< Dal Misogallo (Alfieri, 1912)
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Sonetto XVII
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Sonetto XVII.

22 ottobre 1792 in Lermos nel Tirolo.

Da ch’io bevvi le prime aure di vita,
Da ch’io l’alma sfogai vergando carte,
Con lingua a un tempo vereconda,1 e ardita,
4 Posi in laudar la libertade ogn’arte.2
Odo or la Gallia, in servitú marcita,
Che il danno altrui senza il suo pro sol chere;3
E fatta sede di liberti, invita
8 A se stesse disfar, le genti intere;
E il nome stesso venerando adopra
Di Libertà, cui non conosce, e macchia
11 Col sozzo labbro, e la sozzissim’opra.
Quindi ognor piú nel buio il ver s’immacchia,4
E vien, ch’etade ognor piú tarda scopra
14 Qual fosse il Cigno, e qual la ria Cornacchia.5

  1. 3. Vereconda, modesta, non insolente. Anche il Leopardi nella canzone All’Italia: La vereconda fama.
  2. 4. Ogn’arte, ogni studio.
  3. 6. Chere, come altrove, domanda. È da osservarsi in questa quartina che i versi pari hanno rima diversa da quelli delle antecedenti.
  4. 12. S’immacchia, si contamina, s’insozza.
  5. 13-14. Intendasi: e avviene che sempre piú tardi a scoprirsi la verità, sí da distinguere i buoni (il Cigno) dai pravi (la ria Cornacchia).


Note

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