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IL TRIONFO DI LULÙ.
Novella.
I.
Sofia non alzava gli occhi dal suo lavoro, e le sue dita leggere volavano su quella trina delicata. Invece Lulù girava per la camera, spostava gli oggettini sulle mensole, apriva un tiretto per guardarvi dentro, distratta; era chiaro che essa voleva fare o dire qualche cosa, ma che il contegno serio della sorella maggiore la metteva in soggezione. Provò a canticchiare un po’ di canzone, disse un verso di Dall’Ongaro; Sofia parve non aver inteso. Allora Lulù, che non peccava di molta pazienza, si decise ad affrontare la questione, e piantandosi davanti alla sorella, le chiese:
— Sofia, sai quello che mi ha detto mademoiselle Jeannette?
— Nulla di molto interessante, per certo.
— Ci siamo con una risposta secca e fredda, da far venire i brividi in estate! Dove prendete il vostro gelo, o mia agghiacciata sorella?
— Lulù, sei una vera bambina.
— Ecco dove v’ingannate, bisavola del mio cuore; io non sono una bambina, perchè mi marito.
— Eh?!
— È appunto quello che mi ha detto Jeannette.
— Che imbroglio! Io non capisco niente.
— Or ora, ti narrerò tutto, come si dice nei drammi. Ci sarà un racconto... ma Vostra Serietà mi presta tutta la sua attenzione?
— Sì, sì, ma sbrigati.
— Il giorno delle corse al Campo di Marte, ecco il tempo ed il luogo. Tu non vi eri, tu che preferisci i tuoi eterni libri...
— Se divaghi sempre, non ti ascolto più.
— Devi ascoltarmi; questo segreto mi soffoca, mi uccide.
— Ricominci?
— Smetto, smetto. Dunque alle corse stavamo in prima fila sulla tribuna: viene Paolo Lovati e ci presenta un bel giovane, Roberto Montefranco. Soliti saluti e complimenti vaghi, essi trovano dei posti e siedono alle nostre spalle; scambiamo qualche parola, sino a che si ode il segnale della partenza dei cavalli. Ti ricordi che io proteggeva Gorgona, senza prevedere quanto essa mi sarebbe stata ingrata... basta, bisognerà rassegnarsi anche all’ingratitudine delle bestie. Una nube di polvere fa scomparire i cavalli. «La Gorgona vince!» esclamo io. «No, dice sorridendo Montefranco, vince Lord Lavello.» Io m’indispettisco per la contraddizione, egli continua a sorridere ed a contraddirmi; facciamo una scommessa, una discrezione. Infine dopo mezz’ora di palpiti e di ansietà, arrivo a sapere che la Gorgona è una traditrice, che io ho perduto e che Montefranco ha guadagnato: figurati! Gli dico che voglio pagare subito subito, egli s'inchina e risponde che c'è tempo; lo incontro a Chiaja, gli rivolgo un'occhiata che è un'interrogazione; egli si contenta di salutare e sorridere in un modo misterioso. Così al teatro, così dappertutto; io vivo nella massima curiosità: Roberto è bello, ha ventisei anni... e stamane il signor Montefranco padre, mio futuro suocero, è rimasto in conferenza due ore con la mamma!
— Oh!
— Segni di attenzione nel mio pubblico. La visita del papà l'ho saputa da Jeannette. Dunque il matrimonio è fatto. Resta a stabilirsi una cosa di grave momento: quando andrò dal Vice-Sindaco, avrò un abito grigio o foglia morta? Porterò il cappello con le sciarpe o senza?
— Come corri...
— Corro? Sicuro: non vi sono ostacoli. Con Roberto ci amiamo alla follia, i nostri degni genitori sono contenti...
— E tu sposeresti un uomo così?
— Che significa quel così? Vocabolo elastico.
— Senza conoscerlo, senza amarlo?...
— Ma io lo conosco, l'ho visto alle corse ed alla passeggiata! Io lo adoro! Ieri l'altro, non avendolo visto, rifiutai di far colazione e presi invece tre tazze di caffè, per cercar di suicidarmi.
— E lui?
— Mi sposa, dunque mi ama! — replicò vittoriosamente Lulù.
Ma vedendo il volto di Sofia scolorirsi, si pentì di quella frase imprudente e curvandosi verso di lei, le chiese con affetto:
— Ho detto qualche cattiveria?
