandosi fino accanto al tavolino del maestro: nella nostra riempivano tutto lo spazio fra il muro e i primi banchi. C’era il padre di Garrone, la madre di Derossi, il fabbro Precossi, Coretti, la signora Nelli, l’erbaiola, il padre del muratorino, il padre di Stardi, molti altri che non avevo mai visti; e si sentiva da tutte le parti un bisbiglio, un brulichìo, che pareva d’essere in una piazza. Entrò il maestro: si fece un grande silenzio. Aveva in mano l’elenco, e cominciò a leggere subito. - Abatucci, promosso, sessanta settantesimi; Archini, promosso, cinquantacinque settantesimi. - Il muratorino promosso, Crossi promosso. Poi lesse forte: - Derossi Ernesto promosso, settanta settantesimi, e il primo premio. - Tutti i parenti ch’eran lì, che lo conoscevan tutti, dissero: - Bravo, bravo, Derossi! - ed egli diede una scrollata ai suoi riccioli biondi, col suo sorriso disinvolto e bello, guardando sua madre, che gli fece un saluto con la mano. Garoffi, Garrone, il calabrese, promossi. Poi tre o quattro di seguito rimandati, e uno si mise a piangere perché suo padre ch’era sull’uscio, gli fece un gesto di minaccia. Ma il maestro disse al padre: - No, signore, mi scusi; non è sempre colpa, è sfortuna molte volte. E questo è il caso. - Poi lesse: - Nelli, promosso, sessantadue settantesimi. - Sua madre gli mandò un bacio col ventaglio. Stardi promosso con sessantasette settantesimi; ma a sentire quel bel voto, egli non sorrise neppure, e non staccò i pugni dalle tempie. L’ultimo fu Votini, che era venuto tutto ben vestito e pettinato: promosso. Letto l’ultimo, il maestro si alzò e disse: - Ragazzi, questa è l’ultima volta che ci troviamo riuniti. Siamo stati insieme un anno, e ora ci lasciamo buoni amici, non è vero? Mi rincresce di separarmi da voi, cari figliuoli. - S’interruppe; poi ripigliò: - Se qualche volta m’è scappata la pazienza, se qualche volta, senza volerlo, sono stato ingiusto, troppo severo, scusatemi. - No, no, - dissero i parenti e molti scolari, - no, signor maestro, mai. - Scusatemi, - ripeté il maestro, - e vogliatemi bene. L’anno venturo non sarete più con me, ma vi rivedrò, e rimarrete sempre nel mio cuore. A rivederci, ragazzi! - Detto questo, venne avanti in mezzo a noi, e tutti gli tesero le mani, rizzandosi sui banchi, lo presero per le braccia e per le falde del vestito; molti lo baciarono, cinquanta voci insieme dissero: - A rivederlo, maestro! - Grazie, signor maestro! - Stia bene! - Si ricordi di noi! - Quando uscì, pareva oppresso dalla commozione. Uscimmo tutti, alla rinfusa. Da tutte le altre classi uscivan pure. Era un rimescolamento, un gran chiasso di ragazzi e di parenti che dicevano addio ai maestri e alle maestre e si salutavan fra loro. La maestra della penna rossa aveva quattro o cinque bambini addosso e una ventina attorno, che le levavano il fiato; e alla «monachina» avevan mezzo strappato il cappello, e ficcato una dozzina di mazzetti tra i bottoni del vestito nero e nelle tasche. Molti facevano festa a Robetti che proprio quel giorno aveva smesso per la prima volta le stampelle. Si sentiva dire da tutte le parti. - Al nuovo anno! - Ai venti d’ottobre! - A rivederci ai Santi! - Noi pure ci salutammo. Ah! come si dimenticavano tutti i dissapori in quel momento! Votini, che era sempre stato così geloso di Derossi, fu il primo a gettarglisi incontro con le braccia aperte. Io salutai il muratorino e lo baciai proprio nel momento che mi faceva il suo ultimo muso di lepre, caro ragazzo! Salutai Precossi, salutai Garoffi, che mi annunziò la vincita alla sua ultima lotteria e mi diede un piccolo calcafogli di maiolica, rotto da un canto; dissi addio a tutti gli altri. Fu bello vedere il povero Nelli, come s’avviticchiò a Garrone, che non lo potevan più staccare. Tutti s’affollarono intorno a Garrone, e addio Garrone, addio, a rivederci, e lì a toccarlo, a stringerlo, a fargli festa, a quel bravo, santo ragazzo; e c’era suo padre tutto meravigliato, che guardava e sorrideva. Garrone fu l’ultimo che abbracciai, nella strada, e soffocai un singhiozzo contro il suo petto: egli mi baciò sulla fronte. Poi corsi da mio padre e da mia madre. Mio padre mi domandò: - Hai salutati tutti i tuoi compagni? - Dissi di sì. - Se c’è qualcuno a cui tu abbia fatto un torto, vagli a dire che ti perdoni e che lo dimentichi. C’è nessuno? - Nessuno, - risposi. - E allora addio! - disse mio padre, con la voce commossa, dando un ultimo sguardo alla scuola. E mia madre ripeté: - addio! - E io non potei dir nulla.




fine.

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