< Dal Misogallo (Alfieri, 1912)
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Sonetto XXXV
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Sonetto XXXV.

6 febbraio 1795.

D’ispido turpe verro1 aspro grugnito
Orribilmente mordemi l’orecchio,
In fra Pinti, e San Gallo, ov’io da vecchio2
4 Cercando il Sol passeggio intirizzito.
Pure, a turarmi il flagellato udito
Io qui molto men ratto mi apparecchio,
Di quel ch’io fea con cera, o con capecchio
8 Quando fra i Galli stavami assordito.
Di strette nari uscente un muto urlío
Mi perseguía per tutto a Senna in riva,
11 Laudare udissi o bestemmiare Iddio.
Chiesa, e teatro, ed assemblea feriva
Spietatamente il miglior senso mio,3
14 Sí che il dí mille volte io là moriva. —
Deh, tu, d’Averno Diva,4
Fammi udir poi nel lagrimevol Orco,5
17 Pria che Galla Sirena,6 Etrusco porco!

  1. 1. Il verro (lat. verres) è il maiale.
  2. 3. «Pinti, e san Gallo, sono due porte di Firenze verso tramontana. A quella di Pinti si pesano i majali vivi, che con urli orribili si mostrano recalcitranti al pagare l’introito loro al Principe, ed in questo assai men docili, e di piú libero animo, i porci, che non sono i Francesi; poiché questi, senza dir molto, pagano alla loro Convenzione, ed imposizioni tiranniche, ed imprestiti sforzati, ed ogni loro avere, ad arbitrio assoluto del Sovrano, che non perde neppure il tempo a pesarli». (nota dell’A.). — Da vecchio, l’A. aveva allora solamente quarantasei anni.
  3. 13. Il miglior senso mio, l’udito.
  4. 15. D’Averno Diva, Proserpina.
  5. 16. L’Orco, l’inferno.
  6. 17. Galla Sir., lusingh. donna francese.


Note

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