— No, cara, no; hai ragione. Chi ama, sposa. Il difficile è farsi amare — e sospirò lievemente.
— Farsi amare, farsi amare! — ripetè irritata Lulù. — È facilissimo, Sofia; ma quando, come te, si ha la fronte severa, gli occhi tristi e la bocca senza sorrisi; quando si vestono abiti oscuri; quando si va in un angolo a pensare, mentre tutti gli altri ballano e scherzano; quando invece di ridere si legge, ed invece di vivere si sogna; quando, giovane ancora, si ha l'aria stanca e vecchia, allora è difficile esser amata.
Sofia abbassò il capo, e non rispose. Le tremavano un poco le labbra come se comprimesse un singhiozzo.
— Ti ho afflitta di nuovo? — domandò Lulù. — Gli è che vorrei vederti amata, circondata di affetto, e sposa... Che piacere se fossimo spose lo stesso giorno!
— Follie queste: io resterò zitella.
— Nossignora, ve lo proibisco, cattiva creatura. Se Roberto è un galantuomo, deve avere assolutamente un fratello celibe; io voglio che abbia un fratello celibe; lo voglio!
In questa entrò la madre, in abito da uscire.
— Vai fuori, mamma? — disse Lulù.
— Sì, cara, vado dal notaio.
— Uh! dal notaio! Roba grave è questa.
— Ve ne accorgerete, signora burlona. Sofia, vieni un istante meco.
— Anche Sofia ha degli affari tenebrosi col notaio?
— Lulù, quando ti deciderai ad essere seria?
— A momenti, mamma; vedrai.
Schiuse la porta, ed al passaggio della madre e della sorella, fece due profonde riverenze, mormorando:
— Signora, signorina...
Quando furono fuori, dalla soglia gridò loro, scoppiando in risate:
— Parlate, parlate pure: io farò le viste di non saperne nulla!
II.
Roberto Montefranco, per solito, non pensava molto: non ne aveva il tempo. La giornata gli fuggiva fra la colazione, la passeggiata a cavallo, le visite ed il pranzo; la sera scorreva dolcissima presso Lulù, la sua fidanzata. Poi ci erano gli affari spiccioli da sbrigare, qualche appuntamento con l'avvocato, qualche contratto da firmare, qualche debituccio vecchio da soddisfare; aggiungete i preparativi della casa e del viaggio nuziale. Appena appena se gli rimaneva una mezz'ora per leggere e un quarto d'ora per isprecarlo alla porta del caffè. Così non lo si vedeva mai assorto in riflessioni profonde, nè si sapeva che egli si fosse mai occupato a risolvere qualche problema sociale: perchè, del resto, Roberto non aveva nulla di tragico o di eroico nel carattere. Anzi godeva di una serenità di spirito invidiatagli da molti.
Quel giorno — un giorno qualunque, di dopopranzo — si era disteso sulla poltrona, una gamba a cavalcioni dell'altra, lo stuzzicadenti in bocca, ed un volume delle edizioni Treves in mano, con la determinazione netta di leggere. Il libro era interessante; ma, caso nuovo e strano, il lettore era molto distratto; dirò di più, era nervoso ed inquieto. Non voltava mai il foglio perchè dopo un paio di versi, le lettere uscivano di posto, saltavano, si confondevano, scomparivano. Roberto, senza sua voglia, partiva per le incognite regioni del pensiero.
....Papà è soddisfatto, le zie mi mandano la loro santa benedizione, le cuginette sono in collera, gli amici del caffè si congratulano ironicamente, gli amici serii mi stringono la mano — dunque fo bene ad ammogliarmi. Non si può negare che Lulù sia molto graziosa; quando mi fissa con quegli occhietti pieni di malizia, quando scoppia a ridere mostrando i dentini bianchi, mi vien la voglia di stringere fra le mani quella testina leggiadra e di darle tanti e tanti di quei baci! È anche un bel carattere, un carattere d'oro: sempre ilare, sempre di buon umore pronta allo scherzo, piena di spirito, punto schizzinosa, malinconica mai. Andremo d'accordo; io non posso soffrire le fronti pensierose, massime nelle persone che amo: mi sembra che celino sempre un segreto dolore, un dolore che non conosco e che non posso lenire, o di cui forse sono la causa involontaria. Ad esempio, Sofia, la mia futura cognata, ha la virtù di irritarmi con quel suo volto freddo ed impassibile; quando lei compare, l'anima mi si chiude, muore il sorriso sulle labbra e, rilucesse il più bel sole di primavera, mi pare di essere in una oscura e grigia giornata di novembre. Non ho nemmeno più il coraggio di scherzare con Lulù; quella Sofia disperde la gioia. Ella forse si è accorta della cattiva impressione che mi fa, perchè mi saluta senza guardarmi, non mi dà la mano, mi risponde con brevissime frasi; di sicuro si è accorta della mia antipatia. Forse se ne dispiace...
.....Lulù ride sempre. È molto giovane. Non mi rivolge mai una parola sul serio, ed anche quando vuol farlo, non ci riesce e sembra che voglia burlare. Dice di amarmi, poi si mette a ridere e parla di altro. Mi vuol del bene, ma non è un amore disperato. In coscienza, neppure io ci spasimo... meglio così. Per me, ho due teorie chiare, stabilite nella mente: primo, bisogna che i due fidanzati siano dello stesso carattere; secondo, non si deve mai cominciare con una forte passione. Siamo nel caso con Lulù; saremo felicissimi. Andremo a fare un viaggio per l'Italia, ma senza correre, senza affannarci, a piccole giornate, godendo di tutti i comodi, trattenendoci dove più ci piace, osservando anche le più piccole cose. Ci vorranno almeno tre mesi... no, non bastano... mettiamo anche quattro: ho anche piacere di sottrarre me e Lulù, per un certo tempo, alla triste compagnia di Sofia. Ma, domando io, è naturale che alla sua età quella fanciulla debba essere così seria? Avrà ventitrè anni... non è brutta, credo. Anzi ha occhi bellissimi ed un portamento da regina. — Se non fosse così severa, potrebbe piacere. Prevedo che rimarrà zitella: forse questo è il suo cruccio, forse un amore... qualche tradimento... sarei tanto curioso di sapere la causa della sua tristezza... ne chiederò a Lulù quando ci ritroveremo un po’ soli...
..... A Lulù piacciono i dolci, me lo dichiarò la seconda sera che andai in casa sua. Bisogna vedere come li rosicchia; i confetti si liquefanno, scompaiono dietro quelle labbruccie rosse, e dopo un momento essa prende una falsa aria di compunzione, per dire che non ve ne sono più. È carina, carina, carina! Mi ha confidato a bassa voce che, quando romba il tuono ha paura e va a nascondere la testa sotto i cuscini; che ha sempre sognato di avere un abito di velluto nero, lunghissimo, col merletto bianco alle maniche ed al collo; mi ha assicurato che sarà gelosa, gelosa come una spagnuola e che comprerà un piccolo pugnale dal manico di acciaio, intarsiato di oro per compiere le sue vendette. È adorabile quando mi ripete queste cosuccie, con quella sua aria fanciullesca e convinta. Anche la Sofia è costretta a sorridere delle follie di Lulù... se fossi intimo con Sofia la consiglierei a sorridere qualche volta; ciò le rischiara il viso..... Quella Sofia! quella Sofia! Chi arriverà mai a conoscere il suo animo?.....
Il libro cadde dalle ginocchia a terra, il nostro giovanotto si riscosse al rumore, si guardò attorno meravigliato, quasi si toccò per riconoscersi. Era proprio lui, Roberto Montefranco, colto in flagrante delitto di meditazione!
III.
Il crepuscolo cadeva come una fina pioggerella di cenere grigia; Sofia in piedi dietro i vetri del balcone guardava giù nella strada popolata e rumorosa. Era l’ora in cui la via di Toledo diventa pericolosa pel gran numero di carrozze piccole e grandi, che s’incrociano, salgono, scendono senza posa. Sofia pareva cercasse qualcuno con lo sguardo: ad un tratto un vivo rossore le passò sul viso, essa chinò un poco il capo, ridivenne pallida e subito rientrò nella camera. Non era trascorso un minuto che Lulù giunse come un turbine, sbattendo porte, scostando sedie per correre meglio:
— Che fai qui, donna Sofia Santangelo? Leggevi?
— Sì..... leggevo.
— Non hai avuto lo spirito di stare al balcone?
— E se lo avessi avuto?
— Bah! io son dovuta stare di là, perchè Albina la sarta ha portato l’abito per questa sera — intanto fremevo d’impazienza, perchè avrei voluto esser qui. Ier sera dissi a Roberto di mettere il suo costume bleuté, di attaccare Selim al carrozzino e di passare alle sei e mezzo. Chi sa se mi avrà obbedito!
— Roberto è passato col costume bleuté, nel carrozzino.
— Misericordia! Come sai tutto questo? Non leggevi forse?
— ..... Ero dietro i vetri.
— Ed hai riconosciuto Roberto, mentre non lo guardi mai? Miracolo! Ti ha egli salutata?
— Sì.
— Come ha tolto il suo cappello?
— Ma... come si toglie sempre.
— E tu hai risposto?
— Mi prendi per una sgarbata?
— Gli hai rivolto un sorriso almeno?
— No... cioè non lo so.
— Sei una cattiva, Sofia. Anche ieri sera Roberto mi parlava di te.....
— Dicendoti che ero cattiva?
— No, ma chiedendomi la causa di questo tuo carattere chiuso chiuso, così differente dal mio. Allora io gli ho sfilato un bel panegirico; gli ho detto che tu sei più buona, più amabile, più amorosa di me e che hai il solo difetto di nascondere le tue qualità. Figurati, che lui mi ascoltava con molto interesse; infine mi ha domandato dell’avversione tua per lui...
— Avversione?
— Così ha detto, e sai, non ha tanto torto! Lo tratti con sì poca cordialità! Ma anche su questo punto ti ho difesa, ho messa su una bugia, cioè che egli ti era molto simpatico, che lo stimavi tanto tanto...
— Lulù!
— Lo so che non è vero; ma Roberto ti vuol del bene, non è una ingratitudine averlo per estraneo?
Sofia buttò le braccia al collo di sua sorella e la baciò; Lulù la trattenne un istante e le mormorò con voce carezzevole:
— Perchè non lo ami un pochino, Roberto?
L’altra fece un moto brusco, tirandosi indietro, e non disse verbo.
— Sicchè — riprese Lulù, stringendosi nelle spalle e cambiando discorso — questa sera non vieni proprio con noi?
— No, ho mal di capo. Puoi andare con mamma.
— Delle tue solite. Basta, io vado lo stesso, perchè mi divertirò molto molto.
— Viene con te..... Roberto?
— Nix; egli va al suo circolo, dove vi è Consiglio di direzione. Io ne profitto per isvignarmela e per ballare sino a domattina.
— E se egli lo sa?
— Tanto meglio, imparerà da ora a lasciarmi libera. Non voglio fargli prendere cattive abitudini.
— Lo ami poco, mi sembra.
— Moltissimo, alla mia maniera. Ma io scappo a vestirmi, mi ci vorranno almeno due ore.
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Sofia stette ad ascoltare il rumore della carrozza che si allontanava, portando seco la madre e la sorella; era rimasta sola, sola come aveva sempre desiderato di esserlo. Da bambina, quando le facevano qualche torto, aveva pianto solo quando era in letto all’oscuro, e l’uso gliene era rimasto: così perduta in quel gran salone, sotto il chiaro lume della lampada le mani inerti e la testa abbandonata sulla spalliera della seggiola, le si dipingeva sul volto un grande affanno, il vivo riflesso di una lotta interna alacrissima. Certo in quei momenti di solitudine completa le ritornava la coscienza di un grande dolore; il sentimento della realtà, lungamente respinto, diventava chiaro, distinto, crudele.
Un rumore di passi la fece scuotere. Era Roberto. Vedendola sola si fermò, esitante; ma supponendo il resto della famiglia in altra camera, si avanzò. Sofia si era alzata subito, turbata.
— Buona sera, signorina.
— Buona sera.....
Erano entrambi impacciati. «Dio! quanto è antipatica questa Sofia!»
pensava Roberto.
Infine la fanciulla si rimise, riprese l’impero sulla sua fisionomia, che ridiventò composta e severa; sedettero a poca distanza.
— La signora madre sta bene?
— Abbastanza bene, grazie.
— E..... Lulù?
— Anche lei benissimo.
Qui un silenzio. Roberto provava una strana sensazione, come una gioia che lo riempisse di amarezza.
— Lulù è occupata? — chiese egli.
Sofia represse un lieve movimento d’impazienza:
— È al ballo, con la mamma, in casa Dellino — rispose poi rapidamente, quasi volesse prevenire altre domande.
Dunque Sofia era sola! E se non voleva essere il più scortese degli uomini, avrebbe dovuto trattenersi con lei! Roberto a questa idea ebbe l’irresistibile volontà di fuggire. Pure non si mosse.
— Io sono venuto perchè al mio circolo non siamo stati in numero legale — disse dopo, come se volesse scusare la sua presenza.
— Lulù non vi attendeva... Mi dispiace...
— Oh! non importa! — interruppe Roberto.
La interruzione era troppo rapida, quindi poco lusinghiera per l’assente.
— E voi — riprese egli — non siete andata?
— No... sapete che non amo molto il ballo.
— Preferite la lettura?
— Sì, di molto.
— Non temete che vi faccia male?
— Ho buoni occhi — rispose Sofia, alzandoli in viso al suo interlocutore.
— E belli — disse fra sè Roberto — ma senza espressione. — E ad alta voce: — Volevo dire...
— Male morale forse? Non lo credo: dai libri che leggo mi venne sempre una grande pace.
— Avete bisogno di pace?
— Tutti ne abbiamo bisogno.
La voce di Sofia era grave, sonora, eppure Roberto se ne compiaceva come se la sentisse per la prima volta. Pareva si trovasse di fronte ad una donna sin allora sconosciuta, e che costei gli si rivelasse da ogni parola, da ogni atto. Perchè Sofia aveva perduto la sua freddezza, si lasciava andare a guardarlo, a sorridergli, a parlargli come ad un amico. Che ci era stato prima fra loro? Che vi nasceva adesso?
— Quando un libro mi piace — riprese Roberto — mi viene un desiderio forte di conoscerne l’autore, di sapere se è buono, se anche egli ha amato, se anche egli ha sofferto...
— Forse provereste qualche delusione. Gli autori descrivono sempre l’amore degli altri, mai il proprio.
— Per rispetto forse?
— Per gelosia, credo. Vi sono casi in cui l’amore è l’unico tesoro nascosto di un’anima.
Ma la voce di Sofia non si alterò, dicendo queste parole. Rifulgeva dal suo volto tanta onestà; era così semplice, così pura, così convinta in quel suo accento che Roberto non provò alcuna sorpresa, sentendola discorrere così sicuramente dell’amore. Di nulla più egli si meravigliava, tutto gli sembrava naturale, preveduto; — anche quella serata, passata da solo con quella fanciulla singolare, gli sembrava che fosse stata stabilita ed a lungo attesa. Quando si lasciarono, si guardarono bene in viso, quasi volessero riconoscersi. Sofia porse la mano, Roberto la prese e s’inchinò, una portiera ricadde pesantemente. Erano divisi.
Cessato il fascino della presenza e della conversazione di Sofia, Roberto si sentì l’animo in disordine, il cervello scombussolato. Era allegro, malinconico, avrebbe voluto morire ed era pieno di vita: non sapeva più che pensare di Lulù, di Sofia, di sè stesso e dell’avvenire.
Sofia era molto felice, molto felice! Per questo piangeva a singhiozzi, col capo perduto nei guanciali.
IV.
Erano passati tre mesi, il matrimonio di Lulù tirava in lungo. Alle volte la madre, che non ci vedeva chiaro in questi ritardi, chiamava in disparte la figliuola e gliene domandava.
— Voglio aspettare — rispondeva sempre Lulù — ho bisogno di conoscer meglio Roberto.
Infatti la fanciulla era diventata un po’ osservatrice. Andava attorno come al solito; come al solito cantava, rideva, scherzava, ma interrompeva spesso queste piacevoli occupazioni per indagare il contegno della sorella, o per ascoltare ogni parola di Roberto. La si vedeva spesso con le labbra strette, le sopracciglia protese, in aria di grande attenzione: ora Lulù si guardava molto d’attorno.
Ed attorno avvenivano strani fatti. Roberto non più sereno ed ilare come il consueto, sibbene pensoso, pallido e turbato. Parlava breve e distratto: molte cose cui prima si interessava, sembrava gli fossero venute indifferenti: a volte, con grande sforzo giungeva a dominarsi ed a ritornare quel di prima, ma per poco. Abitudine di dissimulare non ne aveva mai avuta e ci riusciva male: la passione, l’interno cruccio gli si rivelavano dagli occhi.
Era venuta fuori un’altra Sofia: cioè una Sofia inquieta e nervosa, che a volte abbracciava con effusione la sorella, a volte rimaneva ore senza vederla, anzi fuggendola. Fugaci rossori le passavano sul viso, rossori di febbre; negli occhi le si accendeva una fiamma; la voce ora profonda e commossa, ora stridula e secca: le labbra spesso tremanti; le mani agitate da un continuo brivido. La notte non dormiva: Lulù si alzava a piedi nudi, andava ad origliare presso la porta, e sentiva che Sofia si agitava e piangeva. Richiesta, Sofia rispondeva non aver nulla, esser sempre la medesima.
Quando Roberto e Sofia si trovavano insieme — ed avveniva quasi ogni giorno — allora si chiariva di più il loro cambiamento. Parole rade, risposte o troppo pronte, o troppo vaghe, sguardi singolari; per sere intiere non si parlavano, ma l’uno studiava i moti dell’altro. Non sedevano mai daccanto, ma Roberto trovava sempre modo di prendere il lavoro ed il libro che aveva toccato Sofia; talvolta costei non compariva e Roberto, sempre più irrequieto, fissava la porta chiusa, rispondendo distrattamente a quanto gli si diceva; talvolta cinque minuti dopo la comparsa di Sofia, egli prendeva il suo cappello e partiva. La fanciulla impallidiva, un cerchio nero le si formava sotto gli occhi; si decise a non farsi veder più. Si chiuse ogni sera per otto giorni nella sua stanza, fremente d’impazienza, soffocando i suoi lamenti....
Una sera Lulù entrò nella camera:
— Vuoi farmi un favore? — le disse.
— Che desideri?
— Ho bisogno di scrivere un bigliettino. Roberto è solo, fuori il terrazzo. Va a fargli compagnia tu.
— Ma io...
— Vuoi continuare a star serrata? Tanto ti costa il contentarmi?
— Verrai presto almeno?
— Il tempo per metter giù quattro righe.
Sofia si avviò verso la terrazza cercando di avvalorare il suo cuore per quei pochi minuti. Si fermò sulla soglia. Roberto passeggiava; le si accostò.
— Lulù mi manda — ella disse a bassa voce.
— Veniste forzata?
— Forzata... no.
Essa tremava tutta; Roberto le era vicino, col viso travolto dalla passione.
— Che vi ho fatto, Sofia?
— Nulla, nulla mi avete fatto. Non mi guardate così — supplicò essa smarrita.
— Lo sai, dunque, Sofia, che ti voglio tanto, tanto bene?
— Oh! taci, Roberto, per carità taci! Se Lulù ci sentisse!
— Io non amo Lulù. Amo te, Sofia.
— È un tradimento!
— Lo so, ma ti amo. Partirò...
— Ebbene — gridò di lontano Lulù comparendo sotto un’altra porta — ebbene, è fatta questa pace?
Ma nessuno rispose. Sofia fuggì via, celando il viso fra le mani, e Roberto rimase immobile, silenzioso, come istupidito:
— Roberto? — chiamò Lulù,
— Signorina...
— Che avviene dunque?
— Nulla; me ne vado.
E senza neppure salutarla, andò via anche lui con un gesto da disperato. Lulù lo seguì con lo sguardo e restò tutta pensosa:
— Uno di qua... uno di là — essa mormorava e prima?... basta, bisognerà che mi ci metta io!
V.
— ..... Per tutte queste buonissime ragioni, io non posso sposare il signor Roberto Montefranco — conchiuse Lulù a sua madre.
— Sono delle ragioni assurde, fanciulla mia — rispose la madre, scuotendo il capo.
— Insomma, vuoi che io te la dica chiara e netta? Roberto non mi piace e non lo sposo!
— Almeno qui c’è franchezza; ma è sempre un capriccio, Lulù, un grande capriccio. Roberto ti ama.
— Si consolerà.
— È corsa una parola.
— Si riprende. Non siamo più ai tempi dei matrimoni per forza.
— Che dirà il mondo?
— Madre, definiscimi il mondo.
— La gente?
— Chi è la gente? non la conosco; non ho obbligo di essere infelice per la signora gente.
— Sei una fanciulla terribile! Ma io come l’accomodo con Roberto? che gli debbo dire?
— Quello che vuoi. Sei mamma per questo.
— Già, per riparare i tuoi guasti. Ne verrà uno scandalo.
— Non credo; gli si dice con garbo, con buona maniera. Anzi ti permetto di parlar male di me, di di darmi della capricciosa, della leggiera, della fanciullona; aggiungere che sarei stata una pessima moglie, che sono poco seria, che non ho dignità, che mia sorella è...
— Tua sorella? Perdi la testa, Lulù?
— Bah! potrebbe darsi benissimo. Per adesso Roberto e Sofia sono indifferenti, poi si conosceranno meglio, si potranno apprezzare... ed allora... chi sa, chi sa! Tu avresti lode di buona madre per aver maritata prima la maggiore...
— Infatti...
— A me non mancheranno mariti, ho appena diciotto anni. Poi voglio divertirmi, voglio ballare ancora, voglio godermi questa mia gioconda gioventù con la buona mammina, mammuccia...
— Sei un diavoletto — rispose la mamma commossa, abbracciando la figliuola.
— Sicchè restiamo intesi? A Roberto si annunzia pulitamente la brutta notizia, però gli si aggiunge che si resta amici, che lo vogliamo veder sempre. Se quei due si debbono amare, si ameranno: è scritto.
— Ma credi, cattiva Lulù, che le cose si metteranno bene? Sai che mi piacciono poco gli imbrogli.
— O impersuadibile madre! O madre peggiore di San Tommaso! Ma sì, ma sì, te lo assicuro io, con la mia provata esperienza, che non accadranno scandali. Roberto è un gentiluomo, infine, e non pretenderà che, senza amarlo, io lo sposi.
— Quello che mi sembra impossibile è l’affare di Sofia...
— Nulla di più possibile che l’impossibile — rispose con gravita Lulù.
— Cara, con questi assiomi! Suvvia; lasciamo fare al tempo; forse regolerà egli le nostre faccende. Ciò non toglie che tu sia una pazzerella.
— Ed una capricciosetta...
— Una testa senza giudizio...
— Ed un cervellino bisbetico. Sono tutto quello che vuoi; fammi la predica, me la merito. Andiamo: non hai nulla più da dire? Io attendo.
— Dammi un bacio e va a letto. Buona sera, bambina.
— Grazie mammina. Buona sera.
— Meglio così — diceva fra sè la buona madre. — Meglio così. Lulù è ancora troppo giovane. Si vedono ogni giorno le tristi conseguenze dei matrimoni senza gusto. Dio ci liberi! Meglio così.
— Auff! — diceva prendendo fiato Lulù. — Che diplomazia ho dovuto spiegare, che arte per vincere la mamma! Sarei un ambasciatore perfetto io! Che trionfo, che trionfo! Altro che il trionfo d’amore! Questo è il trionfo di Lulù!
Si fermò davanti alla porta della sorella ed origliò. Si udiva ogni tanto un sospiro represso: la povera Sofia aveva perduta la quiete.
— Dormi, Sofia, dormi — mormorò a bassa voce Lulù baciando la serratura, quasi volesse baciare la fronte della sorella — quietati e riposa. Ho lavorato per te questa sera.
E la generosa fanciulla si addormentò, contenta e felice per la felicità delle persone che amava.
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Il tempo, il buon vecchio tempo, l’eterno e giudizioso galantuomo, ha fatto il suo còmpito. Lulù chiede a sè stessa, se una signorina che accompagna sua sorella sposa, deve portare un abito azzurro di seta, o semplicemente un foulard paglierino con piccoli merletti. Vuol sapere da Roberto se vi saranno molti dolci da rosicchiare, e da Sofia se le donerà quel bel fazzoletto ricamato che sembra un soffio, una nuvoletta. Quei due che hanno conosciuto di quanto sia capace il cuore della fanciulla, sorridono della sua gaia spensieratezza, e l’amano, e la considerano come la loro Provvidenza.
— Perchè io l’ho sostenuto sempre — dice Roberto Montefranco ad un amico, parlandogli del suo matrimonio — gli sposi debbono essere di carattere opposto. Gli estremi si toccano. Così s’intenderanno, si fonderanno, formeranno un tutto completo — mentre quelli di inclinazioni eguali somigliano due parallele: camminano insieme ma non s’incontrano mai. E poi, quando ci è l’amore.....! L’ho sempre detto!